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Traiettorie sociologiche. Elmore Leonard: the All-Stars yankee

“Stavo per suicidarmi, poi ho saputo che Elmore Leonard aveva scritto un nuovo libro”. Questa frase circola già da un po’ nelle fumose vie delle splendide metropoli americane, riportando alla mente un solo leggendario nome. L’ottantenne grande icona della narrativa americana ha raccontato nei suoi numerosi romanzi davvero ogni spigolatura della controversa ideologia a stelle e strisce. Negli anni Cinquanta Leonard si occupò inizialmente non dei turbamenti umani metropolitani ma della vera e unica mitologia americana, e cioè il Far West. Era ovviamente all’epoca il genere che andava per la maggiore; libri, dime novels, film permettevano al vasto e sempre più agguerrito pubblico di scoprire nuove e fantastiche avventure del vicino passato di frontiera.
 
Le vicende western ("Tutti i racconti western" Einaudi 2008) che Leonard propone nei suoi ormai lontani racconti sono caratterizzati da una descrizione elementare, o meglio essenziale, della vita di frontiera; dalle sue pagine traspare una società sana, onesta e genuina, che oggi si può ritrovare effettivamente solo nelle cittadine della provincia americana, laddove la vita quotidiana non consente particolari vizi, come nel mondo metropolitano. Ci si alza la mattina presto, ascoltando la radio, si fa colazione a base di burro di arachidi, si va al lavoro con un vecchio furgone scassato, si torna la sera a casa, si cena e si comincia a diventare felicemente obesi. L’essenzialità quindi, ma anche la ruvidità della prosa leonardiana sono i due topoi presenti in tutti i suoi romanzi, dal western alla vita di provincia, alla catastrofe del vissuto metropolitano. Ed è giusto che sia così.
 
Elmore Leonard è fondamentalmente un country-writer, ma i suoi testi non sono accompagnati dalla coinvolgente melodia delle altrettanto leggendarie canzoni di Shania Twain – icona della musica country americana – ma dal suono potente che il vento produce andandosi a schiantare sulle ruvide montagne degli assolati deserti americani, o dal meraviglioso fruscio che scaturisce dal lieve toccarsi delle alte erbe delle grandi praterie dove un tempo correvano liberi e felici i big horns. Il suo stile non tradisce, anzi, stupisce. Leonard infatti non è per niente cambiato nella sua lunga attività di scrittore. Il suo stile appare, nonostante la veneranda età, ancora rapido, duro e asciutto, proprio come un colpo di revolver; per niente tenebroso come quello dell’altra icona della narrativa americana, Cormac McCarthy.
Anzi, i romanzi di Leonard appaiono sempre scanzonati e liberi, e trasmettono ai lettori il lato che più piace della provincia americana, quello degli sperduti motel dove servono il pollo fritto e la birra Bud, oppure quello delle lost highways nei deserti di fuoco, praticamente quello che fa sognare di più. Niente paura di annoiarsi quindi. Ed è questo il suo lato più noto, che si fonde al meraviglioso affresco della vita metropolitana. Leonard dimostra di trovarsi a suo agio in ognuno di questi tre generi. I suoi romanzi narrano sempre dell’uomo comune, del diseredato, del poveraccio abbandonato dalla vita che le prova tutte pur di diventare ricco e famoso, talvolta in maniera illegale. Lo esprime bene nel suo Cuba Libre (Net 2004), dove oltre a dimostrare una valida perizia storica nella descrizione delle fasi preparatorie della guerra ispano-americana del 1898, ci conduce nel tipico mondo del Sud degli Stati Uniti. I suoi personaggi non vivono fuori dal tempo, ma attraverso il tempo. Lo descrivono, lo delimitano, lo annullano, essendo semplicemente se stessi. Non sono caricature di personaggi reali, in Leonard la caricatura è la realtà e se ci guardiamo attorno notiamo come sia tragicamente così. Ma questo il vecchio Elmore lo ripete da decenni, perché in fondo siamo tutti caricature e non ce ne rendiamo conto. Ci onoriamo che egli ci renda protagonisti delle sue avventure beandoci nell’illusione che la realtà contemporanea sia talmente valida da essere addirittura degna di elaborarci su delle storie. Ma non comprendiamo che è il contrario, sono i romanzi di Leonard che elaborano storie autentiche sulla nostra finta realtà. La vera realtà non è quella in cui viviamo, ma quella dei romanzi di Leonard; noi siamo solo gli avatar dei suoi personaggi; insomma siamo noi le imitazioni.
 
L’autore ripropone quindi sempre lo stesso cliché: niente fronzoli, niente cesellature letterarie, solo l’essenziale; quello cioè che dovrebbe bastare ad ogni autentico frontierman. Anche il gergo a tratti volgare non offende, ma perlopiù difende quella tradizione popolare americana che ormai con i sofisticati McCarthy e ancor di più James Ellroy è praticamente scomparsa.
 
Sorprende inoltre che nonostante l’età egli dimostri di conoscere a menadito le ultime tendenze della cultura metropolitana e del contemporaneo americano. Ad esempio in uno dei suoi più famosi romanzi, Be Cool (Net 2005), cita come protagonisti secondari i membri della rock band degli Aerosmith, tuttora sulla cresta dell’onda.
 
L’autore penetra quindi la cultura americana contemporanea, ma ne è a sua volta penetrato; e come sarebbe possibile il contrario? Leonard è quell’America che oggi non c’è più, quell’America della lost innocence, quell’America che ad esempio è ben espressa dalla tradizione fumettistica italiana con la sua icona assoluta, Tex Willer. Il fumetto western italiano deve infatti molto alle dime novels americane.
Leonard ci ha messo però qualcosa in più: la forza del credere. Il desiderio di tener vivo, di non far affogare quel sogno – l’american dream – nella salsa scarlatta degli hamburger di McDonalds. La potenza comunicativa di Leonard sta proprio qui, nel credere che la vecchia America sia viva, stia vivendo ancora, e ancora vivrà fin quando ci saranno le riserve indiane, i cantanti country, i gangsters, i rappers e il pollo fritto.
 
Lui è l’americano medio, non il ricco borghese dell’East coast, comprende cosa vuole il pubblico, o chissà forse se ne strafrega, perché il pubblico ha le sue stesse debolezze, le sue stesse ambizioni, le sue stesse passioni. Ma attenzione, non è per niente facile capire se l’uomo moderno vuole ancora qualcosa; o forse con la sua prosa Leonard intende dire che l’uomo oggi non vuole più niente, va avanti solo per inerzia, perché il suo posto nella società è quello e deve semplicemente arrivare fino in fondo. Sfogliando infatti le numerose pagine dei suoi romanzi si nota come le ambizioni siano fondamentalmente sempre le stesse: ricchezza, fama e donne. Ed è così che si esplica la semplicità dell’opera leonardiana; un mondo migliore non esiste, e forse mai ci sarà.
 
Narra con l’ironia la tragedia dell’uomo contemporaneo, e cioè la sua incapacità di agire sugli eventi, di cambiare in meglio. Un’ironia sagace però, acuta, penetrante come quella che trova spazio nell’Utopia di Thomas More. Bisogna insomma saper leggere tra le righe per comprendere come i romanzi di Leonard non siamo fantasia ma storia reale; non siano commedia ma tragedia.
 
L’ironia quindi è quell’arma che nonostante la tragedia del vivere quotidiano permette a Leonard di essere uno scrittore di successo planetario e di venir letto anche dai più giovani, con i quali per motivi anagrafici davvero non potrebbe avere nulla in comune. Eppure sembra usare questo linguaggio semplice non solo per ovvi motivi commerciali. I suoi romanzi sembrano rispondere alle storiche domande della vita: chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo. Siamo burattini guidati dall’inerzia sociale, veniamo dal nulla, finiremo chissà dove. Ci insegna a navigare non nei meandri del web, ma negli anfratti ormai nascosti e perduti delle nostre anime dove forse scavando troveremo quella genuina parte di noi ormai sepolta sotto cumuli di menzogne, un po’ come fa Blackbird, protagonista di un altro suo romanzo Killshot (Einaudi 2009).
 
Ma Leonard è andato anche oltre. Ha capito che per quanto un giovane possa leggere la sua opera perché lo fa sbellicare dalle risate, forse quando sarà più anziano, sarà diventato padre e marito, si troverà a rileggere quelle pagine e capirà che di divertente nella vita non c’è proprio nulla. La società fondamentalmente non si è mai evoluta, si cercano anzi si bramano sempre le stesse inutili cose. Leonard lo sa ed è per questo che comprende bene tutti noi che lo seguiamo… sperando di non essere come in quella fortunata canzone degli AC/DC su una Highway to Hell. 
 
Letture
 
Leonard E., Cuba Libre, 1998, trad. it., Cuba Libre, Net, Milano 2004.
Leonard E., Be Cool, 1999, trad. it., Be Cool, Net, Milano 2005.
Leonard E., The Complete Western Stories, 2004, trad. it., Tutti i racconti western, Einaudi, Torino 2008.
Leonard E., Killshot, 1989, trad. it., Killshot, Einaudi, Torino 2009.
 
In collaborazione con Quaderni d’altri tempi

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