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 Home page > Tribuna Libera > Tette al vento in aeroporto: e la Privacy?

Tette al vento in aeroporto: e la Privacy?

La Legge sulla Privacy è in essere grazie al Decreto Legislativo N° 196 del il 30 Giugno 2003 che ha abrogato la precedente in materia di "Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali" Dl 675/96.
 
Essa determina l’assoluto diritto dei singoli cittadini a far sì che i propri dati personali - nome, indirizzo, città di nascita, religione… - vengano “trattati”, quindi utilizzati da terzi, solo a fronte di dichiarata accettazione preliminare.
 
Quindi: io cittadino ho il diritto, nei confronti di altri cittadini, uffici pubblici ed entità di varia natura, a non dare liberatoria affinché vengano divulgati ad altri i miei dati strettamente personali.
 
E’ vero però, che in molti casi, nel momento in cui - ad esempio - mostriamo la nostra carta di identità ad un pubblico ufficiale che ricava da esso i nostri dati personali, scrivendoli a sua volta su un modulo che verrà poi visionato da altri funzionari per il disbrigo di una pratica, saremo comunque chiamati a firmare una dichiarazione di autorizzazione al trattamento degli stessi.
 
Ecco quindi che, se da un lato si dà al cittadino piena libertà affinché i propri dati personali vengano diffusi, dall’altro si è dovuto trovare un escamotage affinché in alcuni casi questi benedetti dati potessero essere divulgati.
 
A cosa serve quindi la Legge sulla Privacy? Fondamentalmente a dar luogo alla “sensazione” di avere il diritto di rifiutare di divenire noti a sconosciuti. Ma poi, concretamente, serve a potersi appellare sull’eventuale utilizzo non autorizzato dei propri dati da parte di terzi.
 
Certo, con la diffusione del Web, individuare nettamente dove va a finire il diritto alla privacy dei nostri dati è pura utopia. Ogni qualvolta ci iscriviamo ad un portale, sito, testata online, newsletter, siamo chiamati a flaggare la onnipresente casellina che autorizza al trattamento dei nostri dati sensibili. Pena la nullità dell’iscrizione.
 
Ergo: la Legge esiste, ma non serve a nulla se non in caso di eventuale diatriba giudiziaria.
 
Ora una riflessione. Se si legifera sul concetto di “Dato privato” e “Diritto alla non diffusione dei dati privati”, come siamo arrivati all’installazione negli aeroporti dei Body Scanner?
 
Dunque: io cittadina Italiana, ho pieno diritto di non mettere nelle mani di un pubblico ufficiale il mio nome e cognome. Ma ora, con la nuova norma anti-terrorismo che prevede la scannerizzazione del mio corpo, reso nudo agli occhi degli agenti di polizia aeroportuale, ho il Dovere di mettere tette e parti intime al vento per la “sicurezza” della nazione. Certo, gli agenti di pubblica sicurezza mica stanno lì a guardare le mie tette, ci mancherebbe altro, si volteranno sicuramente dall’altra parte, per garantire la mia vera Privacy: il mio corpo completamente nudo, reso totalmente indifeso, oltraggiato da un progetto di sicurezza che dovrebbe passare forse per altre vie.
 
"Prego signora, Lei mi autorizza al trattamento dei suoi dati personali?", "No, non autorizzo", "Bene è nel suo pieno Diritto, ora venga da questa parte che diamo una sbirciata alle tette, sa è per la sicurezza nazionale…"
 
Ecco, stiamo per avvicinarci a dialoghi di questo tenore.
 
E’ già impietoso assistere agli “svestimenti” pubblici al check-in. Calzini bucati al vento, per dar modo di controllare che fra le scarpe ed il piede non si fosse infilata qualche testata nucleare. “Signore si blocchi: lei ha un numero 46 molto sospetto. Si tolga le scarpe e ci faccia verificare che non stia trasportando un Qassam nei calzini!”
 
Un disabile un giorno, passando in sedia a rotelle sotto al metal detector si è sentito dire “Lei ha qualcosa di metallico addosso, lo tolga” dall’agente di polizia aeroportuale che già lo verificava col mini metal detector. Assistito personalmente…
 
Insomma, cosa non si fa per la “sicurezza”. In queste ore si discute su questa novità, anche per ciò che riguarda l’assimilazione di un tot numero di radiazioni ionizzanti necessarie a svestire di colpo il viaggiatore di turno.
 
Maroni minimizza. Fazio anche. Ma il fatto è, che per ora le radiazioni emesse serviranno a “vedere nudo”. Penetreranno la stoffa dei vestiti e ci restituirà ai monitor così come mamma ci ha fatto. Con buona pace di tutti coloro che negli anni ’70 avrebbero tanto voluto comprare i famosi “occhiali di 007” reclamizzati sulle pagine di certi giornali che “garantivano” la visione nuda di qualsiasi persona guardata attraverso vetri particolari. Una bufala. Ma tant’è...
 
Il livello di radiazioni utilizzati quindi, seppur di importante rilievo e di conseguenza con possibili effetti collaterali sulla salute se utilizzati troppo spesso - come nel caso dei “frequent flyer” - permetteranno solo la visione superficiale del corpo denudato.
 
E per tutti coloro che utilizzano il proprio corpo come un vero “contenitore” di tutto un po’?
 
Calma, la TAC aeroportuale sta sicuramente per arrivare. Beh, che dire: forse si farà prima ad andare in aeroporto che in ospedale, per una revisioncina medica urgente.
 
A voi le riflessioni del caso.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.160) 16 gennaio 2010 12:40

    tutte belle parole ma solo scrittura, che non reggono di fronte a perdite di vite umane.
    da che mondo e mondo i diritti dei pochi (quelli che si lamentano infondatamente e che hanno qualche cosa da nascondere, non certo imperfezioni fisiche, ben inteso) non valgono a fronte dei tanti.

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