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Protezionismo, tragica illusione

 

 Si rimane stupiti di fronte ai recenti fatti di cronaca che vedono cento operai Italiani impossibilitati a svolgere il proprio lavoro nel “civilissimo” Regno Unito poiché respinti dagli abitanti locali.

Ora senza strumentalizzare l’accadimento e sperando nel buon senso, è però preoccupante la nascente spinta protezionistica, che seppur ancora limitata, è comunque sintomatica.

A tal proposito è utile ricordare che il protezionismo, ovvero la limitazione delle importazioni mediante dazi e la chiusura verso merci e lavoratori stranieri, è estremamente dannoso per i Paesi modernamente organizzati e caratterizzati da un PIL elevato.  Può avere un qualche senso solo per i Paesi sottosviluppati esclusivamente nella fase iniziale della transizione verso lo sviluppo.

Una svolta protezionistica attuata in un paese sviluppato comporta dapprima un’iniziale e illusoria fase di relativo benessere, dovuto all’eliminazione della concorrenza straniera, poi  una lunga e pericolosa depressione conseguente all’autoesclusione dal mercato globale delle aziende produttrici interne. In tal modo le aziende interne più tecnologiche e avanzate vengono inesorabilmente danneggiate dalle contromisure della comunità internazionale nei confronti della Nazione che malauguratamente dovesse aver scelto una politica protezionistica. 

Il protezionismo spinge a un ridimensionamento del comparto industriale, a una limitazione degli investimenti nei settori tecnologici, e a un conseguente declino dovuto all’autoesclusione dalle dinamiche di confronto e concorrenza internazionale. Le aziende interne perdono competitività e prestigio, le migliori risorse umane migrano verso paesi con un’ economia aperta e la conseguenza finale è un arretramento sistematico della Nazione autoesclusasi dal sistema mondo.

Il protezionismo è un cavallo di Troia che ci si dona da soli, meglio starne alla larga. 

Commenti all'articolo

  • Di virginia (---.---.---.96) 4 febbraio 2009 12:46

    E’ vero che "il protezionismo fa male". Ma che dire dell’imperativo di Barak Obama: Buy American?
    Sembra che anche il Presidente degli Stati Uniti abbia capito che "comprare americano" non può che aiutare
    l’economia americana, ovviamente a scapito della concorrenza di Cina, India e, perché no, Europa.
    Ci può essere una via di mezzo?

    • Di Francesco Rossolini (---.---.---.185) 4 febbraio 2009 13:24
      Francesco Rossolini

       Virginia purtroppo comprare americano è un palliativo che non ha niente a che fare con la fuoriuscita dalla crisi. Gli USA producono in maggioranza servizi ed in USA c’è solo la progettazione di quasi tutti i prodotti, l’assemblaggio avviene sempre in Stati Esteri con manodopera a basso costo. APPLE il simbolo per eccellenza dell’alta tecnologia USA vende prodotti "Disegnati in California" e "assemblati in Cina". 
      Il protezionismo è pia illusione serve solo a peggiorare le cose nel medio e lungo termine. 

      C’è una "via di mezzo" da seguire, ovvero contrastare lo sfruttamento dei lavoratori nei paesi emergenti, come la Cina, che consentono la produzione a prezzi sleali. 

      Ci vogliono regole certe e norme internazionali contro lo sfruttamento, il protezionismo non è una soluzione. Illudersi che uno Stato possa essere autonomo e totalmente indipendente dall’esterno è una follia già sperimentata: Il suo nome è Autarchia... e non mi sembra ci abbia portanti a nulla di buono.

      La prima conseguenza reale alla chiusa delle importazioni è l’innalzamento sistematico dei prezzi per mancanza di concorrenza

      La seconda è la perdita di produttività ed innovazione delle aziende che non sentono più il peso della concorrenza straniera

      La terza è il peggioramento irreversibile della situazione economica della nazione che si sia affidata al protezionismo. 


  • Di emilio (---.---.---.240) 4 febbraio 2009 20:48

    credo che fra autarchismo, protezionismo e liberismo sfrenato ci debba essere una via di mezzo. La macchina va cambiata ed anche in modo pofondo. Non ci si può affidare ad un sistema di scambio che ha dimostrato i suoi limiti e la sua pericolosità. La chiave di volta sta nella ridefinizionione dei sistemi monetari. Molto importante è progettare gli strumenti monetari che proteggano e sviluppino le economie locali senza negare l’internazionalizzazione delle economie. L’uno e l’altro, insieme. Con il sistema attuale ciò non è possibile. Ci vuole un sistema che incorpori in sè, accanto alle monete globali, le monete complementari con sovranità popolare e completamente esenti dalla speculazione finanziaria, solo banche non usuraie.
    Ripeto: il liberismo è finito! L’avidità umana l’ha ucciso in un brevissimo arco di tempo!

    • Di Francesco Rossolini (---.---.---.185) 4 febbraio 2009 22:30
      Francesco Rossolini

       A mio avviso ciò che serve sono REGOLE inderogabili che impediscano la deriva a cui tende il libero mercato ed ISTITUTI internazionali di controllo con poteri reali e facoltà coercitive. 

      Per quanto riguarda l’adozione di sistemi di "scambio" regionali, con validità locale e volti ad incentivare il consumo di prodotti locali, sembrerebbe che al momento i pochi esperimenti fatti non abbiano portato a risultati significativi. 

      Comunque la ricerca di una variante più stabile e meno imprevedibile del Liberismo all’Americana è sicuramente da incentivare, resta comunque il fatto che il protezionismo nella sua veste tradizionale è inaccettabile per le ben note e tragiche conseguenze che ho elencato.

       


  • Di Annalisa (---.---.---.70) 5 febbraio 2009 10:03

    Nel caso specifico ci vogliono regole che adeguino i contratti dei lavoratori italiani a quelli del paese nel quale sono chiamati a lavorare. Non gridiamo al razzismo perchè razzismo non è in questo in caso. Sono gli imprenditori che come sempre sfruttano, mettendo gli operai gli uni contro gli altri.

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