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Procure faziose per giochi mafiosi

E successo appena ieri, non in un altro secolo o in una altra vita, ma ieri.

Era appena ieri che piangevamo di rabbia repressa nel mentre sfilavano le bare attorniate da divise e lustre penne e setose cravatte. Era soltanto ieri che sotto un sole accecante seppellivamo Falcone e Borsellino, loro, gli eroi d’Italia i nemici non solo di Cosa Nostra, è bene dirlo, è bene ricordarlo, bisogna ricordarlo, che Falcone e Borsellino erano in primis i nemici di quella parte politica chiaramente in affari con Cosa Nostra.

Appena ieri. Cosa Nostra, la piovra tentacolare, il mostro proteiforme finiva sputtanata in prima pagina, veniva attaccata dalla gente scesa in lacrime nelle strade. Cosa Nostra. La legge sui pentiti, Buscetta, il primo grande boss a parlare davanti a Falcone e il primo a dirgli ’ St’attento. Sei un morto che cammina’.
 

L’importanza dei pentiti, dei collaboratori di giustizia, quella legge varata in tutta e in tanta ipocrita fretta per lavarsi la coscienza dopo aver assistito alle stragi, quelle mani sporche di sangue promuovevano la legge sui collaboratori di giustizia. Colpo al cuore allo Stato criminoso.
Era già accaduto quando furono indagati i vari Andreotti, Carnevale, Mannino, Contrada.

Ora siamo all’ennesimo replay mentre si riaprono le indagini su Berlusconi e si chiude il processo d’appello a Dell’Utri. Secondo ’Il Foglio’, il concorso esterno "è un reato surreale" e "va soppresso" perché "serve a una magistratura faziosa" per "processare chiunque sulla base di un flatus vocis".

Sul ’Giornale’ di famiglia, Paolo Granzotto parla di "mostruosità giuridica che non compare nel nostro Codice penale e in nessun altro codice penale al mondo, nemmeno in quello della Cambogia di Pol Pot e dell’Uganda di Idi Amin Dada", perché consente di processare la gente per "un caffè al bar".
 

E allora riscriviamole le pagine della Mafia politica, riscriviamole ritirando fuori le pagine dei verbali, delle deposizioni e delle testimonianze...
Perche hanno ucciso Falcone e Borsellino e perchè indagano su Berlusconi e Dell’utri?

Procura di Firenze, parte prima:

«Signor Campanella, lei ha fatto parte della famiglia mafiosa di Villabate?»
La domanda del pm resta sospesa nell’aula bunker di Firenze. La prima audizione di Francesco Campanella davanti al tribunale il 16 gennaio 2006 nel processo ’Talpa della Mafia ’.
 

I PM sono: Michele Prestipino, Maurizio De Lucia e Nino de Matteo. Con il fiato sospeso, aspettando la risposta che giungerà da dietro un paravento di protezione, i legali di Michele Aiello, ingegnere e proprietario della clinica Santa Teresa di Bagheria, amico del presidente della regione Cuffaro e presunto prestanome di Provenzano. Alla loro destra i legali di Totò Cuffaro, imputato di favoreggiamento alla mafia e rivelazione di segreto d’ufficio.

Poi, un folto gruppo di avvocati difensori di imprenditori, carabinieri, poliziotti, vigili urbani, cancellieri della Procura di Palermo accusati di aver fornito notizie riservate sull’andamento dell’Antimafia ad Aiello Michele.
 

C’è anche Giorgio Riolo, esperto di microspie dell’Arma e amico di Michele Aiello.
Aiello domandava, Riolo rispondeva: qualche cimice nell’auto di un boss di Bagheria, telecamere installate dove si pensano ci siano gli uomini di Provenzano, intercettazioni nelle celle sotto 41/bis, insomma, lo teneva ’ informato’.


 

Giuseppe Guttadauro, ex vice primario, fratello di Carlo capomafia di Bagheria, il medico, le indiscrezioni, le soffiate le riceveva direttamente dai politici; dopo due lunghi processi verrà assolto senza che la Procura Generale presentasse ricorso.

Eppure, nel salotto di casa sua i Ros avevano piazzato delle microspie e avevano potuto così ascoltare le ’ lezioni ’ che il medico impartiva sulla mafia e sulla politica ad un pupillo di Cuffaro: Mimmo Miceli. Futuro assessore comunale alla sanità della giunta palermitana del sindaco forzista Cammarata. Per mesi i Ros avevano udito il medico Guttadauro dare a Miceli, poi condannato in primo grado a otto anni, indicazioni sulle candidature, sugli esiti che dovevano avere certi appalti, e cose così.

L’ultima cosa che Ros prima e pm poi sentirono da quella cimice fu: «Ma allora aveva ragione Totò Cuffaro». Ecco perchè Campanella Francesco si trovava dietro quel paravento nel gennaio 2006, per dire tutto quel che sapeva su Cuffaro e company anche sulla base delle intecettazioni in loro possesso. Non che non fossero già di per se prove schiaccianti e sconcertanti, ma in quanto nella nostra debole giustizia non sarebbero bastate ad ottenere una giusta condanna.

Francesco Campanella, ex segretario nazionale dei giovani dell’Udeur, il 25 gennaio 2005, un anno prima del processo che lo avrebbe visto dietro il paravento, alle 6 del mattino viene arrestato. Decise di diventare collaboratore quando, rimasto senza soldi e con enormi debiti in banca, si vide abbandonato anche dai suoi picciotti e amici politici.

Disse della sua decisione, di diventare collaboratore di giustizia a Giovanni Quattrone, suo socio nella Sinergia Srl con sedi a Roma e Palermo, specializzata nei rapporti tra imprese e pubblica amministrazione, (la mafia è sempre stata specializzata in questi rapporti), e messa in piedi anche con l’aiuto dei massoni professionisti legati alla mafia corleonese. Giovanni Quattrone era infatti il venerabile maestro della Loggia Triquerta dell’Oriente di Palermo, loggia nella quale sia Campanella Francesco che Francesco Musotto, presidente della provincia, erano iscritti.

In questa Loggia troviamo anche Sandro Musco, docente di Storia della filosofia all’università e considerato l’eminenza grigia della regione Sicilia. Negli anni ottanta Musco era uno stretto collaboratore del democristiano Rino Nicolosi, potentissimo presidente della medesima regione. Musco negli anni novanta finiva sotto inchiesta per un giro di tangenti, uscito illeso grazie al nuovo articolo, 111 della Costituzione approvato dall’Ulivo e Casa della Libertà.

Praticamente il nuovo articolo rendeva e rende inutilizzabili le confessioni e le testimonianze rese solo durante le indagini.

Torniamo a Francesco Campanella che non aveva solo avvertito la massoneria della sua decisione di pentirsi ma anche la mafia e la politica. Anche Cuffaro tentò di sapere cosa volesse o stesse raccontando Campanella e chiese a Franco Bruno, capogabinetto di Marianna Li Calzi, sottosegretario alla Giustizia nei governi D’Alema e D’Amato di reperire notizie. Ma Campanella a Franco Bruno disse poco, restò sul vago, Campanella sentiva riconoscenza verso Clemente Mastella leader dell’Udeur futuro ministro di Giustizia e il 30 agosto 2005, diciotto giorni prima di diventare pentito, Campanella gli scrive un’accorata lettera.

Testo della lettera originale:

Carissimo Clemente
ti scrivo con il cuore gonfio di tantissime emozioni, esclusivamente per ringraziarti di cuore poiché nella mia vita ho frequentato tantissima gente e intrattenuto innummerevoli rapporti, tanti evidentemente errati. Sei l’unica persona del mondo politico che ricordo con affetto, con stima, con estremo rispetto, perchè sei sempre stato come un padre per me e resta in me enorme l’insegnamento della vita politica che mi hai trasmesso. Sto vivendo un periodo drammatico e di enorme tribolazione e dolore, ma nella disgrazia ringrazio il nostro Signore per avermi dato la forza di reagire con coraggio e serenità, recuperando totalmente il mio rapporto con Dio e stringendo attorno alla mia famiglia e alla mia Barbara (la moglie amata) che, come tu sai, è l’unica cosa buona che mi ha regalato la vita politica (al matrimonio di Francesco Campanella e Barbara due testimoni di eccezione: Salvatore Cuffaro e Clemente Mastella).

La lettera continua con ripetuti ringraziamenti e raccomandazioni a non fidarsi di certe persone, a firmarla lo stesso Francesco Campanella.


Clemente Mastella a seguito di questa missiva ricevuta verrà interrogato il primo febbraio 2006 e con la sua deposizione darà piena credibilità al collaboratore di giustizia Francesco Campanella.


Quindi il contabile di Provenzano non mente.
Quindi, Francesco Campanella ha davvero visto e trattato con la politica nazionale.

 

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