• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Politica, potere e guerra

Politica, potere e guerra

All’inizio del terzo millennio i legami tra la politica, il potere e la guerra sono ancora molto stretti.

Possiamo semplificare le cose affermando che “Nella natura dell’uomo troviamo tre cause principali di contesa: in primo luogo, la competizione; in secondo luogo la diffidenza; in terzo luogo la gloria. La prima porta gli uomini ad aggredirsi per acquistare possesso, la seconda per la sicurezza, la terza per la reputazione. Nel primo caso essi ricorrono alla violenza per impadronirsi delle persone, delle donne, dei figli, del bestiame di altri uomini; nel secondo per difenderli; nel terzo, per delle sciocchezze come una parola, un sorriso, una divergenza d’opinione o qualche altro segno di sottovalutazione rivolto alla loro persona sia direttamente, sia indirettamente (cioè, alla loro stirpe, ai loro amici, nazione, professione o nome). Ancora oggi in troppi paesi del mondo i confini geografici sono tra le prime cause dei conflitti e “La vita dell’uomo è sordida, bestiale e corta” (Thomas Hobbes, Il Leviatano).

Dopotutto la perversa logica della violenza è spesso trasversale ai nostri stereotipi di classi rozze e raffinate. Ma a volte ne rovescia la gerarchia: “la canaglia risolve le sue irrilevanti dispute a smargiassate che servono a salvare la faccia; l’aristocrazia porta avanti le sue, altrettanto irrilevanti fino alla morte” (Pinker, p. 526, 2005). Purtroppo molti governi “non hanno il potere di perdere la faccia, il potere di ammettere l’errore e il potere di agire con magnanimità” (Edmond Burke). Purtroppo una nazione può essere condotta a tradire se stessa “dalle arti dell’imposizione, dalla propria credulità, con gli strumenti di una falsa speranza, di un falso orgoglio e di promesse di vantaggi della più romanzesca e improbabile natura” (Lord Chatham). Inoltre “L’incompetenza militare ha a lungo lasciato perplessi gli storici. Il primatologo Richard Wrangham suggerisce che essa possa essere un frutto della logica del bluff e dell’autoinganno” (Pinker). Anche la storica Barbara Tuchman ha sottolineato l’azione dell’autoinganno nelle innumerevoli guerre della storia (La marcia della follia: dal cavallo di Troia alla guerra del Vietnam, 1985).

In questa “visione tragica gli esseri umani sono intrinsecamente limitati nella conoscenza, nella sapienza e nella virtù, e qualunque organizzazione della società deve riconoscere tali limiti” (Pinker, p. 354). Come disse il filosofo Kant: “Da un legno storto come quello di cui è fatto l’uomo, non si può costruire niente di perfettamente dritto”. Ma i sogni e gli ideali sono utili perché consentono di mirare ad obiettivi più alti: “Alcuni vedono le cose come sono e si chiedono “perché?”; io sogno cose che non sono mai state e mi chiedo “perché no?” (Robert F. Kennedy).

In effetti “Niente può essere mutato in modo tanto radicale quanto la natura umana, se l’impresa è affrontata sufficientemente presto” (George Bernard Shaw). Quindi in ogni nazione del pianeta si dovrebbe intervenire molto precocemente già dalle scuole materne, soprattutto per favorire “l’igiene mentale” dei maschi più egoisti e violenti, anche se rimarrà sempre insopprimibile “l’amore per la fama, che è la passione dominante delle più nobili menti (Alexander Hamilton), ma anche di quelle più ignobili. Infatti “Il desiderio della stima altrui è un bisogno di natura tanto reale quanto la fame. Fine principale del governo è regolare tale passione” (John Adams, p. 365). Su questo principio e su quello dell’effetto profondamente corruttivo del potere si basa il principio della divisione del potere esecutivo, legislativo e giudiziario, e quello della divisione dei poteri economici attraverso leggi antitrust che impediscono la strutturazione di monopoli e oligopoli.

Ogni Costituzione dovrebbe tenere a freno tutti gli aspetti della natura umana che predispongono alle situazioni di guerra, che non è solo una primitiva sete di sangue, ma soprattutto una volgarissima fame di prestigio: “La guerra è infatti la vera nutrice dell’aumento di potere dell’esecutivo. In guerra si crea una forza materiale, e sarà la volontà dell’esecutivo a dirigerla. In guerra la cassa dei tesori pubblici deve venire aperta, e sarà mano dell’esecutivo a distribuirli. In guerra si devono moltiplicare onori ed emolumenti, e sarà sotto il patrocinio dell’esecutivo che se ne godrà. È in guerra infine che si mietono allori, e sarà la fronte dell’esecutivo che essi cingeranno. Le più forti passioni e la più pericolosa debolezza dell’animo umano – ambizione, avarizia (e avidità), vanità, l’onorevole o scusabile amore per la fama – cospirano tutte contro il desiderio e il dovere della pace” (James Madison, p. 366). La guerra è quindi una realtà parallela al mondo civile, da cui non si può uscire senza che almeno una delle parti principali coinvolte ammetta i suoi errori o la sconfitta. Come disse Edmond Burke, “Dimostratemi che ciò per cui vi battete risponde a ragione, dimostratemi che risponde al buon senso, dimostratemi che è il mezzo per raggiungere qualche utile finalità, e io sarò lieto di concederle tutta la dignità che vorrete”.

Gli americani nella loro Costituzione hanno addirittura previsto e istituzionalizzato il diritto dei cittadini a insorgere contro il proprio governo, nel caso in cui l’azione statale andasse contro la sicurezza, la sopravvivenza e i diritti della popolazione. La Costituzione americana garantisce i diritti alla “vita, alla libertà e il perseguimento della felicità” e considera lo Stato come il “frutto di un patto stabilito per tutelare questi diritti, non l’incarnazione di un superorganismo autonomo. I diritti richiedono di essere tutelati perché, quando le persone vivono insieme, le loro diverse doti e condizioni portano alcuni a possedere cose che altri desiderano” (Pinker p. 365). Perciò bisogna prendere atto che “Gli uomini hanno differenti e ineguali facoltà per acquisire beni” (Madison), e che “Il deterioramento d’ogni governo ha inizio con la decadenza dei principi sui quali venne fondato” (Montesquieu).

Comunque c’è anche da aggiungere che durante la Seconda guerra mondiale ci fu “circa lo stesso numero di vittime militari e civili, mentre ai nostri tempi le vittime civili arrivano anche al 90 per cento del totale. Nel mondo di oggi quasi tutte le guerre sono guerre civili: non vengono cioè combattute da eserciti di paesi diversi, ma prevalentemente da milizie popolari, movimenti separatisti, insorti e ribelli all’interno dello stesso paese” (Linda Polman, L’industria della solidarietà. Aiuti umanitari nelle zone di guerra, Bruno Mondadori, 2009).

Forse tutto ciò significa che gli esseri umani stanno diventando troppi: non ci sono più continenti e spazi liberi dove migrare e allora sempre più spesso ci si scanna tra “vicini di casa” (siamo cresciuti di sette miliardi in soli duecento anni). Inoltre, come affermato da Amin Maalouf (Premio Nonino 1999), “A partire dal momento in cui esiste una civiltà predominante (come quella occidentale), rappresentata dall’unica superpotenza planetaria (gli Stati Uniti), trascendere le civiltà e le nazioni non può più accadere nella serenità. Le popolazioni che si sentono minacciate di annientamento culturale o di emarginazione politica porgono orecchio per forza a coloro che incitano alla resistenza e allo scontro violento… il solo limite al “dannato egoismo” delle nazioni è la necessità di evitare che l’intero sistema crolli” (Un mondo senza regole, 2009, p. 77 e p. 91). 

Dunque “Il futuro non appartiene a chi s’accontenta dell’oggi, a chi è indifferente ai problemi comuni e al suo prossimo, esitante e timoroso di fronte a nuove idee e progetti audaci. È piuttosto di chi è capace di fondere visione, ragione e coraggio in un impegno personale negli ideali e nelle grandi imprese” (Robert F. Kennedy, p. 356). Per fortuna “Quando soffia il vento della storia alle persone spuntano le ali, come agli uccelli” (Konstanty Ildefons Galczynsky, poeta polacco), e tutti possono capire che “tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra” (Freud, Perché la guerra?, 2002). Come disse J. F. Kennedy, “L’umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all’umanità”. I veri leader mondiali hanno ben presenti le loro responsabilità e sono pronti a morire per il loro paese, ma non sono pronti a lasciare che il loro paese muoia per loro (Neil Kinnock, leader laburista ai tempi della guerra fredda). Anche “solo” economicamente…

 “Cos’è il governo in sé, se non la più grande di tutte le riflessioni sulla natura umana?” (James Madison, uno dei padri dell’indipendenza americana).

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares