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Pinocchio. La necessaria metamorfosi dell’identità

Si è detto tanto sulla fiaba di Pinocchio. Tanto che, se Collodi potesse dire la sua, molto probabilmente stravolgerebbe tutte le nostre congetture ed ipotesi. Il mondo mitico fiabesco introdotto, quasi sempre e costantemente dal “c’era una volta”, ci induce però, come tutti i miti, a nuove suggestioni prodotte dal mito stesso. Un continuo rinvenire sulla narrazione che ci appare sempre piena di nuovi significati. Dunque, perché sottrarsi a questa pratica che è insita nella natura stessa di questo tipo di racconti? Pinocchio, in fondo, è il simbolo della precarietà, dell’incertezza.
 
Una creatura nuova ed informe, nata da un legno che contiene qualcosa e che, al suo interno, può contenere altro. E così via, fino alla traformazione, per eccellenza e definitiva, in essere umano. Il protagonista, come è noto, è all’inizio solo un pezzo di legno destinato ad ardere in qualche camino, mastro Geppetto però desidera tanto farne un burattino. E dal momento in cui questo ceppo passa nelle mani di Geppetto esso si anima, diviene essere semovente fino ad avere una propria autonomia ed una propria coscienza. Ma non basta, Pinocchio è un burattino ma fa le stesse cose che fanno molti bambini della sua età: marina la scuola, vuole divertirsi come tutti. Nelle fiaba tutto può accedere, ma è a questo punto che Collodi crea una contraddizione: Pinocchio è un burattino ma lo è esternamente, vi sono molti coetanei, bambini veri, ma burattini dentro, essi ascoltano i cattivi maestri ed i cattivi consigli. Sono automi non individui. Pinocchio appare il negativo di un bambino della sua età e le sue vicissitudini non sono altro che un lenta reversione. Il vero bivio del suo mutamento, della sua metamorfosi è al paese dei balocchi. Qui il rischio è che la trasformazione diventi irreversibile, tanto è vero che il suo cattivo compagno, Lucignolo, diventa ciuchino per sempre, condannato a lavorare e a morire di stenti. I bambini veri, ma senza coscienza, vengono tramutati in ciuchini, il burattino-bambino, che finalmente accetta ed acquisisce le necessarie qualità morali, può diventare, invece e finalmente un umano. 

È una fiaba in cui regna sovrana l’incertezza, mutano costantemente gli scenari ed i personaggi, è un mondo in continua metamorfosi. Anche Geppetto, la Fata, il Grillo appaiono e scompaiono nella narrazione. L’identità del bambino Pinocchio si costruisce in questo lungo viaggio di continue trasformazioni e somatizzazioni, come il naso che si allunga in occasione delle bugie. In Pinocchio la metamorfosi appare guidata o contrastata anche da altri umani-animali con funzioni diverse ed a volte antitetiche. Il compito dei personaggi presenti nel capolavoro di Collodi appare, infatti, quello di allontanare o avvicinare il burattino alla sua naturale vocazione di diventare il figlio in carne ed ossa di mastro Geppetto. Lo potrà diventare solo se, liberamente, sceglierà di divenire un ragazzo a modo. Le forze in campo nel racconto appaiono partorite, in fin dei conti, dallo stesso desiderio del falegname che, nelle pagine iniziali del libro, dà un soffio vitale al pezzo di legno scartato da Mastro Ciliegia.. In buona sostanza il racconto di Collodi è, infine, il racconto e l’avverarsi del desiderio paterno di Geppetto.
Notevoli sono in proposito le analogie di questo fortunato racconto con le scritture bibliche. Pinocchio e il padre (non naturale ma creatore, che modella il burattino dal legno) dovranno infatti trascorre, per espiare la colpa originaria e completare questa trasformazione, un periodo della loro esistenza nel ventre di un pescecane. Qui il riferimento alla Bibbia, in particolare al libro di Giona, appare molto esplicito. Giona , infatti , nel racconto biblico rifiuta l’ordine del Signore di andare Ninive e s’imbarca invece per Tarsis. Ma la nave su cui è salito rischia di essere sommersa da una tempesta, i marinai riconoscono in lui il portatore della colpa, che rischia di causare la fine anticipata e tragica del viaggio, e lo gettano in mare. Qui Giona viene inghiottito da un grosso pesce nel ventre del quale permane per tre giorni e tre notti ed è solo grazie al riconoscimento della volontà divina ed alla preghiera a Dio che viene restituito alla luce dove continuerà la sua missione.
Nei casi di Pinocchio e Giona è la disubbidienza alle regole a dominare la trama. Il lettore si sente legato ad esse perché l’evidenza si manifesti anche al protagonista e lo conduca verso l’esito della volontà superiore. Esito che è possibile realizzare solo quando le regole infrante vengono riconosciute ed interiorizzate. La metamorfosi sembra essere dettata dalla volontà familiare e sociale di normalità..
Si tratta, però, di una metamorfosi ibrida, non naturale. Ci troviamo evidentemente di fronte ad un meccanismo, non solo letterario in senso stretto, che lascia perplessi, in primo luogo i lettori. L’ibridazione della metamorfosi mette in moto meccanismi metatestuali e metaletterari proponendo al lettore una visione altra, oserei dire assurda e scarsamente prevedibile dei fatti narrati.
Quella della metamorfosi appare, in questi esempi, sempre più la metafora del lungo percorso dell’individuo nella costruzione della sua identità. La metamorfosi diviene così, e Pinocchio in primis sembra confermarlo in quanto letteratura destinata tradizionalmente all’infanzia, la testimonianza che è sempre il contesto sociale a giudicare il risultato prodotto di qualsiasi affermazione dell’essere sociale. In questo senso la metamorfosi, seguendo il ragionamento di Zygmunt Bauman, è anche la metamorfosi di una modernità in cui le condizioni in cui opera l’individuo, e le strategie formulate in risposta a tali condizioni invecchiano rapidamente, diventano obsolete prima che gli attori abbiano avuto una qualche possibilità di apprenderle correttamente. Il problema identitario e della sua mutabilità, reversibilità, appare, non solo in letteratura, un tema centrale e di difficile soluzione. Per Bauman l’idea di “identità” è nata dalla crisi dell’appartenenza e dallo sforzo che essa ha innescato per colmare il divario tra “ciò che dovrebbe essere” e “ ciò che è”, ed elevare la realtà ai parametri fissati dall’idea, per rifare la realtà a somiglianza dell’idea.

Nella modernità fluida – per concludere in breve il ragionamento del sociologo polacco – i riferimenti per la costruzione della nostra identità non sono stabili e noi li inseguiamo, per raggiungerli anche se solo per un momento. Ma una volta raggiunti, non essendo conveniente e utile una loro fissità, ce ne sbarazziamo il prima possibile. L’individuo appare, così, impegnato in una continua metamorfosi, necessaria per non restare indietro in questa corsa incessante.

Bibliografia minima

Bauman, Zygmunt, Intervista sull’identità, a cura di Benedetto Vecchi, Laterza, 2003;
Bauman, Zygmunt, Vita liquida, Laterza, 2008;
Berger, P.L., Luckmann, T., La realtà come costruzione sociale, Il Mulino, 1969;
Brevetto, Gianfranco, Mosche! Letteratura, metamorfosi, presentimento, Aracne, 2008;
Pecchinenda, Gianfranco, Homunculus, Sociologia dell’identità ed autonarrazione, Liguori, 2008

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