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Pensieri sociali per il 2010

Una macchina è un congegno per produrre e regolare movimento. Un fiore crescendo si muove non meccanicamente, bensì vitalmente. Ciò che è mosso dalla macchina e ciò che si muove da sé per proprio impulso vitale sono due cose differenti, dato che la prima non ha in sé alcun impulso vitale, mentre la seconda, sì.

In base a queste preliminari semplici osservazioni è possibile avvicinarsi alla comprensione delle leggi umane e di quelle cosmiche, cioè karmiche.
 
Soprattutto oggi tale comprensione si rivelerà sempre più necessaria in quanto il nuovo schiavismo appare come una vera piaga sociale da curare e guarire come malattia mentale generata da pensiero debole.
 
Infatti chi opera per impulso altrui opera secondo leggi karmiche. Chi così opera è il cosiddetto attivista di partito o esecutore. È l’uomo robot, l’attivista della pescitudine, che ubbidisce alla legalità perché così fan tutti ed hanno sempre fatto tutti, non perché riconosce in sé la legittimità di quella legge o legalità. Allora è una persona non libera generatrice di debito karmico rispetto ai suoi simili, uno schiavo che nessuno può liberare. Solo lui può liberarsi. Non liberandosi diventa una trappola pericolosa per sé e per i propri simili, che catechizza o contagia con la medesima schiavitù logicizzata secondo sofismi che sembrano pensiero, ma che sono in realtà errori di pensiero: pensati altrui assunti come propria vita di pensiero.
 
Il fatto che nel web esista una combriccola neomarxista e neogiacobina di detrattori assoluti dell’universalità del pensare dimostra che la libertà li spaventa perfino se coglie il senso marxiano dell’anarcocapitalismo. Per Marx infatti l’organizzazione dell’economia o la sua amministrazione doveva essere disgiunta da ogni tipo di governo sugli uomini.
 
Quanto segue è dunque il tentativo di descrivere la fenomenologia karmica, espresso in poche essenziali osservazioni.  
 
Come la natura è interpretabile secondo leggi meccaniche, anche se in essa tali leggi non sono meccaniche - la natura del fiore, ad esempio, come prima accennato, non lo fa crescere o muovere in modo meccanico - così le leggi giuridiche esprimono, sì, un meccanismo, in cui il pensiero libero da meccanismi si espresse per crearle, cioé per conseguire un riferimento necessario a un determinato livello della coscienza.
 
Il male di queste norme consiste nel loro essere un meccanismo, cioè un pensato, in cui non c’è più pensiero vivo. Ed anche se tale pensato non si è più capaci di rivivere dall’origine, quando si era indipendenti da esso, tuttavia lo si assume come autorità attuale ed automatica per il pensiero!
 
Questo appena descritto è un meccanicismo mentale escludente l’elemento morale in quanto crede di averlo, tuttavia ignorando il momento creativo del pensiero da cui è sorto. Tale meccanicismo imponendosi all’io umano, è necessariamente contro l’io, se l’io non giunge a ridominarlo ogni volta, servendosene. Così è la natura, l’etica, la cultura, ed il passato divenuto consuetudine.
 
Allo stesso modo il karma è un meccanismo ferreo per chi pensa non secondo la realtà da cui il karma sorge, così come sorge la vitalità della natura, ma secondo la legge che il karma brutalmente impone sulla scena esteriore. L’uomo non libero ha bisogno di tale meccanismo: sottostà a principi che ignora e a cui si contrappone con le proprie leggi, mediante le quali, manovrando abilmente può imporre ad altri il proprio inferiore livello. L’uomo libero sa che da tale meccanismo non può procedere evoluzione umana, perché esso, non dominato, impedisce l’estrinsecarsi di ciò che è operante sin dall’inizio dell’evoluzione, l’impulso originario perduto. L’uomo libero può apprendere che questo impulso è stato restituito, è nuovamente operante alla radice dell’individualità umana. Essendo veramente individuo, cioè libero, cioè se stesso alla radice di sé, egli ritrova il Logos in sé: la Forza dell’io che attende essere conosciuta (M. Scaligero “Reincarnazione e karma. Il ritorno sulla terra come legge di equilibrio”, Roma, 1976 - 1989).
 
Un’azione indipendente dal karma è innanzitutto un atto interiore, per esempio l’impulso a sanare, mediante dedizione sacrificale, una situazione ingiusta sopraffacente, o a porgere l’aiuto impossibile a un essere in pericolo. Tale impulso interiore può ovviamente anche non giungere a tradursi in un’azione corrispondente: può essere sentito solo come nobile moto interiore e permanere semplicemente tale: come tale è già qualcosa che arricchisce il clima morale terrestre. Ma se tale agire si attua nonostante gli ostacoli o l’impossibilità, entra, come impulso trasformatore e vincitore del male, nella reale corrente evolutiva.
 
Infatti è un impulso inevitabilmente vittorioso, perché attinge a forze umane indipendenti dal karma. Può realizzarsi, perché attinge a tali forze, con la certezza che esse sono vere, esistono, sono in atto: questo il segreto. Poiché si riesce a rivolgersi a tali intime forze in quanto massimamente individuali, non si può che essere vincenti.
 
L’uomo può scoprire che il suo potere morale non ha limiti, perché il suo conoscere non ha limiti: egli è libero di concepire qualsiasi superamento di se stesso, in quanto può attingere all’essenza di sé, ogni volta riconoscendo illimitata la corrente vittoriosa della volontà (ibid.).
 
In realtà ciò che va superato è l’umano stesso, dato che per ora l’umano coincide con ciò che corrompe la vita. Solo così il pensiero può attingere alla forza che può trasformare il male in bene e interrompere la concatenazione ineluttabile dell’odio.
 
Chi quotidianamente, per ragioni professionali, manipola notizie e consapevolmente, sia pure con la presunzione di un fine giusto, altera la verità, così da suscitare stati d’animo e reazioni a catena politicamente utilizzabili non immagina che ciò che lo attende in una prossima esistenza lo ha oggettivamente di fronte nel fenomeno dei minorati psichici e fisici.
 
C’è una serie dolorosa di mali umani che sta lì come simbolo di un pareggio da conseguire, riguardo a debiti morali contratti nella precedente esistenza. In effetto la menzogna determinatamente organizzata, prende corpo, reincarnandosi come menzogna corporea.
 
Non v’è disagio arrecato agli altri, di cui non si debba rendere conto, anche se questo disagio è prodotto indirettamente, cioé senza diretta responsabilità, come, per esempio, mediante uno sciopero. Un tale evento, che raramente consegue i risultati attesi, perché, malgrado le migliori intenzioni, inevitabilmente conforme a una visione parziale della situazione contemplata, e perché connesso a collaterali conseguenze che ne annullano il minimo contenuto positivo, non è altro che un prodotto karmico, che appunto per questo postula un atto responsabile e libero.
 
Quando, in nome di un problema sociale, si apre il varco a impulsi inconsci di cui non si suppone il potere collettivistico, e che si manifestano come tendenza a manovrare le categorie, essendo i manovratori essi stessi manovrati da altri a loro volta manovrati, così che è difficile identificare il moto primo, allora il fenomeno, in quanto karmico, esige da ciascuno la risposta della responsabilità attuale dell’io. Dove tale risposta manca, ognuno assume karmicamente il proprio debito, ed ognuno dovrà rispondere di ciò che l’evento provoca di guasto umano, sociale ed economico. Sono karmicamente responsabili anche coloro che cooperano all’evento, non convinti o non consapevoli.
 
Assumendo come vera una notizia falsa, e in buona fede la si comunica o propaga come vera, non si è karmicamente meno responsabili che se si fosse autori del mendacio. Si assume così "la responsabilità di tutti i “sentito dire”, le propagande, le calunnie, che accettano senza verifica, cioè senza possibilità di concepire quale comportamento si esigerebbe dagli altri se tali calunnie ingiustamente riguardassero noi” (ibid.).
 
E, a proposito di menzogna, anche quando un consesso parlamentare delibera circa una situazione collettiva, ciò che viene deliberato e che appare provenire da una votazione o da una contingente strategia politica, è in realtà un’immateriale conclusione originata molto prima come un’equazione rispondente alla somma di forze morali, delle quali il karma necessita attraverso le difficoltà che tale deliberazione procura poi alla collettività. In politica è difficile che il deliberare coincida con impulsi morali, peraltro magari inizialmente presenti nel procedimento politico, perché malgrado le lodevoli intenzioni, finiscono sempre per subordinare a sé il procedimento stesso.
 
L’accennata fenomenologia da’ modo di intendere come sia individuabile il retroscena karmico di ognuno riguardo a difficoltà umane apparentemente affini in quanto le ingiuste situazioni umane non sono cause, ma effetti, che pertanto esigono, prima di provvedimenti esteriori, risoluzioni interiori da parte di chi le avverte. I provvedimenti esteriori, anche se appariscenti, sono quasi sempre ingannevoli, dato che non colgono il male dove sorge come processo interiore, e cioè secondo trame di forze immateriali. Se io accuso qualcun altro all’infuori di me dei miei mali, in realtà vado contro me stesso. Quando accuso il prossimo, la mia partner, il compagno di lavoro, il cosiddetto “padrone”, la società, ecc., io genero karma. Un solo ente potrei accusare a ragion veduta, legittimamente e senza generare karma: il pensiero che genera l’errore, il pensiero che sta dietro il sistema: non il sistema, secondo la moda dei flaccidi pensatori di questo tempo.
 
Io posso veramente combattere solo il pensiero che è all’origine delle situazioni nocive. Ma il luogo vero di tale combattimento non è un kurushetra a me esterno. È la mia mente: io posso combattere l’errore del mondo, cioè il pensiero erroneo, nel mio mondo di pensieri. Posso separare la verità dall’errore nella mia attività interiore, estinguendo l’errore, e iniziando in me un’opera di superamento dell’errore che vedo fuori di me.
 
Questo modo di combattere non escluderà la serie dei provvedimenti esteriori oggettivamente necessari al risanamento di situazioni ingiuste, ma a condizione di non dimenticare che queste germinano non da fatti, ma da posizioni di pensiero, soprattutto da pensiero debole.
 
Non c’è dunque da combattere contro uomini, ma contro entità interiori, che dominano l’uomo sotto forma di errori di pensiero. La visione storica del mondo è inutile senza questo combattimento interiore. Da questo punto di vista, la visione karmica della storia è il principio della sua reale conoscenza, in quanto è un processo morale, come lo è ogni vera conoscenza. Essa infatti opera come un’istanza radicale alla fraternità umana.
 
Oggi invece, dopo quasi un secolo di consociativismi e/o di corporativismi aberranti è divenuto molto facile, per esempio, eccitare il dipendente contro il dirigente e far dialetticamente apparire quest’ultimo come sopraffattore. È molto facile. È la finzione di un coraggio, che in realtà non si ha. Apparenza troppo facilmente dimostrabile: apparenza di una realtà anche logicamente ben diversa, del processo produttivo, che esige anzitutto l’ideatore, l’iniziatore, l’organizzatore e il coordinatore, prima che l’esecutore.
 
Nessuno in verità dipende da altri. Non c’è altro padrone che l’io. Un dirigente ingiusto è una calamità sociale, che solo in un regime di coartazione politica può esistere oggi con crisma liberatorio: cioè là dove si finge che la dipendenza del dipendente dall’organismo produttivo sia cessata ed egli non dipenda più da alcuno, se non dalla Società, o dallo Stato, che sono invece i padroni acefali, i più inappellabili. La vera cessazione della dipendenza infatti è anzitutto un’operazione di liberazione del pensiero, un’indipendenza interiore, che solo in un clima di rispetto della persona umana è realizzabile (ibid.). Oggi, la finzione universale della liberazione del lavoratore ha come inevitabile sbocco il suo reale incatenamento al sistema, fingente in varie forme la liberazione.
 
Chi nasce col destino della dipendenza da dirigenti o col solito trip della lotta di classe, lasciandosi guidare da questa ribellione senza afferrare il senso del proprio destino, finisce col peggiorare il proprio destino: come è avvenuto su tutto il pianeta, e in ogni campo lavorativo, sotto la parvenza di conquiste sociali che non riescono a neutralizzare il male dell’incalzante necessità materiale, illusoriamente conosciuto.
 
La situazione è aggravata dal fatto che i dirigenti, in quanto personaggi preposti per destino all’organismo economico, hanno in sé forze necessarie al benessere del popolo a cui appartengono, essendo per formazione prenatale dotati di un potere individuale di intuizione dell’impulso produttivo e di azione positiva sulla realtà economica. Aver paralizzato la loro azione è stato un male grave, perché si tratta di operatori insostituibili. La lotta contro tali operatori in tutto il mondo, come lotta contro i fulcri individuali creativi del benessere collettivo, è stata sostanzialmente la vera causa dell’attuale disastro economico.

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