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Mescolare la sabbia (掺沙子) e tirare fuori il serpente (引蛇出洞)

Sugli incidenti nello Xinjiang, ecco le riflessioni del professor Stefano Cammelli, come al solito illuminanti e originali.

Riassumo brevemente.

I cinesi sono nello Xinjiang dal I secolo dopo Cristo, in epoca Han, “ricordarlo serve comunque a sgombrare ilcampo dalle ricorrenti affermazioni che vorrebbero i cinesi essere giunti nel Xinjiang solo alla metà del XVIII secolo con gli eserciti Qing“.

Gli uyghuri sono un popolo relativamente recente (gli uyghuri originari erano un popolo mongolo), figli di ulteriori incroci e del nazionalismo panturco. Nello Xinjiang vivono per altro “altri popoli (in primis kazaki, tajiki) che non vedono affatto con favore il prevalere dell’elemento uiguro. Inoltre, come dice il proverbio, “le montagne sono alte e l’imperatore lontano”. Molto meglio essere comandati dalla lontana Pechino che dal signore locale uiguro. Pechino può distrarsi, il signorotto locale no”.

Le sofferenze che la Cina ha inflitto agli uyghuri non sono diverse da quelle che ha inflitto a se stessa, nella costruzione dello Stato socialista, dal ‘49 a oggi: “Furono molti coloro che in Tibet e Xinjiang soffrirono per la rivoluzione cinese e la laicizzazione della vita religiosa. Essi furono comunque una esigua minoranza, quasi irrilevante, rispetto alle decine di migliaia di monaci taoisti, buddhisti, lamaisti della Cina stessa. Rispetto alle migliaia di templi distrutti nella sola Cina”.
Non c’è una specificità della sofferenza musulmana.

Quanto a chān shāzi (掺沙子), mescolare la sabbia, sta a significare la politica di “hanizzazione” del territorio.

Se “un problema è troppo complesso peressere affrontato e troppo difficile per essere risolto lo si mescola progressivamente e sempre più con altri fino aquando è proprio questa unione che lentamente, a poco a poco rende la soluzione possibile e, finalmente, realizzabile”.



In un territorio a prevalenza uyghura, l’immigrazione han ha “mescolato la sabbia”: è un processo irreversibile, il vecchio Xinjiang non esiste più, bisogna farsene una ragione.

Bisogna quindi per forza puntare a una politica di convivenza: “Ci sono ormai almeno due, tre, quattro generazioni di cinesi nati in Xinjiang da genitori cinesi e da nonni cinesi che considerano il Xinjiang casa loro. Nessuno riuscirà più a rimandarli indietro in base a tabelle di appartenenza etnica del secolo scorso”.

Quanto agli eventi specifici, la rivolta del 5 luglio, Cammelli introduce la categoria di Yĭngshéngchūdòng (引蛇出洞) “ovvero tirare fuori dalla tana il serpente per schiacciarlo“.

Secondo lui, è quanto ha fatto il potere cinese per far uscire gli uyghuri irredentisti allo scoperto e obbligare quelli moderati a schierarsi sotto l’ala protettrice di Pechino. E’ la stessa interpretazione che aveva dato della rivolta tibetana del 2008 e si basa sull’osservazione della strana incapacità mostrata dalle forze di sicurezza per ben due volte in 18 mesi.

“Le conseguenze di tutto questo? Un crescente moto di approvazione della società cinese per una ulteriore riduzione degli spazi uiguri e della loro autonomia. Ciò che resta di Aksu, Kuqa, Yarkand, Kashgar, Khotan pare

- davvero - essere segnato per sempre”.

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