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Meno criminalità, meno tasse

I recenti scontri tra Brunetta e Tremonti non segnano profondamente solo il governo Berlusconi, ma segnano anche un’epoca. Un’epoca che, in Italia, dura da quasi 20 anni. E’ l’epoca del "vorrei ma non posso". L’epoca nella quale servirebbero grossi investimenti per rimettere il nostro Paese al passo con gli altri stati dell’occidente moderno. Investimenti che però non arrivano mai, a volte per disinteresse degli amministratori, ma più spesso per una spada di Damocle che pende sulla testa di tutti i ministri dell’economia: il debito pubblico.
 
Il debito pubblico italiano si aggira sui 1.700 miliardi di Euro, ed è in costante aumento. Questa cifra ci pone al secondo posto al mondo, alla pari del Giappone e dietro ai soli USA, che però sono molto più popolosi. Un debito di queste dimensioni, va da sé, dev’essere controllato e non si può lasciare che cresca troppo. Ma come fa il governo a pagare il debito? In parte contrae nuovi debiti, ad esempio con i risparmiatori, emettendo i titoli di Stato. In parte invece si finanzia attraverso le tasse o la (s)vendita dei propri beni.
 
Avrete notato che ho scritto quella parolina magica, la base dei successi e delle rovine di ogni politico: tasse. Le odiate tasse, le altissime tasse, le incomprensibili tasse. Le tasse servirebbero per garantire quei servizi che lo stato deve ai suoi cittadini, ovvero la sanità, l’istruzione, la sicurezza, la giustizia, l’amministrazione del territorio, la costruzione e la manutenzione delle opere pubbliche e dei beni pubblici. Ma in Italia esse servono anche per pagare i debiti e gli interessi sui debiti.
 
Ci si chiederà allora come abbiamo fatto a contrarre questi debiti. Negli anni ’80 la spesa pubblica si alzò molto e la generazione dell’epoca visse al di sopra delle proprie possibilità, sviluppando sì il Paese, ma facendone pagare il prezzo alle generazioni successive. Oggi si raccolgono i frutti di quella gestione (poi rivelatasi criminale) del denaro pubblico e del potere.
 
E ora ho scritto un’altra parola chiave, che influenza fortemente la nostra economia e il bilancio statale: criminale. Sì, perché la criminalità controlla e influenza l’economia nazionale. Le mafie nel 2008 hanno fatturato 130 miliardi di Euro. La corruzione è stimata tra gli 80 e i 200 miliardi di Euro. I profitti non dichiarati al fisco si aggirano sui 150 miliardi di Euro. Chiaro che queste cifre si accavallano e si confondono l’una con l’altra. Si può dire che i danni che l’economia criminale causa alle casse pubbliche siano attorno ai 300-400 miliardi di Euro all’anno.
 
Questo danno si divide tra maggiori spese e mancati ricavi, chiaramente. La corruzione, in fondo, non fa altro che far aumentare il costo di un bene abbassandone la qualità. L’economia criminale dunque è invisibile, e il cittadino non la percepisce come tale, anzi, spesso se ne avvantaggia (ad esempio non paga l’IVA dal dentista), ma poi si lamenta dei suoi effetti diretti più evidenti come le tasse, gli sprechi, l’inefficienza dei servizi pubblici, il debito dello stato.
 
Ma l’economia criminale rallenta anche l’economia legale a causa della concorrenza disonesta, a causa della maggior disponibilità di denaro liquido, a causa anche di metodi violenti e intimidatori. I danni di questo sistema, di questo modello economico malato sono dunque altissimi. Ma come si può fare per contrastarlo?
 
Secondo me servono due azioni, sinergiche e fondamentali tra loro, che però dipendono entrambe dalla volontà politica di farle (dunque anche dalla volontà dei cittadini di vederle attuate). La prima consiste in un inasprimento delle pene e delle sanzioni pecuniarie nei confronti di chi si macchia di crimini economico-finanziari o affini. Chiunque dunque concorra ad aggravare lo stato della nostra economia deve essere messo nella condizione di non nuocere più.
 
Bisognerà dunque far sì che la magistratura e le forze dell’ordine possano indagare e ottenere dei risultati in maniera rapida, perché nessuno sente il bisogno di violare i diritti di nessuno. Bisogna però tener conto anche della necessità di fare chiarezza in ambito processuale, senza inutili frette che possono portare a condanne o assoluzioni affrettate.
 
Dall’altra parte però la politica deve premiare chi lavora onestamente, diminuendo le tasse e la burocrazia, favorendo la libera impresa e la dinamicità degli imprenditori italiani. Io sono convinto che se i nostri uomini politici attuassero un piano simile, nel giro di pochi anni riusciremmo a riportare il debito pubblico a valori meno preoccupanti di quelli attuali e a dare un nuovo impulso alla nostra economia, che poi potrebbe crescere ancora di più in seguito agli investimenti che si potrebbero fare con un debito minore.
 
Le recenti prese di posizione del governo e del parlamento, però, mi sembra che vadano in direzione del tutto opposta a questa. La Lega Nord è più preoccupata di cacciare gli extracomunitari che di combattere la mafia che sta avvelenando le imprese venete e lombarde. Il PdL sembra più preoccupato di salvare la pelle al proprio capo che a salvare il Paese. Il PD sembra più preoccupato di decidere tra un’improbabile rianimazione a base di ricette novecentesche e la stesura di un testamento (non biologico, per carità) post mortem. L’UDC è l’unico partito che pensa al futuro, peccato che pensino solo al loro futuro, tentando di riprendere il potere perso 20 anni fa. Difficile, davvero difficile trovare qualcuno all’orizzonte che abbia una minima idea di come risolvere questi problemi. E qui ho scritto la terza parola chiave: difficile.
 

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