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Liberi di pensare pensieri discutibili

"In difesa delle cause perse" è l’ultima e complessa opera del discusso filosofo sloveno Slavoj Zizek (Ponte alle Grazie, 2009; nel 2007 Zizek ha scritto il limpido saggio “La violenza invisibile”).

In questo libro il libero pensiero è davvero libero di esercitarsi e la trattazione della letteratura e della cinematografia popolare contemporanea risulta indubbiamente molto originale. L’opera è composta da più di cinquecento pagine di esercizi intellettuali funambolici, perciò è decisamente difficile da sintetizzare, per cui mi limiterò a riportare alcune delle sue parti più significative.

Non posso quindi tralasciare questo divertente e illuminante punto di vista sulla psicoanalisi: “Lo psicoanalista non è una figura-maestro, ma una specie di “prostituta della mente”, che fa ricorso al denaro per la stessa ragione per cui alcune prostitute vogliono essere pagate in modo da poter fare sesso senza avere un coinvolgimento personale, mantenendo la loro distanza: qui noi incontriamo la funzione del denaro nella sua forma più pura” (p. 37).

Un’altra riflessione molto penetrante è questa: “E’ molto più difficile per noi torturare una sola persona che lanciare da grande distanza una bomba, che potrebbe causare la morte più terribile per migliaia di persone. Siamo così catturati in una sorta di illusione etica, parallela alle illusioni percettive. La causa fondamentale di queste illusioni è che, sebbene la nostra capacità di ragionamento astratto si sia sviluppata immensamente, le nostre risposte emozionali ed etiche rimangono condizionate da reazioni istintive vecchie di millenni di empatia rispetto alla sofferenza e al dolore direttamente esperito” (p. 65).

Per quanto riguarda il vecchio mondo comunista riporto questa divertente e lucida barzelletta polacca: “Il socialismo è la sintesi delle più grandi conquiste di tutti i precedenti modi di produzione: dalla società tribale priva di classi prende il primitivismo, dal modo asiatico di produzione prende il dispotismo, dall’antichità prende la schiavitù, dal feudalesimo prende il dominio sociale dei signori sui servi, dal capitalismo prende lo sfruttamento e dal socialismo prende il nome” (p. 397).

Comunque in quasi tutte le società umane, compresa quella capitalista, esiste la funzione di mantenere le apparenze, perciò “le relazioni di dominio funzionano attraverso la loro negazione: per essere operative, devono essere ignorate. Non solo siamo obbligati a obbedire ai nostri padroni, ma siamo anche obbligati ad agire come se fossimo liberi e uguali, come se non ci fosse dominio” (p. 253-254).

Per la nostra “élite tecnocratica liberale illuminata il populismo è costitutivamente “proto fascista”, rappresenta la rinuncia alla ragione politica, una rivolta in guisa di esplosione di cieche passioni utopistiche. La risposta più facile a questa liquidazione consisterebbe nell’affermare che il populismo è per sua natura neutro: una sorta di dispositivo politico trascendentale-formale che può incarnarsi in differenti posizioni politiche” (p. 345).

Oggi, nelle società occidentali il denaro è diventato un feticcio: “un semplice stupido oggetto a cui ci si attacca e che ci permette di sopportare tutti gli sporchi compromessi della nostra vita” (p. 372). Si può allora immaginare “uno scenario simile a quello ipotizzato da Saramago in “Saggio sulla lucidità” (in cui un popolo rifiuta all’improvviso di partecipare alle elezioni), ma trasposto nel dominio economico: un popolo che rifiuta di partecipare al gioco finanziario virtuale. Forse un tale rifiuto potrebbe essere oggi l’atto politico decisivo” (p. 379). Inoltre, il gesto creativo e negativo di creare uno spazio vuoto è la condizione basilare e necessaria per dare vita ad un atto positivo: creare un vuoto da riempire è una strategia democratica radicale (p. 383).

Inoltre, se adottiamo un punto di vista simbolico, linguistico e psicologico lacaniano, dobbiamo considerare ogni cultura umana come un diverso “Significato Maestro”, cioè “l’insieme di regole fondate solo in sé stesse (“è così perché è così, perché sono i nostri costumi”) – ed è la dimensione del Significante Maestro a essere sempre più minacciata nelle nostre società” (p. 35). Perciò la questione centrale di ogni cultura umana è quella legata ai significati e ai “Significanti Maestri”, cioè ai principi di ordinamento del mondo che stabiliscono cosa è giusto e cosa è sbagliato. Le società tradizionali (pre-moderne) risolvevano questo problema invocando una fonte trascendentale che “verificava” il risultato (delle azioni), conferendogli autorità (Dio, Re ecc.). Qui risiede il problema della modernità: le società moderne si percepiscono come autonome, autoregolate; ovvero, non possono più riposare su una fonte esterna (trascendente) di autorità” (p. 36).

Nella complessità e molteplicità del mondo e delle sue interpretazioni (femminile e maschile, religioso e politico, ecc.), il prendere una semplice decisione diventa sempre più difficile e anche alle personalità più sapienti a volte sfugge la motivazione di una scelta. Come disse J. F. Kennedy, l’essenza della decisione finale rimane impenetrabile all’osservatore e spesso anche a colui che ha preso la decisione. Perciò “lo scopo di avere una mente aperta, come quello di avere una bocca aperta, è di chiuderla su qualcosa di solido” (Chesterton).

Quindi si apre questa questione: “Sebbene i nostri atti (a volte persino individuali) possano avere conseguenze catastrofiche (ecologiche e così via), noi continuiamo a percepire queste conseguenze come anonime, sistemiche, come qualcosa di cui non siamo responsabili, per cui non esiste un agente chiaro”. Dunque il vero problema “è che non dobbiamo fare affidamento né sulla mentalità scientifica né sul nostro senso comune: essi rafforzano reciprocamente l’uno la miopia dell’altro. La mentalità scientifica evoca una fredda (e imprecisa) valutazione oggettiva dei pericoli e dei rischi implicati laddove non è realmente possibile una tale valutazione, mentre il senso comune non può accettare che una catastrofe si verifichi realmente” (p. 564-566).

Così facendo stiamo trasformando la Terra in una unica interminabile discarica a cielo aperto. E siccome l’anima ha un pensiero razionale che accresce se stesso (Eraclito), “noi ci stiamo congedando dalla selezione naturale. Stiamo per guardare in noi stessi, e decidere cosa vogliamo diventare” (E. O. Wilson). 

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