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Le nostre prigioni

Eddie Bunker, scrittore e sceneggiatore statunitense, nel suo romanzo Animal Factory, scriveva: "La prigione è una fabbrica che trasforma gli uomini in animali [...] Duecento uomini occupavano le celle terrazzate, ciascuna delle quali era identica allo scompartimento di un alveare. Ogni uomo stava peggio di una bestia allo zoo, aveva meno spazio, eppure tutti non facevano altro che odiare e insultare altre persone reiette come loro".

Fedor Dostoevskij, e prima di lui Voltaire, dichiarava: "Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue carceri".

Il primo faceva senza dubbio riferimento allo sconsiderato sistema carcerario americano. Il secondo ed il terzo rilanciavano un concetto di una verità disarmante mentre nelle loro menti affioravano immagini dei penitenziari della russia zarista o della Bastiglia pre-repubblicana.

Eppure nulla consente alle prigioni che furono un tempo di Silvio Pellico ed oggi di Stefano Cucchi o Niki Aprile Gatti di sottrarsi all’impietoso giudizio lasciato da queste "grandi penne" del passato.

Le cifre hanno un triste difetto incorreggibile: sono prive di sentimento e di pathos. Ma hanno un grande pregio, quello di poter raccontare la realtà dei fatti in maniera incontestabile.

E sono tante quelle che seguiranno.

65 mila, tanto per cominciare. E’ il numero complessivo dei reclusi nelle carceri italiane al 30 settembre 2009. 65 mila persone, colpevoli e innocenti, imputate per i più svariati reati, racchiuse in spazi che dovrebbero contenerne in casi di massimo affollamento non più di 43 mila.

La legge europea impone ai sistemi carcerari continentali la garanzia per ogni detenuto di godere almeno di 7 metri quadrati di spazio. Lo spazio medio concesso ai prigionieri italiani non supera i 3.

Una situazione di totale abbandono, disinteresse e violazione dei più elementari diritti umani è quella a cui sono sottoposti al giorno d’oggi, in questo paese e questa epoca così ricchi di "civiltà", non solo i detenuti sottoposti alla misura detentiva, ma migliaia di agenti di polizia penitenziaria, assistenti sociali, volontari e così via.

Ad aggiungere ulteriore gravità ad una realtà già di per sé insopportabile è la posizione giuridica dei carcerati: 31 mila su 65 è la porzione della popolazione carceraria sottoposta al regime di privazione di libertà in attesa di giudizio. Solo la metà dei detenuti sta scontando nella propria cella l’esecuzione di una sentenza definitiva.

Prima dell’indulto, nel 2006, in Italia c’erano 60 mila detenuti e circa 50 mila condannati a misure alternative alla detenzione in carcere. Oggi i detenuti rasentano le 70 mila unità e quelli sottoposti a misure alternative sono appena 12 mila.

Nella giornata di martedì un detenuto 60enne nel carcere di Vicenza si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo. Era stato arrestato soltanto 48 ore prima con un’accusa, ancora tutta da verificare, di violenza sessuale a danno di minore.

E’ la vittima numero 173 nelle carceri italiane dell’anno 2009. Ed è il settantesimo caso dell’elenco dei suicidi (o presunti tali) commessi dietro le sbarre in meno di 12 mesi.

Nel 2001 questo paese aveva raggiunto il macabro record di 69 "suicidi carcerari" in un anno. Oggi, prima ancora che lenticchie e spumanti segneranno l’inizio del 2010, ci apprestiamo a modificare la datazione di un record che tanto lustro dona al nostro paese, così disperatamente in cerca di un rilancio del "made in Italy".

Il dramma delle carceri italiane sembra soltanto sfiorare le autorità politiche nazionali. E molto sporadicamente. E tutte le volte la soluzione proposta (relegata per di più nell’ambito delle vane promesse) è sempre la stessa, superficiale quanto cinica: costruire nuove carceri.

Sistemi illuminanti partoriti oltre 20 anni fa come la Legge Gozzini, che introduce il criterio di recupero del condannato tramite il lavoro, o l’incremento delle pene accessorie (interdizione dai pubblici uffici, divieto di partecipare alle gare d’appalto e divieto di possesso di attività imprenditoriali, confisca di tutti i beni) per i reati finanziari e contro la pubblica amministrazione al posto della inutile (in moltissimi casi) pena detentiva difficilmente attraversano i pensieri di chi viene deputato dal popolo a dirigere questa nazione.

Un terzo dei detenuti condannati in via definitiva deve scontare una pena inferiore ai tre anni. E sovrappopola le carceri del paese anziché essere affidato ai lavori socialmente utili o agli arresti domiciliari.

Il tintinnio delle manette e le sbarre di metallo rappresentano suoni ed immagini ancora troppo sensuali per molti italiani per poter pensare di ridurli al minimo indispensabile.

In più di un anno e mezzo di legislatura una sola proposta parlamentare [PDF] è stata depositata presso la Camera dei Deputati per richiedere l’istituzione di una Commissione d’inchiesta sul sistema carcerario. E vede la firma isolata di Augusto Di Stanislao, abruzzese, dell’Italia dei Valori.

Il documento ufficiale di richiesta reca la data 24 novembre 2009.
19 mesi di attesa per la prima reale proposta d’inchiesta sul "sistema carcere". E da parte di un esponente del "partito dei giustizialisti".

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