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La svolta epocale del Giornalismo Partecipativo

La comunicazione di massa è spacciata. È smascherata, il re è nudo. Questo sostiene il filosofo Mario Perniola nella sua appassionata requisitoria Contro la comunicazione. Il sistema comunicativo dei media non è più in grado di tener fede alla sua missione originaria: comunicare, informare, accrescere la conoscenza comune.
 
Asserviti come sono alle élites del potere economico e politico, i media perseguono molteplici obiettivi, escluso quello della verità. Essi rappresentano il canale privilegiato con cui il mercato impone le sue tendenze; si sono trasformati una volta per tutte nella permanente messa in scena con cui le lobbies dominanti colonizzano l’immaginario e il consenso dei cittadini. Il linguaggio massmediatico rifugge le parole chiare, evita le prese di posizione nette, dal momento che ha bisogno di affermare qualcosa oggi per poi magari rimangiarsela domani. Ne risulta una comunicazione depurata dalle idee poiché, per sussistere, essa ha bisogno di vaporizzare ogni contenuto, di svuotare della sostanza concettuale qualunque fatto veicoli. Anzi, è nelle pieghe del non detto e del troppo detto, del rappresentato, dell’insistito e dell’opinabile, che il fatto stesso alla fine scompare.
 
Un analogo requiem in morte della comunicazione massmediologica costituisce il punto di partenza del percorso che Gennaro Carotenuto, esperto di Storia del giornalismo e dei nuovi media, propone nel suo Giornalismo partecipativo, Storia critica dell’informazione al tempo di Internet (pp. 351, 12 euro), volume edito da Nuovi Mondi e sbarcato qualche giorno fa nelle librerie. Nelle sue pagine iniziali Carotenuto, infatti, per cantare la messa funebre alle tradizionali retoriche democratiche e rivendicazioni di verità dei media mainstream, si serve dell’acuta analisi di Noam Chomsky sulle comunicazioni di massa. Per il linguista americano il potere democratico, difatti, non si pone il bisogno di controllare ciò che le persone fanno, caratteristica che è peculiare dei regimi letteralmente autoritari, gli basterà semplicemente monitorare e orientare il pensiero delle masse, flirtare con esso, ricorrendo a modalità soft, apparentemente non invasive e senza dover ricorrere all’impiego di eserciti e polizie segrete. E’ per questo che i sistemi liberali  mirano al pieno controllo dell’informazione, della comunicazione e della cultura generalista. In una sola parola, puntano al monopolio dei media. L’esito, ai fini dell’acquisizione del consenso e del potere, sarà lo stesso delle dittature, ma senza l’incomodo della gestione autoritaria e con un’aurea di luminoso progressismo. Il monopolio assoluto della comunicazione da parte del potere economico e politico e il progressivo imbastardimento dell’ideale giornalistico sono stati storicamente possibili attraverso l’attivazione di diversi meccanismi: l’accentramento in poche mani degli strumenti comunicativi, così dirottati a ovviare alla originaria missione educativa e informativa, per orientarsi al profitto; la deleteria influenza degli sponsor e della pubblicità, la cui prerogativa è quella di assogettare i contenuti alla logica delle merci; il ricorso a fonti sempre più lontane dai fatti e sempre più “arruolate” nelle file del più forte; la delegittimazione sistematica del pensiero e delle opinioni differenti. Così che oggi possiamo dirci naufraghi nel mare della disinformazione, le cui correnti plasmano le nostre idee e le rendono omogenee.
 
Tuttavia non siamo destinati ad affogamento certo. Infatti una nuova possibilità di comunicare e di produrre conoscenza collettiva si offre oggi ai comuni mortali, a coloro che finora non avevano avuto accesso al privilegio sacerdotale dell’informazione, riservato a pochi eletti. Questa possibilità si chiama Internet. E’ nel crogiolo reticolare dell’universo digitale che si sta sviluppando un processo di biodiversità informativa. Nel web 2.0, molti milioni di persone costruiscono percorsi personali di informazione e di opinione, contando su una rete capillare di informatori spontanei e riuscendo persino a presidiare i luoghi dei fatti, grazie all’imporsi di una logica di giornalismo diffuso, in cui ognuno racconta quello che vede e sa o approfondisce le informazioni in cui si imbatte. Nasce una modalità orizzontale e anarchica di elaborazione e di diffusione della notizia, in cui ciascuno può essere contemporaneamente produttore e fruitore della comunicazione. In cui ciascuno può trasformarsi in un media. Stabilire se sia stata la Rete ad aver rivoluzionato le modalità di comunicazione e di interazione  tra le persone o se, al contrario, le esigenze reali di connettività sociale, politica ed economica abbiano innescato l’enorme popolarità del web, è un po’ come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina. Come chiarisce bene il sociologo Castells c’è un rapporto di congruenza, non di causalità, tra il bisogno di collegamenti nella società e la produzione tecnologica di strumenti adatti a costruirli, probabilmente a partire dal primo.
 
E’ proprio grazie ad Internet che, secondo Carotenuto, si sta verificando la riforma sociale più significativa dall’epoca della rivoluzione protestante di Lutero: la riforma agraria dell’informazione, la redistribuzione spontanea del latifondo informativo. “Indipendentemente dalla loro natura, i latifondi informativi dei media mainstream al tempo di Internet, vengono ogni giorno erosi e redistribuiti tra i cittadini mediattivi. La caduta di credibilità, che fa spostare il pubblico verso il giornalismo partecipativo, è nei numeri”. Spiega l’autore che “il giornalismo partecipativo sottrae spazio all’oligarchia dei media per dividerlo tra i cittadini esattamente come una riforma agraria redistribuisce la terra a chi la lavora togliendola ai latifondisti dell’informazione. (...) Usando gli strumenti offerti dalla rete i braccianti dell’informazione possono impegnarsi, con passione e ingegno nella cura di piccolissime, piccole o perfino medie parcelle di terreno personali, oppure riunirsi in cooperative di piccoli produttori. Raramente sono orientati da un’aspettativa di guadagno personale". Piuttosto essi “scrivono per passione civile vedendo nella Rete uno strumento per combattere l’atomizzazione sociale, per far conoscere il lavoro delle associazioni di cui fanno parte saltando le mediazioni tradizionali”. Quello che è in gioco non è quindi semplicemente la perdita di appeal e di pubblico da parte della carta stampata o della televisione. In gioco è il cambiamento antropologico del modo in cui le persone pensano, producono cultura, guardano al mondo, informano sè stessi e gli altri. La rivoluzione per cui dal solito quotidiano o telegiornale, magari per anni lo stesso, dal quale attingevano notizie i nostri genitori, come per scelta di identità ideologica, la nostra società sta invece transitando al modello di quella che l’autore chiama la nebulosa informativa, l’opposto esatto della logica concentrazionaria e omologante dei media classici. Nella nebulosa l’imponente varietà delle fonti fa sì che ognuno possa operare, nel confronto tra informatori diversi, le scelte che finiranno per disegnare il proprio personale schema di informazione. Ognuno può addirittura contribuire all’arricchimento del bacino comunicativo, implementandolo.
 
Il giornalismo partecipativo, appunto. Più naturale e immediato praticarlo che spiegarlo. Eppure spiegarselo è così indispensabile, dal momento che non c’è niente di totalmente e immediatamente fruibile sulla rete che non sia anche necessario capire, interpretare, addomesticare. Poiché essa non è indistintamente buona e democratica, ma è uno strumento flessibile ad ogni uso. Quello strumento che si era imposto al mondo, per le sua strabiliante connettività, grazie alla ribalta offerta alle vicende della rivolta antiliberista del Chiapas nel 2004, è pur sempre figlio dello sviluppo tecnocratico del neoliberismo che lo declina abbondantemente secondo i suoi scopi. Senza dimenticare che il digital divide, il divario digitale tra chi può accedere alla Rete e chi non può farlo, è fonte di nuove discriminazioni. Internet richiede consapevolezza e capacità critica, come tutti gli altri contesti di una società così complessa; esige intelligenza, creatività e propensione all’azione nel mondo reale. Chi vi naviga può accedere al vero gioco partecipativo, come protagonista e come fruitore, solo se vi si lascia e-ducare, condurre. Il lavoro di Carotenuto è una pagina di questa possibile pedagogia in progress della Rete, un contributo a quella consapevolezza comune capace di trasformare un semplice utente del web in un cittadino al corrente dei fatti e dotato di lume critico, parte organica di un enorme esperimento di comunicazione collettiva.

 

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