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La riforma fiscale

Di riforma fiscale ha cominciato a parlarne il premier il giorno dell’Epifania in un collegamento telefonico con alcuni europarlamentari riuniti vicino Torino ed è stata subito un successo a valanga. Non vi è soggetto politico che non abbia detto la sua sull’argomento, al punto che è praticamente impossibile dire cosa ciascuno di loro abbia detto.
 
Il Presidente del Consiglio, che aveva semplicemente cominciato col dire per inciso che, accanto alla riforma della giustizia, gliene stavano a cuore altre ed aveva citato anche quella fiscale, è stato costretto ad una correzione in corsa: la riforma fiscale è diventata fra le prime, se non la prima, delle emergenze da affrontare e la sua proposta di partenza era quella con cui nel 1994 aveva raccolto tanto consenso, ossia ridurre a due le aliquote IRPEF (poi il subentrante Romano Prodi ed il suo fido Visco avevano deciso che questa cosa «non s’aveva da fare»).
 
Con straordinario tempismo il leader della CISL Raffaele Bonanni ha chiesto un patto fiscale fra governo e sindacati, con applicazione di una “vera progressività”, in grado di alleggerire la contribuzione dei salari e delle pensioni minori. A questo punto, una vera e propria valanga di interventi. Dall’esecutivo i Ministri Maroni e Brunetta sono intervenuti a dar manforte al premier, sempre sollecitando la riduzione a due delle aliquote IRPEF; il sindaco di Roma Gianni Alemanno ha patrocinato, invece, l’introduzione del quoziente familiare; l’oppositore giustizialista Antonio Di Pietro è giunto persino ad offrire il proprio appoggio ad una riforma fiscale giusta ed equa, scettico sulla possibilità che il premier non si faccia distrarre da altro tipo di normativa di sua più grande, diciamo così, considerazione; Ugo La Malfa, secondo tradizione di famiglia, ha sostenuto che bisogna pensare prima ad una maggiore sobrietà nella spesa; il leader della UIL Angeletti ha fatto propria la proposta di ridurre di ben 5.000 Euro per figlio le tasse; il leader del PD ha respinto l’ipotesi berlusconiana delle due sole aliquote perché, a suo dire, toglie ai ricchi per dare ai poveri ; il leader della CGIL Gugliemo Epifani ha espresso forti riserve sulla proposta del premier e così via.
 
Insomma, stanno ancora tutti là a parlare di riforma fiscale e non è facile bersela che lo facciano per il bene del Paese, anzi è il fondato sospetto che “lor signori”, dalla riforma fiscale abbiano l’unico obiettivo di tirarci fuori qualcosa in termini di aumento del proprio consenso rispetto a quello degli altri. A riprova nessuno di “lor signori”, ivi compresi gli esponenti della Lega Nord, si è ricordato del processo in corso ed appena avviato del federalismo fiscale. Eppure questo argomento ha il potere di trasformare la riforma fiscale in una delle più importanti riforma istituzionali.
 
Il Paese uscito dal secondo conflitto mondiale e dalla dittatura mussoliniana, a suo tempo si diede una organizzazione, diciamo così, fortemente centralizzata e, per converso, le tasse venivano pagate elusivamente allo Stato e gli Enti Pubblici Territoriali, come Regioni (inizialmente solo quelle a statuto speciale), Provincie e Comuni erano subordinati gerarchicamente, finanziati e controllati dall’Autorità Centrale. Questo sistema apparve subito incapace di venire incontro alle esigenze dei cittadini ed una sorta di “riforma strisciante” è stata posta in essere quasi da subito, ponendo sempre l’accento sull’esigenza di decentramento amministrativo. Questo avrebbe dovuto sostanziarsi anche in un decentramento di responsabilità politiche ed in un conseguente decentramento fiscale. Orbene, nulla di tutto ciò!
 
Oggi la vera riforma fiscale appare, dunque, quella federalista, con attribuzione ai comuni di totale autonomia impositiva e con connessa responsabilizzazione dinanzi all’elettorato delle Amministrazioni locali. Ovviamente, si tratterebbe di una riforma congiuntamente fiscale ed amministrativa, che non potrebbe prescindere da una separazione di competenze fra i due rami del Parlamento: uno dovrebbe assumere per intero la funzione legislativa e l’altro, invece, quella amministrativa, diventando il vertice della macchina pubblica formata da Regioni e Comuni. E le Provincie, se alcune comunità pensano che sia utili e proprio le vogliono, se le tengano pure, provvedano a pagarsele e non abbiano la presunzione di imporle agli altri.
 
Comunque sia di ciò, resta il dilemma se il premier aveva proprio l’intenzione di farci questo regalo per l’Epifania oppure la cosa è stata del tutto casuale.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.83) 12 gennaio 2010 19:40

    Intanto Tremonti ha istituito un gruppo di lavoro che studierà la "concretizzazione" del suo libro sulla riforma fiscale. Di taglio alle tasse non se ne parla per il 2010 e non è scontato neppure nel 2011. La data ultima è la fine legislatura. I debito pubblico ha superato quota 1800 miliardi. Si parla di maggior ricorso alla tassazione indiretta (IVA). Nessuno esclude che le Regioni non debbano ripianare i minori trasferimenti dello Stato. Questa è la Penisola del tesoro dove "non esistono" cose che tutti vedono. Questa è la CRISI-Atto secondo che macina record di famiglie indebitate e nuovi disoccupati. (=> http://forum.wineuropa.it )

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