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La riapertura del carcere di Pianosa

Dal saggio Facci’ sola, di Roberto Gugliotta, Armando Siciliano Editore. A parlare è il collaboratore di giustizia Gaetano Costa, persona sottoposta alle indagini in ordine al reato di associazione a delinquere di tipo mafiosa ed altro, nato a Messina il 27 ottobre del 1951 – Servizio Centrale di Protezione. Il suo soprannome in dialetto siciliano si traduce Faccia di suola, dove la suola è quella delle scarpe: è un modo colorito di dire Faccia tosta.

«Le isole. Agli inizi degli anni ottanta, mentre mi trovavo ad Ascoli Piceno, fui impacchettato e spedito a Pianosa. Se non ricordo male era la vigilia di Natale, il 23 o il 24 dicembre.»
 
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«Ricordo il caso di Agrippino Costa che fu messo con la testa in un secchio di cemento. Spesso io stesso subii pestaggi a colpi di catena. Ho visto gente di “passato” balbettare e perdere la dignità, dopo quei trattamenti. Ci insultavano e ci schernivano durante i pestaggi: Costa, abbiamo le fosse pronte, vuoi telefonare? Ed io, per difendermi da quel fango, rispondevo Portaci a tua sorella nella fossa. Era l’unico modo per difenderti, perché se subivi passivamente era peggio. Quelle angherie procuravano tanti traumi psicologici. Si aspettava con angoscia il “trattamento”. Temevi che da un momento all’altro potessero venirti a pestare. Il brutto non era tanto il pestaggio continuo, a carne calda, perché ci facevi l’abitudine. Dolore su dolore. Il peggio era quando avveniva a distanza di due o tre giorni. A mente fredda, con la carne riposata».
 
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«Ricordo del pestaggio senza ragione subito da un detenuto tedesco. C’era un secondino molto grasso che io avevo soprannominato l’”unto” per via della puzza di sudore che emanava. L’”unto” aveva il vizio di bere molta birra. Beveva e ci insultava senza alcun motivo. Quella volta andò veramente oltre. Era la sera della finale dei mondiali in Spagna, tra l’Italia e la Germania, nel 1982. E quel pomeriggio avevano portato un nuovo detenuto. Noi non sapevamo chi fosse, se siciliano, pugliese o napoletano. E per cercare di capire gli davamo discorso. Dopo un paio di tentativi andati a vuoto, per lui rispose l’”unto” il quale, in attesa dell’inizio della partita, stava facendo il pieno di birra.
 
Costa, non rompere i coglioni, è tedesco, non ti capisce. E poi non devi parlare stronzo… Iniziò la finale e dopo pochi minuti l’Italia sbagliò un rigore, con Cabrini. L’”unto” andò in bestia. Ubriaco com’era entrò nella cella del detenuto straniero e, con un manganello, lo riempì di botte. Noi delle celle vicine sentivamo le bestemmie e gli insulti: Sporco tedesco, figlio di puttana, bastardo… La rabbia dell’”unto” si placò all’inizio del secondo tempo quando ormai l’Italia stava dilagando contro la Germania. Non so se quel poveraccio capì nulla di quello che gli era accaduto, o il perché di quel pestaggio. Rimase svenuto a terra dentro la sua cella per lungo tempo. La sua unica colpa era quella di essere nato in Germania. Aveva pagato l’errore di un rigore tirato fuori: chissà se Cabrini lo sa…»
 
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C’è ancora qualcuno, nel Palazzo del potere di Roma, che convince uno sconsiderato Ministro della Repubblica che bisogna riaprire il carcere di Pianosa.
Una proposta. Visto che il Presidente Obama sta chiudendo il carcere di Gauntanamo, perchè non gli chiediamo se ce lo affitta? Magari ci fa un prezzo di favore. Come staff medico ci possiamo mandare quello del carcere "Regina Coeli", ossia quello che si è reso immediatamente conto che Stefano Cucchi era caduto dalle scale.


post scriptum
Il saggio di Roberto Gugliotta è decisamente di valore e porta a capire tante cose sul fenomeno mafioso. Non credo sia facile trovarlo, ma non è impossibile. Esorto al suo acquisto. Finirete per tenerlo a lungo sul comodino, se avete l’abitudine di leggere prima di prendere sonno.

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