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L’innovazione nella Religione

Lo studioso Giovanni Filoramo dell’Università di Torino ha curato un’eccellente antologia di saggi inerenti la religione che raccoglie il contributo di ben venticinque studiosi italiani e stranieri.

L’opera si intitola “Le religioni e il mondo moderno. Nuove tematiche e prospettive” (Einaudi, 2009). Si prendono in esame le maggiori religioni mondiali (ebraismo, cristianesimo, islam, induismo e buddismo) e si sviluppano tematiche riguardanti il concetto di stato, i doveri degli uomini, la guerra, l’antropologia, il matrimonio, la democrazia, il genere femminile, l’identità, i diritti umani, l’economia, lo spirito del capitalismo, la scienza, la bioetica e la teologia.

Tra i contributi più significativi c’è da segnalare quello di Silvio Ferrari il quale afferma che “I diritti delle religioni contengono norme che non possono essere compiutamente giustificate in termini etici o razionali né spiegate in chiave tradizionale e consuetudinaria: esse richiedono di essere obbedite semplicemente perché dettate da Dio (per le tre religioni monoteiste) o radicate nell’ordine cosmico (per altre religioni)”.

Eppure “anche gli ordinamenti giuridici a fondamento divino vivono nella storia… La legge divina non si sottrae all’interpretazione umana: se la norma posta da Dio è immutabile, la comprensione che di essa ha l’uomo dipende inevitabilmente da una serie di fattori contingenti e quindi mutevoli. Tanto il diritto ebraico quanto il diritto canonico e quello islamico hanno elaborato tecniche e strumenti che, senza rompere la continuità formale del diritto divino, ne consentono l’adattamento al mutare delle condizioni storiche” (p. 12).

Nelle società più evolute si può iniziare a “stabilire la fredda verità che il diritto è opera dell’uomo. Perfino i credenti non pensano più che il diritto consista in comandamenti di Dio o che la sua evoluzione sia governata dalla provvidenza divina. In un modo o nell’altro noi stessi abbiamo creato il diritto e noi stessi siamo responsabili per il risultato” (Alf Ross, giurista scandinavo, p. 5).

Inoltre bisogna aggiungere che nella traduzione e nell’interpretazioni dei testi sacri, compiuta quasi sempre da vecchi esponenti del genere maschile, si è sempre adottato un punto di vista molto politico, molto religioso e troppo maschilista. Si è sempre evitato il dialogo con il punto di vista degli studiosi laici e della gente comune e troppo spesso si è utilizzata la religione per giustificare la soddisfazione degli istinti aggressivi, della brama di potere e quindi della guerra.

Infatti le religioni sono anche “un necessario ultimo sforzo collettivo per dare un senso a un agire altrimenti insensato, estremo nella sua violenza. La guerra diventa un laboratorio dove interi popoli sono strascinati dalle loro classi dirigenti a riscoprire il mito di fondazione della loro identità storica ed etnica: un dramma rituale in cui il sacrificio della vita è il prezzo da pagare per riscattare la memoria offesa e tradita di un popolo. L’identità si costruisce sull’autorità di una memoria, che si ritiene occultata troppo a lungo (Enzo Pace, p. 231).

Per quanto riguarda l’islam si può affermare che in molti Paesi islamici è presente il teocentrismo e non esiste una vera e propria teocrazia: “Nell’islam sunnita di gran lunga maggioritario non esiste chiesa e magistero centrale, non esistono né clero né Papa. Non esiste dogma, ma opinione giuridica (fatwà) e tutte le opinioni giuridiche sono equipollenti, potenzialmente dialettiche e nessuna dotata di bastevole autorità per trasformarsi in legge universale che vincoli tutti i credenti all’obbedienza” (Massimo Campanini, p. 176).

Inoltre bisogna distinguere la fonte divina del Corano (gli scritti di Maometto) e della Sunna, dalla Sharia, che è l’interpretazione umana, storica e locale delle leggi di Maometto. La Sunna è la raccolta dei detti attribuiti a Maometto di fonte incerta e degli scritti aggiunti da molti uomini religiosi e potenti nel corso della storia, e rappresenta la seconda fonte della legge islamica. Sicuramente ci sono maggiori possibilità di reinterpretare le normative derivate dalla Sunna e dalla Sharia dei diversi Paesi. Però “un musulmano non può esercitare il diritto, comunemente riconosciuto dalle costituzioni e convenzioni occidentali, di mutare religione” (citato da Nicola Colaianni, p. 53) e può essere condannato per apostasia.

Invece per l’ordine religioso hindu il diritto è una questione più informale e assume spesso il significato di “dharma”, che in una accezione moderna esprime il “dovere individuale di fare la cosa giusta in ogni momento della propria vita”. Quindi la virtù induista più importante è l’autodisciplina (citato da Werner Menski, p. 191). Inoltre la dottrina del dharma nella sua rielaborazione buddhista “ha avuto la funzione di garantire l’unità di un vasto impero multietnico, multireligioso e plurilinguista” (Enzo Pace, p. 223).

Prendendo in esame la cultura religiosa cattolica possiamo fare una riflessione sul messaggio di uguaglianza di Gesù e sulla formazione della gerarchia autoritaria della Chiesa: da “Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo” (Matteo 20,26; Marco 10,43 e Luca 22,26), si è arrivati al potere temporale e dottrinale assoluto e all’autocertificazione dell’uomo che non sbaglia mai (il pontefice).

Nella Chiesa originaria non c’era una gerarchia di valore tra predicatori, fondatori e credenti: c’era una democratica opera di servizio (I peccati del Vaticano, Claudio Rendina, 2009). Oppure si può discutere del perdonismo burocratico, indiscriminato e acritico della Chiesa cattolica, quando è limpidissimo l’esempio dato da Gesù sulla croce, dove ha perdonato solo uno dei due ladroni.

Infine bisogna “ricordare che il diritto canonico latino è l’unico tra i diritti religiosi a guardare con favore alla castità assoluta: questo favore trova la sua ratio (ragione) in motivazioni di carattere teologico, dal momento che Gesù, secondo Matteo 19,12, parla di alcuni eunuchi che si rendono tali “per il regno dei cieli", e aggiunge “chi può capire capisca” (Vincenzo Pacillo, p. 106).

Dunque un’unica affermazione molto ambigua e ambivalente è stata sufficiente alla Chiesa per abolire la libertà di scelta e di godimento della vita di molte persone (io condivido la prospettiva di chi pensa che chi rifiuta i piaceri della vita reca offesa a Dio).

Per fare un riepilogo finale seguendo il pensiero di Lester Kurtz ("Le religioni nell’era della globalizzazione", Il Mulino, 2000), si possono identificare cinque funzioni principali della religione: fornisce norme, modelli e standard per la formazione dell’identità personale; offre una rete sociale di riferimento e di sostentamento; crea rituali e abitudini che stabilizzano l’identità e orientano la condotta personale e sociale; regola i processi di cambiamento attraverso i riti di passaggio delle diverse età, come accade nell’adolescenza e nel matrimonio; infine il “compito primario delle religioni è quello di trovare una risposta di senso alle situazioni di crisi della vita… è quello di offrire “un barriera contro il terrore”, fornendo sistemi di significato e di sicurezza” (Giovanni Filoramo, p. 660) in questo mondo così impietoso, instabile e imprevedibile.

E purtroppo come affermato da Mircea Eliade, “non abbiamo una parola più precisa di “religione” per indicare l’esperienza del “sacro” così indicibile e misteriosa ("La nostalgia delle origini. Storia e significato nella religione", Morcelliana, Brescia, 1980). Quindi è sacro tutto ciò che non si può conoscere, su cui non si può intervenire. E su ciò di cui non si può parlare forse sarebbe meglio tacere.

Comunque secondo Hans Kung ("Progetto per un’etica mondiale", 1991), non ci può essere pace tra le nazioni senza pace tra le religioni, non ci può essere pace fra le religioni senza dialogo tra le religioni e non ci può essere dialogo tra le religioni senza ricerca sui fondamenti delle religioni (p. 387). Inoltre si può anche affermare che non c’è ricerca sui fondamenti delle religioni senza un dialogo con la sensibilità dei giovani e delle donne e la neutralità degli studiosi laici.

E purtroppo c’è da dire che gli esseri umani di questo pianeta sono così stupidi che quando nominano una donna in diverse lingue sanno benissimo di parlare della stessa cosa, mentre quando nominano Dio nelle diverse lingue pensano di avere a che fare con entità diverse.

Ancora poche persone sono capaci di comprendere che chi ha a che fare con degli esseri a razionalità limitata non può che “adattarsi” a parlare la loro lingua per cercare di mitigare i danni della loro ignoranza. Perciò, dopo tutto il sangue versato in tutti questi secoli nelle innumerevoli guerre di religione, a mio modesto parere la prima autorità da rispettare è quella di Dio e siccome Dio ci ha donato la libertà, noi non possiamo prestarla o venderla al miglior offerente.

Nota – Gli italiani sono sempre stati pigri, ritardatari e ultraconservatori nell’evoluzione sociale: il diritto di sciopero è stato legalizzato nel 1827 in Inghilterra e nel 1890 in Italia.

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