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L’effetto Tsunami sulla rete: nasce “il many to many”

Cambiamenti e Reazioni al Citizen Journalism.

Il 26 dicembre del 2004 il mondo ha assistito a uno dei più grandi disastri ambientali degli ultimi quarant’anni: lo Tsunami.

Per molti studiosi del sistema dei media, il 26 dicembre del 2004, non è solo una data tragica da ricordare, ma è anche una data simbolica che ha segnato un passaggio importante nel mondo della comunicazione.

La fonte di informazione più veloce e importante di questa inaspettata catastrofe, non sono stati infatti la CNN[1] o il New York Times[2]; né tanto meno gli Uffici stampa dei Governi asiatici o le organizzazioni umanitarie, bensì per la prima volta sono state le stesse persone coinvolte che, grazie alla rete internet, hanno trasmesso richieste d’aiuto, immagini e video della devastazione ed hanno informato il mondo su ciò che stava succedendo.

A documentare questa data simbolica nel mondo dei media, sono stati proprio i network televisivi, che nei giorni successivi, non potendo raggiungere facilmente le zone colpite dallo Tsunami, hanno trasmesso sui loro canali contenuti e informazioni riprese dai blog, dai social network e dai wiki creati. Lo stesso New York Times ha scritto in un articolo pubblicato i giorni seguenti: “per i vividi reportage dell’ enorme area del disastro dello Tsunami, è stato difficile battere i blog”.

Il maremoto asiatico è stato il primo evento mondiale che ha coinvolto fortemente i media partecipativi e in soli pochi anni, hanno seguito lo stesso veicolo di comunicazione i messaggi di affetto e di ricordo per papa Woityla, mancato nell’aprile 2005, i video dal metrò di Londra nell’attacco terroristico del 7 luglio 2005, le immagini del disastro naturale dell’uragano Katrina a New Orleans nel settembre 2005, i messaggi di denuncia del vortice di violenza delle banlieue francesi nell’ottobre 2005, il percorso delle elezioni presidenziali francesi nell’aprile 2007, piuttosto che i video e i suoni del keynote di Steve Jobs che il 9 gennaio 2007 ha presentato l’iPhone o la documentazione concernente la guerra di Gaza.

Con i media partecipativi è infatti possibile comunicare punto a punto in larga scala in modalità attiva, collaborando e condividendo contenuti info-multimediali il più delle volte auto-realizzati ad una velocità di produzione in costante ascesa. Non a caso nel 2005 è nata la nuova dizione User Generated Content, “Contenuti generati dagli utenti”[3], concepito negli ambienti del web publishing e dei new media, per indicare il materiale disponibile sul web prodotto da utenti invece che da società specializzate. E’ il primo sintomo democratico che si ha nella produzione di contenuti multimediali, resa possibile dalla diffusione di soluzioni hardware e software semplici ed a basso costo. Gli esempi di contenuto generato dagli utenti sono i video digitali, i post dei blog, i podcast, le foto scattate con cellulari o i contenuti dei wiki e sono anche gli esempi con il quale sempre più si sta concretizzando “l’epoca della conoscenza”.

Per poter comprendere meglio il cambiamento che sta avvenendo nel mondo della comunicazione è importante focalizzare le precedenti evoluzioni storiche; l’avvento dell’epoca della conoscenza, mette infatti in discussione molti dei criteri di valutazione che nel contesto storico precedente apparivano scontati. Qualsiasi società, del resto, di fronte ad una rivoluzione cerca di scoprirne il senso, confrontandosi con le precedenti realtà. Il cambiamento che la società contemporanea sta vivendo è una vera e propria ristrutturazione delle dinamiche culturali, che producono l’interpretazione dei fatti, intorno alle quali si genera il consenso della società. Stiamo vivendo l’epoca del ritorno ad un modello comunicativo preindustriale, semplice ed efficace: il passaparola.

L’era industriale, invece, che ha occupato il periodo del “one to many” è caratterizzata da una voce unica, quella dei mainstream. Nonostante si parli da sempre di pluralismo nel mondo dell’informazione, sembra che il potere politico e il mercato mediatico oligarchico hanno costantemente ostacolato questo principio, portando i media il più delle volte ad offrire un’unica visione della realtà (vedi schema Hallin). Questa logica, nasce anche da una caratteristica dei media tradizionali: si parla infatti di Frame setting, per indicare una sorta di quadro interpretativo generale; che consente di leggere un atto o un periodo storico in modo semplice e chiaro: tutti lo accettano e grazie ad esso tutti scrivono e parlano di argomenti che trovano il consenso generale.

Poco importa, se il frame sia una semplificazione o una banalizzazione della realtà. Le notizie che stanno in frame, passano con grandi titoli sui mass media, le notizie che non confermano il frame, vengono messe in secondo piano, generando una visione non completa e molte volte distorta della realtà. Come già prevedeva Locke[4], anni fa, siamo di fronte a un possibile ritorno della voce umana e a un nuova personalizzazione degli scambi: 100 milioni di blog personali al mondo, l’opportunità di internet offerta a un miliardo di persone: tutto ciò è il “many to many”.

Ciò riconsegna l’informazione in mano ai suoi fruitori, che contribuiscono, insieme ai professionisti a rendere il giornalismo una vera conversazione, così come dice Dan Gillmore[5]: “Il giornalismo dei cittadini comuni è un giornalismo soggettivo ed è proprio in questo che risiede il suo valore aggiunto”.

Ma la reazione del sistema dei media al “many to many”dice:

“La rete cancella l’opinione pubblica”[6]:

questa è la dichiarazione di Gianni Riotta, rilasciata durante le “grandi lezioni di giornalismo”, questo 13 gennaio, presso l’auditorium Parco della musica di Roma. Ciò evidenzia, che non tutti rivedono in questa evoluzione democratica dell’informazione, un bene. Riporto di seguito la dichiarazione, per intero, cercando di capire il perché di una simile avversione.

Gianni Riotta dice: “l’informazione del XXI secolo, costellata di falsi d’autore, cioè internet , la cui verità non ci rende liberi, ci rende schiavi”, e in questa “lezione di giornalismo” ci rammenta che la verità è moltiplicata ad infinito nel caldeiscopio dei “siti internet” e deformata dallo specchio astuto degli specialisti della propaganda.

Ancora continua chiedendosi: “Che resterà dell’opinione pubblica, tramontati i mass media?[7] e poi ancora: “cosa resterà della democrazia senza opinione pubblica critica?.

Gianni Riotta, un giornalista professionista tra i più famosi in Italia, già direttore del Tg1 e recentemente del Sole24ore, afferma che la “rete cancella l’opinione pubblica[8]: perché?

Ai giorni nostri si può parlare, come abbiamo visto, di stampa condivisa, grazie alla convivenza di zone amatoriali e di zone professionali: concetto più che appropriato se si pensa che la libertà di stampa è essa stessa un territorio condiviso; ma sembra che non sia sempre stato così.

L’informazione sta cambiando sotto la pressione della rete; ecco come si spiegano reazioni avverse come quella di Riotta, la quale informazione perde l’aureola di un tempo.

L’era dell’informazione partecipata, rappresenta un cambiamento drastico nella filiera della produzione della notizia; la comunicazione un tempo unidirezionale, prerogativa di pochi e soprattutto fatta da professionisti, oggi condivide la scena con una comunicazione PEER to PEER[9], in cui tutti sono in contatto con tutti. Accanto al sistema editoriale chiuso verticale, della stampa ufficiale, in cui i giornalisti erano gli unici fornitori industriali di informazione, ha cominciato a delinearsi un sistema editoriale aperto o meglio orizzontale, che ha trasformato il pubblico ricevente in gente che agisce.

Ciò fa sì che l’opinione pubblica non venga più sagomata da “pochi” e che l’informazione perda la sua unica voce, per abbracciarne molteplici.

In questo, consiste la trasformazione del sistema dei media, investito da un fenomeno, qual è il citizen journalism, che rimette in gioco ruoli e significati. I media, devono far sempre più i conti con un mondo consapevole e indipendente, che si muove e che necessita di un’informazione rapida, completa, personalizzata.

La rottura del rigido sistema “one to many”, genera una perdita della loro autorità iniziale, perchè l’uomo connesso “peer to peer” è un uomo che ha più mezzi a sua disposizione per plasmare e rivendicare le proprie opinioni e per mettere in dubbio anche ciò che viene filtrato dai media

Nascita del sistema editoriale aperto

“Il giornalismo è uno degli organismi più complessi e più delicati della società moderna, è il sismografo che ne segna e ne indica le minime pulsazioni. Di qui subentra la necessità che esso abbia una grande sensibilità di impressione, una grande prontezza nel movimento”[10]: queste le parole di Alfredo Frassati, con cui celebra la missione del vero giornalismo.

Se da una parte l’art. 21 della nostra Costituzione afferma che “tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”[11], è anche vero che negli ultimi anni abbiamo assistito ad un’aggregazione editoriale senza precedenza.

In Paesi, come l’Italia o la Francia, un settore come quello dell’informazione, per anni è rimasto blindato. Le funzioni di controllo e di critica alla base di un buon giornalismo, dai commenti risultano ancora scarse, poichè gli articoli, i servizi, le inchieste sono ancora oggi, ma soprattutto nel passato alla “marché” dell’editoria.

Sembra che i contenuti somministrati dai mass media ufficiali, sono frutto di scelte invisibili e diverse, rispetto agli interessi e ai bisogni dei fruitori finali. Un esempio importante è proprio lo schema di Hallin, in cui si intravedono gli schemi neoliberisti in cui vacilla il nostro giornalismo, il quale più che rendere informazione, finisce per rendere bisogni e realtà indotte forzatamente. Questa considerazione sull’attuale sistema dei media sono utili per comprendere come la nostra democrazia sia in realtà parziale e imperfetta, ma oggi la società civile organizzata, possiede delle buone opportunità per ridare senso al giornalismo. In Italia come in Francia e nel resto del mondo sono diffusissimi siti internet, blog, newsgroup che informano dal basso; ognuno per le proprie competenze e attività, creando così un orecchio sensibile a quelle “voci prima senza sonoro”Il giornalismo è alle prese con una “trasformazione epocale”, simile all’invenzione della stessa macchina da stampa. Tutto ciò prende piede dall’interattività e dalla nascita delle comunità. La base del molto discusso web 2.0[12] è proprio la nascita del concetto delle “comunità” sulla rete .

Gli utenti si trovano dinanzi al materiale informativo che interessa loro, lo discutono, scambiano ulteriori informazioni e link; creano pagine personali raccontandosi a vicenda (socialnetworking, blogs); selezionano il materiale per loro rilevante, organizzandolo per poi distribuirlo nell’online. La redazione abbraccia questa tipologia di contributi e ne fa il suo valore aggiunto. Precedentemente, abbiamo avuto altri esempi di comunità, create da membri del pubblico accomunati da simili interessi o passioni. Ciò è avvenuto con la radio e con la televisione, ma era circoscritto soprattutto a conoscenze personali. Con l’esplosione del citizen journalism, invece, è stata creata una vera e propria tela, tra gli utenti accomunati dalle stesse informazioni che creano tra loro una nuova intelligenza, contro il livellamento creato dalla redazione verticale. E’ una possibilità che il web fornisce a tutti: essere l’editore di se stessi.


[1] www.cnn.com

[2] www.nytimes.com/

[3] http://it.wikipedia.org/wiki/user_g...

[4] John Locke (Wrington, 29 agosto 1632- Oates 28 ottobre 1704), è stato un importante filosofo britannico della seconda metà del ’600 ed è considerato il padre dell’empirismo moderno e dell’illuminismo critico: http://it.wikipedia.org/wiki/john_locke

[5] Gillmor Dan, noto giornalista tecnologico americano del San Jose Mercury news e della Silicon Valley Dot Com, è anche l’autore di un popolare weblog, nonché di We, The Media, un libro sulla proliferazione dei Grassroots Internet Journalists (i bloggers). Oggi è direttore del Center for Citizen Media.

[6] Gianni Riotta, La rete cancella l’opinione pubblica, Corriere Della Sera, 19 gennaio 2009:

http://archiviostorico.corriere.it/..., in http://www.corrieredellasera.it

[7] Maurizio Carena, Riotta contro Internet, 24 gennaio 2009:

http://www.agoravox.it/riotta-contr...

[8] Maurizio Carena, Riotta contro Internet, 24 gennaio 2009:

http://www.agoravox.it/riotta-contr...

[9] Vedi nota 4

[10] Elisa Zanola, Humanistic Journalism: le nuove frontiere del giornalismo, 2007:

http://www-1.unipv.it/cim/lauree/la...

20studi%20di%20pavia%20elisa%20zanola.ppt

[11] Art. 21 della Costituzione: http://it.wikipedia.org/wiki/articolo_21

[12] Web 2.0 è una locuzione uitlizzata per indicare, genericamente, uno stato di evoluzione di internet (in particolare del worl wide web), rispetto alla condizione precedente. Si tende ad indicare come web 2.0 l’insieme di tutte quelle applicazioni online che permettono uno spiccato livello di interazone sito-utente: http://it.wikipedia.org/wiki/web_2.0

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