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 Home page > Tribuna Libera > L’Aquila: luci e ombre sulla ribalta del New York Times

L’Aquila: luci e ombre sulla ribalta del New York Times

Al 23 dicembre, mentre a L’Aquila veniva scattata quest’immagine, nella edizione on-line del New York Times, un autorevole giornalista esperto di urbanistica internazionale ha scritto una pagina memorabile sulle questioni suscitate dal terremoto che, se fosse stata adeguatamente raccolta dalla stampa italica, avrebbe scatenato un nuovo quarantotto.
 
In precedenza, nella sezione “Scienza”, il quotidiano americano ospitava resoconti di giornalisti esperti di catastrofi con un giudizio molto prudente, quando non positivo, nei confronti della conduzione dell’emergenza. Ora, prendendo una posizione ben netta sul  plumbeo futuro aquilano, la direzione del NYT ha passato il dossier nella sezione "Arte".
 
Il testo originale compare in alcuni siti aquilani con titoli fasulli e traduzioni manipolate. Poi, il 27 dicembre, Una città italiana privata della sua identità culturale di Michael Kimmelman appare nel portale del Comitato 3e32, nella traduzione curata da Giovanni Incorvati ed altri.
 
Nel seguito, proviamo indegnamente a recensire quest’opera importante estrapolando alcuni frammenti che confermano quanto abbiamo già scritto su queste pagine, ma raccomandando d’acquisire tutta l’argomentazione dell’autore perché crediamo sia un capolavoro per grandi platee e per festività importanti come quella di fine anno.
 
Il prologo: I pochi bagliori della “pars costruens” (gli straordinari ed innumerevoli sforzi profusi per i soccorsi d’emergenza, da volontari provenienti da ogni parte d’Italia, sono stati benorganizzati e concertati allo scopo d’offrire continuità e speranza a decine di migliaia di senza tetto) non squarciano le ombre nettissime della “pars destruens” (assenza di fondi, di coinvolgimento politico, di buon senso architettonico e di attenzione internazionale, unite alla predilezione tutta italiana per chi pensa di possedere la bacchetta magica) che sembrano prevalenti e “minacciano di fare quello che non ha fatto il terremoto”.
 
I dati di fatto: "Dopo il sisma che colpì la Sicilia negli anni ‘60 i centri storici furono abbandonati, e nel migliore dei casi sopravvivono solo di nome nelle squallide costruzioni tirate su come abitazioni provvisorie, poi diventate permanenti in mancanza di alternative e per trascuratezza. Per L’Aquila occorrerebbe investire meglio. Si stanno facendo sforzi per salvare i quasi 110.000 monumenti e manufatti che secondo il Ministero dei beni culturali sono stati danneggiati dal terremoto. Ma secondo la previsione ministeriale ufficiale occorreranno 10 o 15 anni per riportare il centro storico alla normalità, in tutti i sensi dell’espressione, e quasi tutti gli interventi di ricostruzione, inclusi quelli delle case private, dovranno essere approvati dal Ministero, attraverso una procedura scrupolosa".
 
I giudizi sulle politiche d’intervento: "Prima del terremoto circa 10.000 persone abitavano nel centro della città e circa altre 60.000 fuori dal centro. Dopo un decennio o più da sfollati, coloro che una volta vivevano nel cuore de L’Aquila potrebbero non trovarsi più in zona o non voler tornare, e le case costruite per loro – fino a questo momento sono stati realizzati 150 complessi in legno, acciaio e calcestruzzo – potrebbero aver cambiato il territorio fino a renderlo irriconoscibile. L’Aquila, attraente centro storico medioevale nel quale si innestava in equilibrio precario un centro storico barocco (e questa precarietà spiega, in parte, l’entità del danno), era anche un centro commerciale e culturale ed una città universitaria. Se il centro dovesse rimanere morto, in pochi anni potrebbe finire per essere nulla più che un sito turistico di secondaria importanza, nel mezzo di un agglomerato urbano indifferenziato".
 
Il confronto tra la realtà e quello che si vuole far apparire: "Ma anche la piccola tassa finalizzata alla ricostruzione, recentemente proposta dal sindaco de L’Aquila e da diversi funzionari del Ministero dei beni culturali, è finita nel nulla. In un Paese oberato dal debito pubblico e distratto dalle vicissitudini del Presidente del Consiglio riportate dalla stampa, il successo degli aiuti nella fase dell’emergenza ha paradossalmente creato l’impressione che L’Aquila non abbia più urgenti necessità di aiuto". Tra il messaggio sui media - "le cose vanno bene" – e la profezia inascoltata del primo cittadino che paventa “se non ricostruiremo in modo adeguato, sarà una vergogna per l’intero Paese. Sarà una nuova Pompei “.
 
Infine, un coro di voci soliste, aquilane e non, intonate sebbene non dirette, che canta un De profundis al Signore della Costruzione gabellata per Ri-costruzione:
 
- Roberta Pilolli del Conservatorio aquilano che rivuole la propria casa esattamente com’era solo perché, dice: “E’ la mia identità”;
 
- Aldo Benedetti, professore di architettura a L’Aquila, che riferendosi ai nuovi condomini costruiti dal Governo, dice: “Non si inseriscono in nessun contesto, non portano nessuna idea di architettura, ma solo l’aspetto di caserme dell’esercito buttate giù da qualche parte.”
 
- Pier Luigi Cervellati, professore di urbanistica a Venezia, poiché la ricostruzione dovrebbe preoccuparsi in primo luogo di far rientrare più rapidamente i residenti nel centro storico, anziché dargli abitazioni alternative, chiese, monumenti, grandi magazzini e attività commerciali, dice: “Un centro lasciato vuoto per anni muore” … “Queste case nuove che stanno costruendo in periferia sono molto costose e non hanno senso dal punto di vista urbanistico. Sono come i terminal di un aeroporto. Non hanno anima. Il rischio è che il centro diventi un non-luogo.” (sono 19, sono giovani e forti e sono nate … morte. Vedi qui la loro completa illustrazione).
 
Nello sfondo, tra qualche lamento (per la mancanza di spazi, negozi, campi sportivi e di qualsiasi organizzazione sociale) l’incalzare di mormorii di corruzione e di tangenti, d’appalti e di sub appalti. Poi, un acuto lacerante: è un no di Bertolaso al Conservatorio proposto da Shigeru Ban, il noto architetto giapponese, con annessa sala da concerti, ed è un si sommesso ed equivoco per quello costato quasi tre volte tanto, ma realizzato come un M.U.S.P. da ditte italiche(di questa questione, che ha pesanti risvolti politici-istituzionali, vale la pena di parlare in altra sede).
 
Prima della discesa del sipario, viene ben delineata anche la morale della favola che potrebbe pure essere a buon fine, tanto per L’Aquila quanto per L’Italia, a patto di lasciar perdere sia l’atavica perdurante burocrazia sia la recente propensione per priorità sbagliate.

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.169) 31 dicembre 2009 17:49

    Con il G8-realtà contro reality si è dato avvio ad un’impresa epocale "miracolosa". Dare un tetto a decine di migliaia di sfollati entro fine 2009. Niente di più. L’impresa registra qualche ritardo, ma l’impressione è ormai quella di una promessa mantenuta dal governo "del fare". A Napoli non ci sono più le montagne di rifiuti in strada. A Napoli il Cardinale Sepe chiede ai concittatini 30 euro mese per la "adozione di vicinanza" di centinaia di bambini sfortunati. Forse è Tutta colpa di Carosello se imperversano gli Untori della parola. (c’è di più => http://forum.wineuropa.it

  • Di daniele (---.---.---.230) 1 gennaio 2010 11:38

    "caserme" o "terminal"
    basta osservare le 19 schede di Luciano sui progetti C.A.S.E. per concordare con queste brillanti e sintetiche descrizioni riprotate nel pezzo
    ovvero come "destruens" mentre si afferma (il Governo) di "costruens"

    daniele

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