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Italia, malattia del cemento, disastro ambientale, ingovernabilità

La “malattia del cemento” si determinò in Italia dopo a fine della II guerra mondiale e la necessità di una rapida ripresa dell’economia, spinse decisamente nella direzione dell’edilizia che costitruì sì un volano d’implementazione di tutte le altre economie di scala ma anche diventò ben presto negli anni ’50 e ’60 fattore incontrollato di crescita disordinata e scomposta delle città.

Urbanizzazioni veloci soprattutto al nord imperniate su nuovi insediamenti industriali che man mano invadevano le campagne sottraendo sempre maggiori quote di territorio agricolo verso le aree industriali che, attirando immigrazioni interne, causavano la crescita anche abitativa .

Processi che si verificarono anche in altri Paesi europei ma che in Italia assunsero valenze parossistiche, per mancanza di pianificazione e di opportuni accertamenti geologici preventivi, per cui a nord si andò a costruire persino nelle aree di esondazione dei fiumi dette “golene” .

L’abbandono progressivo delle attività agricole di collina e di montagna portò ben presto al decadimento del territorio che senza manutenzione, fu sempre più facile preda di eventi atmosferici rapidi e virulenti e si intensificarono frane, smottamenti, esondazioni, con innumerevoli paesi danneggiati e vittime civili.

Ma ciò che non si interrompeva nel nostro Paese era il continuo incessante della cementificazione e di converso anche dell’ inquinamento ambientale diffuso, dovuto all’industrializzazione.

Complice fu la politica. Al nord, se pur vistata da pratiche edili e regolari permessi, era lo stesso carente e ciò è confermato dal fatto che se da un lato si costruiva massicciamente edilizia residenziale di bassa qualità, gli insediamenti industriali, spesso impiegati in lavorazioni inquinantissime come quelle dell’industria chimica e manifatturiera, contribuivano al disastro scaricando sul territorio milioni di tonnellate di inquinanti, sia sotto forma di polveri che di residui di lavorazione.

Negli anni ’70 si cominciò infatti a parlare di nocività in fabbrica e si cominciarono a contare i decessi sempre più frequenti per amianto e assunzione di: cromo esavalente, fosfati, solfiti, diossine, metalli pesanti nel sangue; i fiumi erano di color marrone e segnati da schiume gigantesche e l’Olona e il Seveso erano le fogne a cielo aperto di Milano che andavano ad ingrossare “la fogna maggiore” che era diventata il Po, che scaricava il tutto nell’Adriatico.

Seveso nel 1976, nel suo tragico determinarsi segnò l’inizio mediatico, in cui si materializzava “plasticamente” il disastro ecologico che veniva riportato dalle immagini dei volti dei bambini della zona, deformati e stravolti da eczemi devastanti, dovuti alle polveri tossiche respirate.

Il sud, ancora più travolto da questa febbre cementificatoria si saldò sull’azione corrosiva delle varie mafie e la DC, il principale partito di governo dal ’48 fino al 1993, per consolidare la diga anticomunista di un PCI che allora acquisiva consensi in un nord iper-industrializzato, nel sud lasciò fare, chiuse occhi ed orecchie e dagli anni ’70 in poi, col voto di scambio e la tolleranza, furono abusivamente cementificate le coste, dalla tirrenica alla adriatica.

Le varie imprese IRI del sud, come le raffinerie di Gela e Siracusa, Crotone e la Pertusola, furono esempi di devastazione territoriale e ambientale di estrema gravità che causarono e causano ancora oggi decessi, tumori e leucemie.

Il recente caso di Crotone della scuola S. Francesco chiusa per inquinamento, per essere stata costruita su terre di lavorazione della Pertusola è la cartina di tornasole del disastro che ancora oggi spinge molti genitori a ricorrere a cure negli ospedali del nord, di fonte a patologie tumorali frequenti che bimbi, sia nel bacino petrolifero siciliano che nel crotonese e nell’area campana, subiscono fino morirne.

Veri e acclarati serbatoi di patologie di origine ambientale che lo Stato tende a minimizzare e a ridurre per timore di class actions che lo costringerebbero a risarcimenti miliardari per la gravità di fatti che, come fu per il processo alle morti di Marghera, risoltosi con un’ingiustizia ai danni dei deceduti in quell’area infestata, conferma la gravità del problema italiano .

Quindi si può stabilire un nesso tra: cementificazione, industrializzazione sporca, abusivismo edilizio e inquinamento come corollario al disastro idrogeologico cronico che nelle settimane scorse ha colpito ancora Messina e colpirà di sicuro anche il nord se si dovessero verificare precipitazioni significative.

Un male italiano da cui però è difficile uscire. La modifica del titolo 5° della Costituzione ad opera negli anni ’90 dell’Ulivo verso il federalismo regionale, ha affrontato superficialmente questi problemi, delegando alle regioni e ai comuni la salvaguardia ambientale; il risultato è che le pressioni lobbistiche di mafie, costruttori e palazzinari, sono ancora oggi fortissime, anche alla luce della crisi economica in atto: quindi si continua a costruire nello stesso modo scellerato di 40 anni fa.

L’edilizia è come un “oppio tossico”, che ha un effetto dopante, Crea occupazione precaria e in nero e indotti ma lucra sulla rendita fondiaria, e oltre alla distruzione del territorio nel passaggio tra aree agricole ad industriali / residenziali, è essa stessa fattore di devastazione e saturazione del suolo sempre più antropizzato e vulnerabile da nord a sud.

Al sud sono state censite centinaia di migliaia di costruzioni abusive che dovrebbero essere abbattute, ma nonostante indicazioni della “protezione civile” e delle “associazioni ambientaliste”, ciò non può avvenire! Soprattutto se il compito continua ad essere affidato solo ai sindaci i quali, a rischio della propria vita o carriera politica, evitano accuratamente di intraprendere simili strade impopolari, anche dal punto di vista elettorale.

Il che marca la fallimentarietà del sistema federalista italiano che non prevede limiti e ferrei vincoli di carattere statale, di pianificazione, indirizzo e tutela del territorio, in modi e forme atte garantire la qualità ambientale e la prevenzione degli effetti gravissimi di catastrofi naturali quali sismi, frane e alluvioni .

Le normative edilizie sono infatti una jungla e variano da comune a comune.

Berlusconi, ignaro di queste considerazioni sullo stato del Paese, ha stravinto in Sardegna proponendo proprio la libertà del costruire, riducendo i vincoli, su Renato Soru che invece proponeva una politica urbanistica più attenta allo sviluppo di quell’importantissima isola sia dal punto di vista paesaggistico che turistico da preservare.

Berlusconi lo scorso inverno per uscire dalla crisi, proponeva per la ripresa italiana, fino a 100 nuove new towns da realizzarsi, come se la cementificazione attuale non bastasse già ed avanzasse.

Berlusconi nel caso del terremoto dell’Aquila ha infatti demagogicamente usato ai suoi fini propagandistici la creazione di una nuova città a margine di quella disastrata e storica dell’Aquila, lasciando il centro antico ancora sotto i detriti, fattore che rischia di far colassare la vita sociale della città e di creare così, invece che brutti containers come in altri sismi, una specie di Aquila 2 o città fantasma, ma fatta di case provvisorie che resteranno definitive. Infatti non son state disposte norme per rendere affittabili le case sfitte ed agibili del centro dell’ Aquila, diverse migliaia e quelle di rapida manutenzione 13mila, quindi riutilizzabili; s’è puntato solo sullo show della realizzazione rapida di una nuova “banlieue” ai lati del perimetro urbano.

La Prestigiacomo a Porta a Porta ha dichiarato, con accanto Matteoli, che il costo della messa in sicurezza idrogeologica dell’Italia costerebbe ben 40 miliardi di euro, e che non ci sono le risorse ! Risorse che son state spese dagli anni ’90 in poi, in ben 37miliardi  per la tav velocista…italiana, per avere treni a 300 all’ora, inutili quando il territorio è in un simile disastro; poi con costi di 3 volte superiori alla media europea! E treni locali/pendolari invece al collasso, su un territorio perennemente instabile e a rischio!

 

 

 

 

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