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Ior indagata per violazione norme antiriciclaggio

Inchiesta del pm di Roma sui conti dello Ior in Unicredit, per violazione delle norme antiriciclaggio. L’indagine ipotizza, fra l’altro, la violazione di alcune norme fra le quali quella sulla trasparenza della titolarità dei conti correnti. E’ coperta dal massimo riserbo e riguarda uno o più conti correnti, nella titolarità dello Ior, aperti in una filiale Unicredit di Roma. Depositi su cui sarebbero transitati, negli ultimi tre anni, 60 milioni di euro all’anno.

La Città del Vaticano si estende su 44 ettari di terreno. Ha 911 residenti di cui 532 cittadini, con un reddito pro-capite stimato attorno ai 407.095 euro.

Ufficialmente la Santa Sede non produce beni e i suoi servizi sono per lo più gratuiti. Tuttavia, la sua economia (con i suoi profitti) si basa sugli investimenti di mobili e immobili. Un inestimabile patrimonio fatto di numerose proprietà terriere e immobiliari, ma fatto anche di banche, enti, onlus, agenzie e azioni di varia natura e genere. Tutto racchiuso entro le mura episcopali: 4.649 diocesi riunite in 110 Conferenze Episcopali.

Il bilancio di tutto questo impero è tenuto dall’Apsa (Amministrazione patrimonio sede apostolica) e la Prefettura per gli Affari Economici guidata dal cardinale Sergio Sebastiani.

Il Vaticano possiede alberghi, palazzi, asili nido, università, ospedali, strutture sia pubbliche che private e assicurazioni, case editrici, testate giornalistiche, ma soprattutto banche! Tutte queste strutture sono esentasse: niente ICI o TARSU, tanto per cominciare. Niente Iva, Irpef, nulla di niente. Nemmeno i controlli hanno. Possono tutto e nulla sembra poterli fermare. Due miliardi di euro, il loro giro di affari. Possono anche coniare moneta.

Lo Ior è una magnifica costruzione risalente a Niccolò V, una torre emblematica e suggestiva dove entrare risulta impossibile e impensabile. Uno scrigno di dura pietra spesso 9 metri, per entraci bisogna passare una porta anonima e discreta. A sorvegliarla ininterrottamente le guardie svizzere. Dentro si trova una sala computer, uno sportello e un bancomat: là dentro le code e le file non si formano mai.

Tutto è austero e il rumore dei passi viene attutito dai folti tappeti, si ha la sensazione di addentrarsi in un tempio ed è certamente questa la percezione che si vuol dare a chi entra. Nel tempio si bisbiglia, si sussurra alle orecchie di uomini in abito scuro e dal volto enigmatico. Non esistono sportelli ma salette con tavolini di legno pregiato e divani impeccabili: attorno questi tavoli si son gestiti e ripuliti ogni genere di denaro proveniente dalla mafia e dalla camorra. Compravendite, azioni e affari che hanno pregiudicato la vita di chi ha tentato di smascherarli. Nei depositi dello Ior miliardi di euro: è solo una stima approssimativa di chi, scampando la morte, è riuscito a tralasciare qualche trafiletto delle sue inchieste.

Lo Ior non ha obblighi né regole, e assicura assoluta discrezione ai suoi clienti: chi entra da loro non risulterà mai esserci entrato. Svolgere un’inchiesta e arrivare allo Ior significa scontrarsi contro una diga che non conosce crepe o timori di crolli, impermeabile e inattaccabile lascia cadere ogni accusa o supposizione nel fossato. Questa discrezione, questa segretezza assicura ogni tipo di riciclaggio, evasione e reato legato al denaro.

Quando si chiuse il processo per lo scandalo del Banco Ambrosiano, lo Ior era un buco nero in cui nessuno osava guardare. Per uscire dal crac che aveva rovinato decine di migliaia di famiglie, la banca vaticana versò 406 milioni di dollari ai liquidatori. Meno di un quarto rispetto ai 1.159 milioni di dollari dovuti secondo l’allora Ministro del Tesoro, Beniamino Andreatta. Lo scandalo fu accompagnato da infinite leggende e da una scia di cadaveri eccellenti. Michele Sindona avvelenato nel carcere di Voghera, Roberto Calvi impiccato sotto il ponte dei Frati Neri a Londra, il giudice istruttore Emilio Alessandrini ucciso dai colpi di Prima Linea, l’avvocato Ambrosoli freddato da un killer della mafia venuto dall’America al portone di casa. Senza contare il mistero più inquietante, la morte di papa Luciani, dopo soli 33 giorni di pontificato, alla vigilia della decisione di rimuovere Paul Marcinkus e i vertici dello Ior.

Questo prete americano perennemente atteggiato da avventuriero di Wall Street, con le mazze da golf nella fuoriserie, l’Havana incollato alle labbra, le stupende segreterie bionde e gli amici di poker della P2. Con il successore di papa Luciani, Marcinkus trova subito un’intesa. A Karol Wojtyla piace molto quel figlio di immigrati dell’Est che parla bene il polacco, odia i comunisti e sembra così sensibile alle lotte di Solidarnosc.

Quando i magistrati di Milano spiccano mandato d’arresto nei confronti di Marcinkus, il Vaticano si chiude come una roccaforte per proteggerlo, rifiuta ogni collaborazione con la giustizia italiana. Dopo Marcinkus, il ruolo verrà affidato al laico Caloia. Come confida lo stesso Caloia al suo diarista, il giornalista cattolico Giancarlo Galli, autore di un libro fondamentale ma introvabile, "Finanza bianca" (Mondadori, 2003): "Il vero dominus dello Ior rimaneva monsignor Donato De Bonis, in rapporti con tutta la Roma che contava, politica e mondana. Francesco Cossiga lo chiamava Donatino, Giulio Andreotti lo teneva in massima considerazione. E poi aristocratici, finanzieri, artisti come Sofia Loren. Questo spiegherebbe perché fra i conti si trovassero anche quelli di personaggi che poi dovevano confrontarsi con la giustizia. Bastava un cenno del monsignore per aprire un conto segreto".

Da Tangentopoli, alle stragi del ’93, alla scalata dei "furbetti" e perfino a Calciopoli. L’autunno del 1993 è la stagione più crudele di Tangentopoli. Subito dopo i suicidi veri o presunti di Gabriele Cagliari e di Raul Gardini, la mattina del 4 ottobre arriva al presidente dello Ior una telefonata del procuratore capo del pool di Mani Pulite, Francesco Saverio Borrelli: "Caro professore, ci sono dei problemi riguardanti lo Ior e i contatti con Enimont". Il fatto è che una parte considerevole della "madre di tutte le tangenti", per la precisione 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro, è transitata dallo Ior. Sul conto di un vecchio cliente, Luigi Bisignani, piduista, giornalista, collaboratore del gruppo Ferruzzi e faccendiere in proprio, in seguito condannato a 3 anni e 4 mesi per lo scandalo Enimont e di recente rispuntato nell’inchiesta "Why Not" di Luigi De Magistris. Inchiesta puntualmente smembrata.

I magistrati del pool valutano l’ipotesi della rogatoria. Lo Ior non ha sportelli in terra italiana, non emette assegni e, in quanto "ente fondante della Città del Vaticano", è protetto dal Concordato: qualsiasi richiesta deve partire dal Ministero degli Esteri. Le probabilità di ottenere la rogatoria in queste condizioni sono lo zero virgola. In compenso, l’effetto di una richiesta da parte dei giudici milanesi sarebbe devastante sull’opinione pubblica. Il pool si ritira in buon ordine e si accontenta della spiegazione ufficiale: "Lo Ior non poteva conoscere la destinazione del danaro".

Il secondo episodio, ancora più cupo, risale alla metà degli anni Novanta, durante il processo per mafia a Marcello Dell’Utri. In video conferenza dagli Stati Uniti il pentito Francesco Marino Mannoia rivela che "Licio Gelli investiva i danari dei corleonesi di Totò Riina nella banca del Vaticano".

"Lo Ior garantiva ai corleonesi investimenti e discrezione": fin qui Mannoia fornisce informazioni di prima mano, da capo delle raffinerie di eroina di tutta la Sicilia occidentale, principale fonte di profitto delle cosche. Secondo Giovanni Falcone "il più attendibile dei collaboratori di giustizia", per alcuni versi più prezioso dello stesso Buscetta. Ogni sua affermazione ha trovato riscontri oggettivi. Soltanto su una non si è proceduto ad accertare i fatti, quella sullo Ior. I magistrati del caso Dell’Utri non indagano sulla pista Ior perché non riguarda Dell’Utri e il gruppo Berlusconi, ma passano le carte ai colleghi del processo Andreotti. Scarpinato e gli altri sono a conoscenza del precedente di Borrelli e non firmano la richiesta di rogatoria. Al palazzo di giustizia di Palermo qualcuno in alto osserva: "Non ci siamo fatti abbastanza nemici per metterci contro anche il Vaticano?".

Giampiero Fiorani racconta in carcere ai magistrati: "Alla Bsi svizzera ci sono tre conti della Santa Sede che avranno, non esagero, due o tre miliardi di euro". Al pm milanese Francesco Greco, Fiorani fa l’elenco dei versamenti in nero fatti alle casse vaticane: "I primi soldi neri li ho dati al cardinale Castillo Lara (presidente dell’Apsa, l’Amministrazione del Patrimonio Immobiliare della Chiesa, ndr), quando ho comprato la Cassa Lombarda. M’ha chiesto trenta miliardi di lire, possibilmente su un conto estero". Il Vaticano molla presto Fiorani, ma in compenso difende Antonio Fazio fino al giorno prima delle dimissioni, quando ormai lo hanno abbandonato tutti. Avvenire e Osservatore Romano ripetono fino all’ultimo giorno di Fazio in Bankitalia la teoria del "complotto politico" contro il governatore. Del resto, la carriera di questo strano banchiere che alle riunioni dei governatori centrali non ha mai citato una volta Keynes ma almeno un centinaio di volte le encicliche, si spiega in buona parte con l’appoggio vaticano.

Naturalmente neppure i racconti di Fiorani aprono lo scrigno dei segreti dello Ior e dell’Apsa, i cui rapporti con le banche svizzere e i paradisi fiscali in giro per il mondo sono quantomeno singolari. Secondo i magistrati romani Palamara e Palaia, i fondi neri della Gea, la società di mediazione presieduta dal figlio di Moggi, sarebbero custoditi nella banca vaticana. Attraverso i buoni uffici di un altro dei banchieri di fiducia della Santa Sede dalla fedina penale non immacolata, Cesare Geronzi, padre dell’azionista di maggioranza della Gea. Nel caveau dello Ior sarebbe custodito anche il "tesoretto" personale di Luciano Moggi, stimato in 150 milioni di euro. Al solito, rogatorie e verifiche sono impossibili. Ma è certo che Moggi gode di grande considerazione in Vaticano. I segreti dello Ior rimarranno custoditi forse per sempre nella torre-scrigno.

Nessuna autorità italiana ha mai avviato un’inchiesta per stabilire il peso economico del Vaticano nel Paese che lo ospita. Un potere enorme, diretto e indiretto. Negli ultimi decenni il mondo cattolico ha espugnato la roccaforte tradizionale delle minoranze laiche e liberali italiane: la finanza.

Commenti all'articolo

  • Di (---.---.---.112) 3 febbraio 2011 10:54

    Nel Vaticano il senso della giustizia non esiste, dividendo il mondo in brutti (che poi molto mondo cattolico è persino brutto!)e belli, in buoni o cattivi. Gianni Agnelli regalò ai musei vaticani un dipinto di Francis Bacon (Bacon in lingua inglese è sinonimo di lardo, di porci persino masturbativi e, nel suo caso, inducenti all’uso continuo di cocaina), tuttora visibile là in esposizione permanente. Il riciclaggio del denaro sporco non è per il Vaticano una questione culturale, lo Ior risponde al più intimo bisogno di capitalismo da parte del potere centrale della Chiesa Cattolica.Difatti il Vaticano non risolve il problema della fame umana con il lavoro dei campi, ma preferisce ammazzarci ed utilizzare piùttosto i più comodi scrigni della Mafia che, a livello finanziario mondiale, agisce che è un capolavoro divino!

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