• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Attualità > Media > Il Web. Una risorsa o un pericolo per l’informazione?

Il Web. Una risorsa o un pericolo per l’informazione?

E’ di recente attualità l’intenzione di Rupert Murdoch, magnate mondiale dell’editoria e proprietario della rete televisiva Fox, del Wall Street Journal e il Times di Londra, di impedire al motore di ricerca più potente del web, Google, di pubblicare i contenuti del suo immenso impero editoriale.

E’ una vera e propria guerra quella che nell’ultimo anno ha visto contrapposti gli editori internazionali e i maggiori "aggregatori" del web.
 
Il dibattito sull’informazione ha visto aprirsi nuovi scenari da quando i cittadini comuni, con l’ausilio della rete, hanno deciso di non subire più passivamente il flusso di informazioni proveniente dai centri di potere econimico e politico che hanno controllato per anni il sistema informativo, in un regime oligarchico.
 
La voglia di partecipazione ha portato migliaia di persone in tutto il mondo ad aprire blog individuali attraverso i quali poter esprimere il loro pensiero dal proprio punto di osservazione, partecipando appunto alla divulgazione delle informazioni, e in taluni casi creando la notizia.
 
La velocità della rete permette alla notizia di essere diffusa in tempo reale, con immediatezza rispetto all’accadimento dell’evento, che genera poi la notizia e quindi l’informazione. Un tipico caso è stato rappresentato dal terremoto dell’Aquila - pochi minuti dopo la tragedia la notizia aveva fatto il giro del web attraverso i social network.
 
Si è aperto quindi un dibattito che vede coinvolto tutto il sistema dei media, siano essi tradizionali - televisione o carta stampata - ovvero quelli tecnologicamente più avanzati. E’ stato messo in discussione perfino il ruolo stesso del giornalismo professionista e la capacità che esso ha di gestire e di diffondere le informazioni.
 
Fra le tante analisi che si sono azzardate nel corso degli ultimi anni, due ci sembrano particolarmente interessanti. La prima è quella di Luca De Biase - Il giornale non è la sua carta e la seconda è di Claudio Giua - Il giornalismo sulla scena digitale.
 
Leggendole ci è sembrato di capire che i due autori "hanno sete" di giornalismo professionale, di voglia di riaffermare la necessità di un giornalismo che non sia fatto solo di una continua ripetizione della notizia attraverso un copia/incolla, della necessità di un giornalismo di inchiesta che vada oltre la mera cronaca di un evento. Le due analisi ci sembrano molto accurate, senza pregiudizi e con una chiara volontà di far emergere sul serio le ragioni che hanno spinto anche noi a passare ad un ruolo attivo all’interno del sistema mediatico, controllando sotto certi versi l’attendibilità stessa delle notizie ufficiali.
 
Di certo nessun blogger e nessuno fra i tanti che scrivono attraverso il citizen journalism hanno l’intenzione di sostituirsi al giornalismo professionale, anzi si tratta principalmente di voglia di partecipare, esprimendo opinioni o analizzando fenomeni che spesso vengono taciuti o emarginati dalla stampa ufficiale.
 
La crisi della carta stampata, e in particolare dei quotidiani italiani che hanno visto nel corso della prima parte del 2009 crollare gli introiti pubblicitari del 26%, non può essere banalizzata come il disinteresse dei cittadini. C’è sempre una maggiore voglia di informazione, ma a patto che questa derivi da fonti attendibili senza il sospetto che venga generata da apparati mediatici legati ad interessi individuali degli editori.
 
Il compito del giornalista è di dare la notizia in maniera compiuta, ricercandone la fonte e vagliandone l’attendibilità. Non si può negare il fatto che questo modo di procedere accomuni anche coloro che non sono iscritti ad alcun Ordine professionale.
 
Luca De Biase scrive: "per trovare una particolare storia giornalistica occorrono la stessa competenza, ricerca e metodo, sia che quella storia sia offerta al pubblico sulla carta, sul web, in tv o alla radio... E’ per questo che i nuovi media non vanno necessariamente visti come una negazione del giornalismo ma come una modalità in più per esprimerlo".
 
Lo scontro tra editori e web si fa sempre più acceso, ma è pur vero che l’interesse dell’editore non è quello di vendere la notizia, ma di vendere lo spazio pubblicitario ad essa collegato.
 
Rupert Murdoch intende far pagare l’aggregatore di Google news per le notizie riprese dai media di sua proprietà, ma secondo De Biase "non basta dichiarare che le notizie sono a pagamento. Occorre anche che qualcuno le paghi. Se decidessero di mettere le notizie a pagamento, gli editori perderebbero un certo numero di visitatori, quindi una parte della raccolta pubblicitaria".
 
Il pubblico di internet non intende soltanto raggiungere la notizia indipendentemente da chi gliela fornisce, ma ne ricerca l’attendibilità. Per tale ragione ci si rivolge spesso a quei blog che non trattano informazioni in maniera generica, ma sono focalizzati su determinati argomenti sui quali la competenza è massima. Ci si rivolge ai blog di gente competente come letterati, accademici, scienziati, persone che studiano nello specifico una certa problematica e che ne divulgano l’opinione in merito.
 
"Il blog fa saltare la mediazione della redazione che mette in fila i fatti salienti, ma forse è proprio questo che, oggi, l’utenza chiede meno: essere guidata nella lettura dei fatti, subire una gerarchia delle notizie", secondo Claudio Giua. 
 
In Italia, infine, la crisi della stampa è sotto gli occhi di tutti. L’informazione viene continuamente vagliata dall’editore e mediata all’utenza in modo incompleto e fazioso, non per aiutare il lettore a formarsi un’opinione, ma per imporre un modo di pensare, e quindi di agire, soprattutto nel segreto della cabina elettorale. Si tenta sistematicamente di condizionare l’opinione pubblica impedendo qualsivoglia capacità di ragionamento che potrebbe portare anche "a cambiare idea".
 
Si creano false notizie - vedasi il caso di Claudio Brachino e del servizio andato in onda su Canale 5 avente ad oggetto le "stranezze" del giudice Mesiano - con il malcelato intento di ledere la credibilità di chi ha sfidato un editore (leggasi il Presidente del Consiglio) emettendo una sentenza "impopolare". 

Commenti all'articolo

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares