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Il surriscaldamento del pianeta

Fonte: Oliver Mongelluzzo
 
Il surriscaldamento del pianeta è un fenomeno di innalzamento della temperatura del pianeta, in particolare dell’atmosfera terrestre e delle acque degli oceani. Una buona parte dell’aumento della temperatura è dovuto a cause naturali come l’effetto serra, mentre un’altra è riconducibile alle attività umane quale l’utilizzo dei combustibili fossili o dell’allevamento e dell’agricoltura intensiva.
 
L’IPCC (Intergovernmental Panelon on Climate Change) ha reso noto nel 2005 che la temperatura del pianeta Terra è aumentata di 0,74 ± 0,18 °C durante gli ultimi 100 anni e la maggior colpa di ciò è attribuita all’incremento osservato dalle concentrazioni di gas serra antropogenici. Un aumento di pochi decimi di grado nella temperatura atmosferica e superficiale è in grado di attuare effetti devastanti sulla Terra.
 
Alcune previsioni dell’IPCC rivelano che la temperatura terrestre potrebbe aumentare durante i prossimi decenni di altri °C tra 1,4 e 5,8. Può sembrare un lieve cambiamento, ma potrebbe non esserlo affatto, dato che i potenziali rischi ambientali sociali ed economici sono molto pericolosi.
 
Uno di questi è indubbiamente il ritiro dei ghiacciai, lo scoglimento delle calotte polari ed il conseguente aumento del livello dei mari tra i 2 e i 6 metri.
 
Il secondo rischio è quello del rallentamento della corrente nord-atlantica, che normalmente fa sì che New York abbia un clima diverso da Napoli o da Lisbona che si trovano alla medesima latitudine.
 
Un altro rischio è sicuramente l’estinzione di specie vegetali ed animali. Uno studio prevede che se ne estingueranno da 18% a 35% nei prossimi 40 anni. Il riscaldamento globale però potrebbe avere anche le conseguenza di portare malattie come la malaria e la dengue, i raccolti agricoli dell’Africa Subsahariana peggiorerebbero moltissimo a causa di questa temperatura.
 
L’innalzamento della temperatura quindi è un fenomeno che peggiorerebbe drasticamente lo stile e le condizioni di vita dell’uomo e degli esseri umani in generale, potremmo prevenirlo o almeno provarci evitando l’inquinamento dell’atmosfera, delle acque e del suolo, riciclare i rifiuti e le materie prime, utilizzando energie rinnovabili tipo quella solare o quella eolica, proteggendo l’ecosistema con un consumo ecosostenibile o sostenendo le politiche ambientali adottate dalle istituzioni.
 
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Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.249) 2 gennaio 2010 20:02

    Attenzione ai PECCATI di presunzione di certi fautori dei modelli di simulazione. Da tenere invece ben presente il livello di Compatibilità Ecologica Globale (CEG) di certe soluzioni tanto intriganti quanto "avventurose". (segui => http://forum.wineuropa.it

  • Di (---.---.---.71) 3 gennaio 2010 23:55
    D’origine antropica ’sto ciufolo.
    Renzo Riva

    «I negazionisti del clima? Venduti»Al Gore vince il nobel dell’ipocrisia

    Al Gore ha dichiarato che chi nega la responsabilità umana del riscaldamento globale è pagato dagli inquinatori. Lo stile delle dichiarazioni ricorda quelle del mafioso pluriomicida Spatuzza, che parla tanto per emettere aria - alquanto fetida, in verità - ma con tanti allocchi intorno disposti a respirarla a pieni polmoni. Mentre Al Gore non può offrire dimostrazione alcuna della malafede che, a suo dire, animerebbe quelli che egli chiama negazionisti, noi possiamo offrire ampi indizi della sua malafede. La stessa parola - negazionisti - è deliberatamente usata per evocare un automatico accostamento ai negazionisti dell’Olocausto nazista; il che, se spinto fino alle logiche conseguenze, vorrebbe suggerire la messa sotto processo dei dissidenti in tema di clima per crimini contro l’umanità. Privo di argomenti, insomma, Al Gore ci liquida accusandoci di essere criminali e pagati.
    Dico «ci» perché io sarei un negazionista: sono membro dell’N-Ipcc, una istituzione internazionale che ha fornito ampie e documentate prove della totale assenza di responsabilità umana sul clima del pianeta. Ma sto ancora cercando nel mio conto in banca, non avendoli ancora trovati, i proventi di quei pagamenti.
    Al contrario, invece, in questi giorni è emersa la colossale frode che proprio ad Al Gore ha fruttato il Nobel per la pace. Dovremmo però dire ri-emersa, visto che è da almeno 10 anni che è noto l’imbroglio. Il suo premio Al Gore lo ha diviso con l’Ipcc, il noto comitato dell’Onu investito del problema climatico. Orbene, l’Ipcc era gravato dal pregiudizio già sul nascere, visto che il suo statuto recitava che compito del comitato era «stabilire, in modo completo, oggettivo, aperto e trasparente, le informazioni scientifiche, tecniche e socio-economiche rilevanti per comprendere le basi scientifiche dei rischi dei cambiamenti climatici indotti dalle attività umane». Insomma, l’Ipcc aveva già deciso che le attività umane influenzano il clima prima ancora di cominciare a operare. Nel suo Primo Rapporto (1990), lacunoso nell’ignorare gli effetti del vapore acqueo, delle nuvole e del sole sul clima della Terra, e ignorando gli scienziati che sottolineavano la lacuna, l’Ipcc «prediceva» ciò che i politici dell’Onu volevano predicesse: il disastro planetario come conseguenza dell’immissione in atmosfera della CO2. Il Secondo Rapporto (1996) si macchiò addirittura dell’infamia di gravi alterazioni nella stesura del Riassunto che fu poi dato in pasto all’opinione pubblica, tant’è che diversi scienziati dello stesso Ipcc protestarono (memorabile è la lettera di denuncia, pubblicata sul Wall Street Journal, di Frederick Seitz, presidente della Società di fisica e dell’Accademia nazionale delle scienze americane). Il Terzo Rapporto dell’Ipcc è invece memorabile per aver fatto proprio e diffuso il famoso grafico «a mazza da hockey» delle temperature medie globali, prodotto della «ricerca» di un inesperto studente, tale Michael Mann (poi subito gratificato con incarichi spropositati al proprio curriculum), il quale aveva cancellato con un tratto di penna sia il periodo caldo medioevale che la successiva piccola era glaciale, facendo apparire le temperature attuali le più elevate del millennio (sappiamo invece che per un paio di secoli attorno all’anno Mille il pianeta fu più caldo di adesso). Quel grafico indusse l’approvazione operativa del Protocollo di Kyoto, ma fu subito dopo dimostrato essere un falso scientifico, tant’è che il Quarto Rapporto dell’Ipcc (2007) neanche lo cita più.

    Il terrore diffuso dai Rapporti dell’Ipcc ha attirato l’attenzione dei media, che ha incrementato il flusso di risorse, che a sua volta ha vieppiù foraggiato la propaganda politica, in un vortice senza fine. Si sono creati nuovi «posti di lavoro», occupati da una pletora di persone prive di alcuna competenza scientifica, ma che traggono così di che vivere. Il vortice è oggi ingigantito dagli interessi per la diffusione delle tecnologie eolica e fotovoltaica che sono costosissime e prive di alcun valore nella produzione d’energia elettrica, e possono essere mantenute in vita, quegli interessi, solo grazie a questo clima di terrore.
  • Di Renzo Riva (---.---.---.223) 12 gennaio 2010 13:51
    Renzo Riva

    http://www.ilgiornale.it/pag_pdf.php?ID=123081

    http://www.ilgiornale.it/interni/luomo_che_fa_miliardi_balle_clima/07-01-2010/articolostampa-id=411816-page=1-comments=1




    articolo di giovedì 07 gennaio 2010
    L’uomo che fa i miliardi con le balle sul clima
    di Rino Cammilleri
    Al grosso pubblico il nome di Rajendra Pachauri
     
      

    non dice nulla, eppure è l’uomo che sta costringendo il pianeta a tirare la cinghia per via del clima. Nemmeno chi qui scrive ne avrebbe saputo se l’agenzia SviPop non gli avesse messo sotto il naso, tradotta da Alessandra Nucci, un’inchiesta del Daily Telegraph a firma di Christopher Booker e Richard North (20 dicembre u.s.).
    L’ex ingegnere ferroviario Pachauri è, infatti, presidente dell’Ipcc (la commissione Onu sui cambiamenti climatici) e principale ispiratore del recente vertice di Copenhagen. La dettagliata inchiesta punta il dito su un conflitto di interessi di fronte al quale quello di Berlusconi fa ridere, un intreccio mondiale di affari i cui galattici guadagni in termini di migliaia di miliardi di dollari dipendono, guarda un po’, dalle politiche suggerite dall’Ipcc. Si parla di banche, aziende dell’energia, fondi di investimento implicati nel mercato, in vorticosa crescita, delle emissioni e delle c.d. tecnologie sostenibili. E Pachauri è direttore o consigliere in almeno una ventina di enti leader in quella che ormai è una vera e propria industria del clima.
    La cosa viene a galla il 15 dicembre 2009, quando una lettera aperta viene consegnata a tutte le delegazioni nazionali presenti a Copenhagen e allo stesso Pachauri. Firmata dal senatore australiano Stephen Fielding e dal britannico lord Christopher Monckton, due «scettici del clima» di tutto rispetto date le loro entrature politiche (anche a Washington). Nella lettera, oltre a mettere in dubbio l’onestà scientifica del rapporto 2007 dell’Ipcc, si chiede l’allontanamento di Pachauri per palese conflitto di interessi. Pachauri è infatti direttore generale del Teri (The Energy research institute) di Delhi, nato dal Tata Group, massimo impero affaristico indiano (acciaio, auto, energia, chimica, telecomunicazioni, assicurazioni; possiede anche la principale acciaieria inglese nonché Jaguar e Land Rover). Il Tata ha peso anche politico in India, tant’è che lo spazio per le sue miniere di ferro e acciaierie è stato trovato sloggiando centinaia di migliaia di tribali dell’Orissa e dello Jarkhand. Sarà un caso, ma i pogrom induisti contro i cristiani sono avvenuti proprio da quelle parti (il cristianesimo si diffonde a macchia d’olio proprio fra i tribali, l’ultimo gradino della società indiana; si tratta di gente che, grazie alle scuole cristiane, ha imparato a difendere i propri diritti, cosa che disturba non poco quanti erano abituati da sempre a sfruttarli).
    Pachauri, che oggi lotta contro i combustibili fossili, fino al 2003 era direttore dell’immane India Oil; due anni dopo fondava la texana GloriOil, specializzata nello spremere fino all’ultima goccia pozzi petroliferi dati per esauriti. Nel 1997 diventa uno dei vicepresidenti dell’Ipcc e la Teri comincia ad allargarsi alle tecnologie rinnovabili e/o sostenibili, mentre il Tata Group investe nell’eolico. La Teri ha filiali in tutto il mondo. Il ramo europeo, base Londra, porta avanti un progetto sulle bioenergie finanziato dalla Ue. Un altro progetto studia il modo in cui le assicurazioni indiane (tra cui la Tata) possano trarre profitto dai rischi legati ai cambiamenti climatici. Pachauri presiede anche una non-profit (sede a Washington, a metà strada tra Casa Bianca e Campidoglio) il cui scopo dichiarato è fare lobbying riguardo alle decisioni Usa sui problemi energetici e ambientali del terzomondo; finanziatori: Onu, governo Usa e suoi appaltatori della difesa, Amoco (petrolio), Monsanto (ogm), Wwf (la cui cassa è riempita anche dalla Ue), eccetera. Ancora: la Tata indiana fa affari col c.d. «carbon trading» (mercato mondiale compravendita diritti di emissioni Co2), gran parte del quale è gestito dall’Onu ai sensi del famigerato Protocollo di Kyoto. E Pachauri fa parte del Consiglio della Borsa del Clima di Chicago, la maggiore borsa di scambi di diritti di emissioni. Dal 2007 siede anche nel Consiglio della Siderian, sede a San Francisco, specializzata in «tecnologie sostenibili». Nel 2008 eccolo nel Consiglio per l’energia rinnovabile e sostenibile del Credit Suisse e della Rockefeller Foundation. Ma non è finita: entra nel Consiglio della Banca Nordic Glitnir quando questa lancia un Fondo per il Futuro Sostenibile; diventa presidente del Fondo per le infrastrutture sostenibili dell’Indonesia, direttore dell’International risk governance council di Ginevra che promuove le «bio-energie»; nel 2009 è «consigliere strategico» del Fondo di investimenti Pegasus (New York) nonché presidente del Consiglio dell’Asian development bank.
    Tutto qui? Macché: capo dell’Istituto per il clima e l’energia dell’Università di Yale, membro del Consiglio sul cambiamento climatico della Deutsche Bank, direttore dell’Istituto giapponese per le Strategie globali sull’ambiente. Fino a poco tempo fa era pure consigliere della Toyota e delle ferrovie francesi. In India è, naturalmente, una star: occupa posizioni accademiche (ventidue libri al suo attivo) e in vari organismi governativi, tra cui la Consulta economica del premier. Poi, a Copenhagen, a bacchettare gli occidentali: più aiuti affinché i Paesi in via di sviluppo come l’India prendano la via «ecologica». E, come sappiamo (Sunday Times, 13 dicembre u.s.), la Tata indiana trasferisce una bella fetta di produzione in Orissa, guadagnando miliardi in «crediti alle emissioni» (da vendere a quei Paesi sviluppati che ne abbisognano per «coprire» ciò che «emettono» oltre il limite previsto dagli accordi internazionali). Pachauri, nelle sue conferenze danesi, ha invitato a limitare i consumi di carne (gli animali «emettono» flatulenze al metano, compresi i 400 milioni di vacche sacre indiane), ad abolire il ghiaccio nei ristoranti e tassare (tramite contatore) l’aria condizionata nelle stanze d’albergo.
    Ci si chiede: quant’è lo stipendio complessivo del pres. cons. dir. ing. Pachauri? Non si sa. Tace l’Onu, tace la Teri e pure la Tata. Ovviamente, la domanda numero uno rimane quella relativa al rapporto intercorrente tra tutte le sue cariche e il ruolo di spicco nell’Ipcc. Già, perché la Teri è anche in lizza per un succoso appalto: il Kuwait ha da rimediare ai disastri inferti da Saddam nel 1991 ai campi petroliferi. Il costo è a carico dell’Onu, che già due volte ha firmato contratti con la Teri. La quale è anche partner della Ue in una dozzina di progetti miranti a contenere quel «riscaldamento globale» predetto dal solito Ipcc.


    Spesa pubblica dirigistica per "mangiare" e dare da "mangiare" agli amici di merende.
    Mandi,
    Renzo Riva
    [email protected]
    349.3464656

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