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Il debito nascosto

C’è un debito pubblico non ufficiale di cui si parla poco, si tratta della perdita di competitività del nostro paese che potrebbe rivelarsi fatale per i nostri figli

Ultimamente il ministro Brunetta ha sentito il bisogno di ricordarci che lui è un economista, a differenza del titolare del ministero dell’economia. Successivamente chiarisce specificando che il collega Tremonti è un Giurista. Ne prendiamo atto. C’è un clima un po’ caldo perché bisogna fare quadrare i conti con la finanziaria. Oltre alla recessione, che l’Italia condivide con gran parte del mondo, a causa della recente crisi finanziaria, c’è la questione, tutta italiana, del debito pubblico. Questo aspetto merita qualche riflessione aggiuntiva, non solo da parte dei ministri, ma di tutti gli italiani.

Secondo Wikipedia il debito pubblico italiano «nel 2008 è stato pari al 106% del Pil, ponendo in quell’anno l’Italia al settimo posto al mondo nella classifica dei debiti più alti in rapporto al PIL, e al terzo posto per valore del debito in termini assoluti». Numeri che il lettore medio fatica comprendere appieno (che vuol dire un debito che l’Italia ha in gran parte con se stessa? Perché uno stato non si può indebitare all’infinito?).

C’è tuttavia un debito nascosto, che in qualche modo andrebbe sommato a quello ufficiale ed è molto più intuitivo da cogliere. Il concetto che più gli si avvicina è la carenza di competitività. Pensate ad un individuo che ha un grosso debito. Finché guadagna abbastanza da rimborsare gradualmente capitale e interessi e le sue prospettive sono sufficienti a non impensierire i creditori, si può dire che il suo debito è sostenibile. Se però le capacità di guadagnare si riducono, prima o poi avrà difficoltà a rimborsare il debito, che diventa meno sostenibile e questo fatto potrebbe impensierire i creditori.

Che sta succedendo in Italia? Succede che le infrastrutture pubbliche non ricevono sufficiente manutenzione, per cui in futuro sarà sempre meno conveniente produrre nel nostro paese. Sono scarsi gli investimenti nella formazione e nella ricerca, per cui gli italiani saranno meno capaci, rispetto ai colleghi di altre nazioni di far fronte alle future esigenze del mercato del lavoro. Abbiamo scarsa cura anche delle nostre attrazioni turistiche e delle strutture ricettive, per cui domani molti visitatori potrebbero gradualmente preferire i paesi vicini all’Italia come meta per le vacanze. Dulcis in fundo, il fatto che l’applicazione della legge sia meno certa che in altri pesi, rende l’Italia meno appetibile per gli investitori stranieri (a meno che non si tratti di soggetti interessati al riciclaggio di denaro sporco, ma quella è un’altra storia).

Tante parole già sentite? Probabilmente. Quello che non si sente è l’eredità negativa che stiamo lasciando ai nostri figli. Un debito ufficiale tra i più alti, che renderà più dolorosa la gestione delle recessioni future; ma anche un debito nascosto, non per questo meno importante, fatto di scarsa competitività che in un mondo sempre più globale, dove le singole nazioni non possono più bastare a se stesse, costituisce un handicap considerevole.
 

Commenti all'articolo

  • Di pv21 (---.---.---.1) 27 novembre 2009 19:47

    Qualcuno sente parlare di politica industriale? Qualcuno si interessa del nostro know how esportato con la ritirata delle multinazionali? Godiamoci le CROCIATE Ministeriali di Brunetta e le tasche vuote di Tremonti. Difendiamo dalla magistratura sovversiva la casta di Primi SUPER Cives che rivendica privilegi ed immunità (impunità?). L’Italia è ferma e aspetta ... (c’è di più => http://forum.wineuropa.it )

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