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Il complotto al tempo di Youtube

In inglese, plot significa sia “intreccio narrativo”, “storia”, che “complotto”.
Un racconto dietrologico tenta quindi di dare ordine a una sequenza disordinata di fatti. C’è qualcosa di profondamente narrativo in ogni cospiratore. Un complottista è un autore che tira le fila dei suoi personaggi, riordina gli scenari, mette i fatti in successione, distendendo sul territorio del Reale una mappa in scala 1:1, come nel racconto di Borges.
 
In fin dei conti, un complottista è qualcuno atrocemente spaventato dal mondo, dalla sua irrazionale complessità; ed è qualcuno che – anche responsabilmente – chiede che il conto della complessità del Reale venga pagato da qualcuno. Chiede insomma che qualcuno ci metta la faccia e dica: “sì, la responsabilità di quello che è successo è mia”. È un atteggiamento forse non condivisibile, ma sicuramente rispettabile. Di fronte alla complessità del mondo, i complottisti pretendono i nomi. E se i nomi non vengono fuori, sono loro stessi a ricostruirli.
 
Che cosa c’è quindi di così fastidioso, addirittura disturbante nella serie di ricostruzioni paranoiche – facilmente rinvenibili su YouTube – intorno all’aggressione di Milano a Berlusconi, al fatto che sia frutto di una montatura orchestrata ad arte dal presidente del consiglio e dal suo staff?
 
Prima di tutto, il livello di arroganza, che va di pari passo a quello di stupefacente ignoranza, esibito da quelle teorie complottiste. Lungi dall’architettare poderose e affascinanti teorie dietologiche degne di un Pynchon o di un De Lillo, i complottisti de noantri navigano a vista, assemblano due o tre ideuzze appiccicate con la saliva, presentano ricostruzioni di piccolo cabotaggio servendosi di effetti sonori o video. Montaggi con scritte a effetto, musichette con violino o pianoforte – in buona parte mutuate da film dell’orrore –, ralenti o accelerazioni, dissolvenze incrociate. Siamo in piena paranoia al tempo del Photoshop. Come nel video dell’omicidio di Neda, la manifestante iraniana ammazzata dalle guardie del regime, oggetto di una vergognosa disamina pixel per pixel, con la quale qualcuno aveva tentato di dimostrare la falsità della sequenza, anche con il video del ferimento di Berlusconi ci si attacca a particolari minuti, laterali. Con la postura ostentata di chi dice “eh no, a me non la si fa!”, i web-analisti all’amatriciana si scoprono tutti esperti di balistica, medici, fisici, ingegneri, psicologi. Un cellulare nella mano di un uomo della scorta diventa pipetta spargisangue, una busta impugnata da Berlusconi si trasforma in cappuccio per coprire l’assenza di ferite, la copertura degli agenti muta in sipario di carne per nascondere i maneggi degli esperti di make-up assoldati dal Presidente.
 
“Spegnete la tv e accendete il cervello!”, intima una scritta alla fine di un video. Mai sfiorati dal dubbio di star contribuendo all’allestimento di uno scenario paranoico ingiustificabile, quando non apertamente ridicolo, i ricostruttori del complotto del Duomo deridono ferocemente la massa – per fortuna maggioritaria – di chi fa un investimento di verità, soprattutto sul lavoro di decine di giornalisti, cameraman e fotografi, oltre che sulle centinaia di testimoni oculari. Tutti al soldo del potere? Tutte comparse prezzolate?
 
Certo, con due clic al mouse, un programmino per l’inserimento dei testi e un canale su YouTube ci si sente meglio in un niente. Ci si sente furbi, intelligenti, dalla parte giusta del mondo. Così avanti, così up to date, così capaci di demistificare la Realtà, così pronti a indicare al popolo bue la via illuminata. È la democrazia della Rete, bellezza.
 
Purtroppo.

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