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Il “camoscio” Stefano Cucchi

 

Dal vocabolario della lingua italiana De Mauro: “Camoscio”, mammifero simile alla capra, con corna ricurve all’apice, che vive in branchi sulle montagne d’Europa e dell’Asia Minore.

Non è previsto alcun significato figurativo; ed invece, in una Casa Circondariale di una lontana provincia dell’impero, il termine ha assunto il significato figurativo di “detenuto”. Non si sa come facciano, ma è così. Forse talvolta esagerano e ci può pure scappare il morto, tipo Stefano Cucchi, ma accade raramente. E, poi, Stefano Cucchi, come d’uso, si è fatto male cadendo dalle scale e non lo ha detto a nessuno.


Il comune cittadino, a queste cose non ci pensa perché spera sempre che la cosa non possa succedere a lui; eppure gli può succedere. Gli può succedere di diventare un “camoscio” se ha bisogno di una autorizzazione pubblica di qualsiasi tipo e non vuole dare i suoi denari a nessuno; gli può succedere di diventare un “camoscio” se vuole fare la guida turistica e, non solo non la può fare se non ha una specie di brevetto rilasciato dalla Regione (chissà poi perché), ma dal 2.000 non ne è stato rilasciato nessuno; gli può succedere di diventare un “camoscio” se deve farsi un esame diagnostico particolare e non ha i soldi per pagarselo di tasca sua; gli può succedere di diventare un “camoscio” se ha un figlio disabile e vuole portarlo allo stadio; gli può succedere di diventare un “camoscio” se cerca un lavoro; gli può succedere di diventare un “camoscio” se il lavoro lo ha e vuole progredire in esso facendo carriera; gli può succedere di diventare un “camoscio” se vuole fare una libera professione o una attività d’impresa e, se si intestardisce a farlo senza dare tangenti a qualcuno, finisce come Don Chisciotte a combattere contro i mulini a vento; e, così via discorrendo, si potrebbero scrivere pagine e pagine. 

Certo molti si rassegnano a diventare “camosci” cercando di non pensarci; altri, invece, non si rassegnano, perché non è possibile farti diventare un “camoscio” senza la tua collaborazione, e corrono i loro bravi rischi. Ad esempio il professore Adolfo Parmaliana di Vigliatore Terme non ne aveva alcuna voglia di diventare un “camoscio” ed è finito giù da un cavalcavia: si riporta come sempre il sito che racconta la sua storia, il sito www.illume.it. Ancor oggi, a distanza di un anno, di questa storia il cittadino non ne sa nulla e, forse, non ne saprà mai nulla. Chi non vuole rassegnarsi a diventare un “camoscio” e vuole restare un uomo, tutti i santi giorni che Iddio gli manda, dopo essersi alzato dal letto, dopo aver preso il caffè e dopo essersi lavati i denti, deve combattere la sua quotidiana battaglia per non diventare un “camoscio”. Ma può sempre fare la fine di Stefano Cucchi.

Post Scriptum
In effetti "camoscio" ha anche un significato estensivo come "la pelle di tale animale, conciata in modo da assumere la caratteristica morbidezza vellutata". In tal caso l’analogia sarebbe con la mente umana cui sono state cancellate tutte le sue asperità con i trattamenti che si possono immaginare

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