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I fatti del linguaggio: persone, scenari e culture

“Fatti di parole. La natura umana svelata dal linguaggio”, è il libro del famoso psicologo Steven Pinker (Mondadori, 2009), che esamina i processi del pensiero e i fenomeni mentali simbolici.

 
Prima di addentrarci nei meandri dell’analisi psicologica del linguaggio e della mente, occorre subito precisare che il vero “problema non è che la gente sa troppo poco, ma che sa tante cose che non stanno così” (Mark Twain). Infatti quasi tutti i concetti sono polisemantici e molto difficili da definire. Tutti i significati delle parole si possono scomporre in concetti più elementari e nella mente tutto è relativo come nel mondo fisico. Insomma, ”si capisce veramente una cosa soltanto quando si sa che cosa non è” (p. 101). La mente comprende qualsiasi oggetto nei termini di quattro elementi: chi o cosa l’ha prodotta, di che cosa è fatta, che forma ha e a che cosa serve (Aristotele, James Pustejovsky). E ci sono due habitat delle parole: “il mondo, dove troviamo le cose cui una parola fa riferimento. L’altro è la testa, dove troviamo il modo delle persone di intendere come una parola può essere usata” (p. 293).
 
Inoltre ci sono diverse teorie cognitive del linguaggio di cui le principali sono tre: la Pragmatica Radicale, il Determinismo Linguistico e la Semantica Concettuale. Per la prima teoria, “la mente non contiene rappresentazioni fisse dei significati delle parole. Le parole sono fluide, e in circostanze diverse possono significare cose estremamente diverse. Noi diamo a esse un significato solo al momento, nel contesto della conversazione o del testo in corso. E ciò che attingiamo dalla memoria non è un lessico di definizioni, ma una rete di associazioni fra le parole e i tipi di eventi e attori che esse normalmente veicolano… Il Determinismo Linguistico capovolge la visione di linguaggio e pensiero che ho ipotizzato. Il linguaggio non è una finestra sul pensiero umano, che è formulato in un idioma più ricco e astratto; la nostra lingua madre è la lingua del pensiero, e quindi determina i tipi di pensieri che possiamo pensare” (p. 101).
 
Invece la teoria della Semantica Concettuale “avanza l’ipotesi che i sensi delle parole siano rappresentati mentalmente come espressione di un più ricco e astratto linguaggio del pensiero… I significati delle parole possono variare da una lingua all’altra perché i bambini li assemblano e regolano a partire da concetti più elementari. Possono essere precisi perché i concetti si concentrano su alcuni aspetti della realtà e lasciano perdere il resto… inoltre, si accorda con il senso comune, che dice che le parole non sono la stessa cosa dei pensieri (e delle cose), tanto che gran parte della saggezza umana sta nel non prendere le une per gli altri” (p. 162). Perciò “sono la cultura e l’ambiente (fisico), non la lingua, a portare differenze nella facilità con cui si applica un’abilità mentale o un’altra” (p. 159). Così “le parole sono i gettoni degli uomini saggi che le usano per contare, ma sono anche il denaro dei folli” (Thomas Hobbes).
 
Dunque “la mente umana può interpretare un particolare scenario in molti modi. Ogni interpretazione ruota attorno a qualche idea primaria, come “evento”, “causa”, “cambiamento” e “intento”. Queste idee possono essere metaforicamente estese ad altri ambiti, come quando si contano eventi come se fossero oggetti o si usa lo spazio come metafora per il tempo. Ogni idea ha caratteri peculiarmente umani che la rendono utile per ragionare su alcune cose, ma possono portare a fallacie e confusioni quando cerchiamo di applicarla a più ampio raggio” (p. 34), come avviene nelle generalizzazioni (soprattutto quelle a sfondo religioso e politico).

Comunque, “Chiunque partecipi al dibattito intellettuale non tarda a imparare a riconoscere le tattiche, i sotterfugi e gli sporchi trucchi cui i contendenti ricorrono per raggirare il pubblico quando i fatti e la logica non li assistono. C’è l’appello all’autorità (“Lo dice Spaulding, un premio Nobel"), l’attribuzione di ragioni inconfessabili (“Firefly è solo alla ricerca di attenzione e di finanziamenti”), l’epiteto ingiurioso (“La teoria di Driftwood è razzista”), e la diffamazione per associazione (“Hackenbush è finanziato da una fondazione che finanziò i nazisti”). La tattica forse più nota consiste nel creare e abbattere una caricatura del proprio avversario… E poi c’è la caricatura sacrificale, utile quando si teme di essere ai confini della rispettabilità: si crea una versione fanatica di una propria teoria e poi, come prova che si è moderati, se ne prendono le distanze” (p. 99).

Quindi “le idee astratte sono connesse in modo sistematico a esperienze più concrete” (p. 253) e, siccome “la gente pensa per metafore, la chiave per comprendere il pensiero umano sta nel decostruire queste metafore. Le persone sono in disaccordo fra loro perché inquadrano un problema servendosi di metafore diverse, e si scombussolano la vita a causa delle deleterie implicazioni di questi inquadramenti, che usano senza coscienza. La chiave per risolvere conflitti e frustrazione, nella psicoterapia come nel diritto, nella filosofia e nella politica, è una critica letteraria linguisticamente informata. Chiamiamola teoria messianica [ideata da George Lakoff, l’autore di “Non pensare all’elefante!”, www.fusiorari.it, 2006].

Essa si basa sull’idea che pensare è afferrare una metafora: la metafora della metafora” (p. 251). Nei discorsi che prendono in esame argomenti che trattano la sessualità questa prospettiva assume il suo carattere esemplare: “Non appena hai a che fare esplicitamente con il sesso, sei costretto a scegliere fra la lingua dell’asilo, i bassifondi e la lezione di anatomia” (C.S. Lewis). E tutte le parole “forti e crude”, come il turpiloquio e i versi reattivi (le imprecazioni), non segnalano solo l’uscire da noi di qualcosa di emotivo, ma anche l’entrare in noi di qualcosa di importante (Erving Goffman, sociologo, "La vita quotidiana come rappresentazione").

Per quanto riguarda il potere dell’analogia nel ragionamento scientifico, il cuore della questione non risiede nelle similitudini superficiali o in quelle aleatorie, come avviene nell’erroneo concedere valore causale alle correlazioni, ma consiste nello scoprire le relazioni fra le parti o le reali relazioni tra i rapporti degli oggetti o dei fatti che si prendono in considerazione (Dedre Gentner, psicologa). Inoltre, se la mente si può considerare un trafficante di metafore, bisogna anche essere pragmatici: “chi ascolta presume che chi parla trasmetta informazioni pertinenti a ciò che egli vuole sapere, consentendogli così di intuire il significato di espressioni vaghe. La cosa funziona benissimo quando gli interlocutori sono cooperativi e l’intuizione dell’ascoltatore corrisponde all’intento del parlante, non invece quando i due sono avversari, come in un’inchiesta giudiziaria” (p. 217).

Dopotutto “Noi scegliamo le parole con cura perché esse devono svolgere contemporaneamente due compiti: trasmettere le nostre intenzioni, e preservare o rinegoziare i nostri legami con il prossimo… il nostro linguaggio è così indiretto… e a volte vi sono messaggi che una mente razionale può non voler ricevere. Scegliamo di non sapere le cose perché prevediamo che saperle avrebbe un effetto incontrollabile sulle nostre emozioni (Gerd Gigerenzer, Legge dell’ignoranza indispensabile). La conoscenza, insomma, può essere pericolosa, perché una mente razionale può essere costretta a usarla razionalmente, permettendo a parlanti malevoli o noncuranti di usare le nostre facoltà contro di noi. Il che rende la potenza espressiva del linguaggio un’arma a doppio taglio: esso ci permette di sapere ciò che vogliamo sapere, ma anche ciò che non vogliamo sapere. Il linguaggio non è solo una finestra sulla natura umana, ma una fistola: una ferita aperta attraverso la quale i nostri visceri sono esposti a un mondo infetto” (p. 440, p. 442). Del resto anche la biologia ci dice che nel regno animale la comunicazione non è solo uno scambio di informazioni, ma si trasforma spesso in una vera e propria manipolazione (R. Dawkins, J. Krebs).

Purtroppo il vero problema degli studiosi è che “Se si convincono che esistono verità prime, la maggior parte dei nostri contemporanei non le mettono più in discussione, diventando così un apprendimento. Allora è finita: non riescono ad andare oltre… Se non si hanno dubbi non si scopre niente! L’atteggiamento giusto da avere è questo: pensare sempre che l’autore di un articolo che ci interessa può essere in errore. Si tende a credere che ciò che sta scritto è vero, soprattutto se è scritto in una lingua considerata quella ufficiale della scienza: l’inglese” (Conversazioni con Henri Laborit, www.eleuthera.it, 1997, p. 75). Inoltre bisognerebbe sempre ricordare che “la mappa non è il territorio” e che la parola cane non morde ed è un’astrazione che può rappresentare cani molti diversi tra di loro (Alfred Korzybski, 1879-1950, Scienze e sanità. Introduzione ai sistemi non aristotelici e alla semantica generale, 1933, www.generalsemantics.org).

Concludendo si può affermare che le ricerche della scienza cognitiva hanno dimostrato che la mente è incarnata, che il pensiero si sviluppa principalmente in maniera inconscia e che i concetti astratti hanno una struttura metaforica.

L’universo della comunicazione umana è quindi un multiverso culturale che rispecchia tutte le diverse prospettive delle lingue parlate dalle molteplici comunità umane e i linguaggi utilizzati da ogni popolazione umana sono pieni di limiti: “Mai nessuno può dare l’esatta misura dei suoi desideri, dei suoi pensieri, dei suoi dolori, e la parola umana è come un paiolo di rame incrinato su cui battiamo cadenze da far danzare gli orsi, quando invece vorremmo intenerire le stelle” (Flaubert, 1857).

“L’informazione vuol essere libera” (Stewart Brand) e “la scienza è così affascinante perché offre una rendita così ragguardevole in congetture contro un investimento così insignificante in dati” (Mark Twain). Perciò “non sprecate il tempo, perché è la materia di cui è fatta la vita” (Benjamin Franklin).

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