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I "Demoni" della Repubblica

"Tra di noi Stepàn Trofimovic recitava di continuo una sua parte speciale, civile, per così dire, e amava questa sua parte appassionatamente, a tal punto che penso non potesse vivere senza recitarla". (I Demoni, F.M. Dostoevskij)

 
"I Demoni", di Fedor Michajlovic Dostoevskij, è senz’altro il romanzo che è costato più fatica all’autore, e che rispecchia la situazione politico-ideologica della Russia contemporanea, ma non solo.
 
Il tema principale del romanzo è l’ossessione dei giovani per un nuovo modo di pensare e di agire che si traduce e si concettualizza in una ideologia volta alla distruzione e alla negazione di qualunque valore preesistente, che si chiama Nichilismo.
 
Il movimento anarchico che prende piede in Europa dopo la prima metà dell’Ottocento, nato dal pensiero filosofico di Michail Bakunin, ritenuto uno dei padri fondatori dell’anarchismo moderno, nel corso di quegli anni acquista un’influenza sempre maggiore sui giovani appartenenti alle classi agiate e borghesi dell’epoca.
 
E’ veramente impressionante quanto la lettura di questo romanzo possa suscitare emozioni e ragionamenti che non sono affatto avulsi dalla realtà intellettuale e neocon del ventunesimo secolo.
 
Non si tratta solo dell’antico contrasto generazionale che vede contrapposti gli schieramenti dei figli nei confronti dei padri, ma l’attualizzazione al contesto sociale e politico nel quale noi oggi viviamo ci impone delle riflessioni, che spesso si traducono in semplici constatazioni.
 
L’attuale inesorabile progresso tecnologico ed economico ha aperto un divario generazionale, che si estrinseca nella negazione di quanto è stato fatto dai "nostri vecchi" per la costruzione di una Repubblica avente come pietra angolare l’uguaglianza tra i cittadini, indipendentemente dalla loro classe sociale di provenienza.
 
L’accesso alle fonti di trasmissione della conoscenza, piuttosto che la capacità di utilizzo degli stessi al fine di imporre un modello di pensiero che ne prevarichi altri, fa ritenere ai più che si possa passivamente accettare l’idea di persone più uguali di altre in funzione del loro ruolo pubblico, soprattutto politico.
 
Mettere in discussione, oggi, l’impianto costituzionale della Repubblica, il bilanciamento dei poteri dei suoi organi e la loro indipendenza, creare consapevolmente delle fratture tra i poteri dello Stato, negare il percorso storico che ha portato alla formulazione dei princìpi basilari della comune e pacifica convivenza per un intero popolo, in sintesi affermare che ciò che è stato vero in passato è ora da buttare via perchè obsoleto, significa ritornare al feudalesimo separatista tra padroni e servi.
 
Il "Demone" della Repubblica per alcuni è il Mercato come Principio. Secondo noi il vero demone è invece il "Consumo", la volontà cioè di trattare ogni aspetto della vita dell’uomo finalizzandolo al profitto. Per raggiungere il quale ogni mezzo dev’essere reso lecito nel nome di una sovranità popolare espressa attraverso la consultazione elettorale.
 
Si finisce in tal modo con il trattare qualsiasi argomento in termini aziendali, imponendo il marketing come modello culturale.
 
L’attualità politica è anch’essa intrisa di retorica riferita alla presunta superiorità della struttura della Pubblica Amministrazione, se fosse veramente seguita la logica esclusivamente aziendale nella gestione della cosa pubblica.
 
E’ lo stesso ministro Guardasigilli Angelino Alfano a dichiararsi "orgoglioso dell’applicazione della logica aziendale al sistema giustizia", rispondendo così alle affermazioni del Procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro, il quale nel corso della trasmissione "In mezz’ora", in onda sulla terza rete e condotta da Lucia Annunziata, aveva criticato il modo di procedere dell’Esecutivo guidato da Silvio Berlusconi nella riforma del potere giudiziario.
 
"Evidentemente nessuno tra quelli che, con ostilità preconcetta, ci attacca, si rende conto che, se la giustizia italiana fosse valutata secondo i canoni aziendali, sarebbe sull’orlo del fallimento", dichiara Alfano.
 
Ricordiamo al ministro che se si volesse sul serio affrontare il tema della giustizia per soddisfare le esigenze dei cittadini, garantiti dalla stessa Carta Costituzionale, allora bisognerebbe mettere sul tappeto tutta una serie di risorse finanziarie necessarie a garantire ai magistrati strutture idonee e mezzi necessari per lo svolgimento di operazioni investigative che assicurino la perseguibilità di reati che oggi si tendono a sminuire circa la loro pericolosità sociale, dal falso in bilancio all’appropriazione indebita, dalla frode fiscale al falso in atto pubblico, dalla corruzione in atti giudiziari alla costituzione di società off-shore nei paradisi fiscali.
 
La logica del mercato imporrebbe "all’imprenditore della giustizia" di fare gli investimenti necessari per raggiungere un risultato, che in merito al tema trattato non avrebbe alcuna rilevanza sotto l’aspetto del profitto, se non quello di garantire l’efficienza di un sistema che lede gli interessi particolari di pochi soggetti ben identificati.
 
 
 

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