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Haiti, formicaio delle ombre disperate

La tragedia di Haiti, fra altre cose, è legata alla povertà architettonica, svelata dal sisma in tutta spietatezza. Il sito italiano più attento al nesso fra urbanistica e politica, Eddyburg.it, dedica perciò molto spazio a quegli articoli di vari giornali che scavano fra le macerie non per trovare emozioni tragiche e fotogeniche, ma per capire ciò che mette a nudo la fragilità e l’ingiustizia dell’abitare per la maggior parte degli esseri umani del pianeta.

Leggo nella nutrita rassegna stampa su Eddyburg.it anche un articolo di Federico Mastrogiovanni: Nelle bidonville nessuno scava. Un formicaio di ombre disperate.

E’ grazie al Fatto Quotidiano e al Manifesto se Federico Mastrogiovanni può scriverne, da Haiti. Mastrogiovanni ci chiedeva di leggere il suo resoconto. Lo so che in tanti ne stanno scrivendo, ma Federico è lo stesso del blog RadicalShock, un diario dalla periferia dell’impero, fermo all’8 gennaio. Un po’ uno di noi, un po’ come un nostro figlio, un cattivo ragazzo in giro… sta a voi giudicare e leggere quanto scritto da Port-au-Prince, con dolore senza confine. Adieu Haiti “Je sais que la Terre est plate”.

Nelle bidonville nessuno scava.
Un formicaio di ombre disperate

di Federico Mastrogiovanni

Port-au-Prince è un cumulo di macerie e di corpi. La puzza di morte si appiccica addosso. Per le strade, all’improvviso compaiono decine di accampamenti improvvisati, delimitati da pietre e pezzi di calcinaccio: la gente che ha perso la casa e non sa dove andare si sistema in mezzo alle carreggiate, anche per paura di nuovi crolli, dovuti al peso degli edifici, a scosse di assestamento o conseguenza del sisma di martedì scorso, il più forte degli ultimi 200 anni.

Passando da Rue Dalmas, una delle arterie della capitale haitiana maggiormente colpite dal sisma, si stagliano le gru al lavoro tra le macerie della prigione. Qui sotto sono sepolti molti detenuti e guardiani, ma molti altri prigionieri sono riusciti a salvarsi e a scappare. Secondo testimoni e agenzie stampa, il violento incendio divampato al palazzo di Giustizia sarebbe opera di questi fuggitivi, intenzionati a distruggere i loro fascicoli. La fuga ha generato una violenta caccia all’uomo da parte delle forze dell’ordine e della Minustah, la missione Onu che dal 2004 ha il compito di stabilizzare il paese dopo la cacciata di Aristide.

Ma le ricerche sono concentrate soltanto in alcuni punti della città, come l’hotel Montana, in centro, mentre nella gran parte di Port-au-Prince, soprattutto nelle bidonville, nessuno scava. Non si è nemmeno iniziato, perché non ci sono mezzi per farlo.
Si aprono fosse comuni per raccogliere le decine, forse centinaia di migliaia di morti senza un volto né un nome, semplicemente spazzati via da un terremoto che non ha scalfito le case dei ricchi, costruite con criterio e materiali resistenti.

«Questo disastro non sarebbe successo se queste case fossero state costruite seguendo le elementari norme antisismiche», sostiene Fiammetta Cappellini, capo missione ad Haiti della Ong Avsi. «Dopo tre giorni stiamo ancora contando i morti e i dispersi, ma non si riesce a calcolare con precisione. Sono troppi».

Nel centro città, in Rue Nasone, i morti sono accatastati sulla strada, coperti, nel migliore dei casi, da striminziti lenzuoli, ma vengono anche trasportati a braccia, dai parenti, su carretti trainati da animali. I più fortunati, hanno una bara.

Port-au-Prince è un formicaio di gente che vaga per le strade cercando superstiti, trasportando feriti, oppure sotto shock, assediando i pochi ospedali che danno soccorso e le tendopoli allestite alla meglio da volontari e istituzioni delle Nazioni unite.

«Il problema vero qui è che tutti questi cooperanti e le forze internazionali non hanno un buon coordinamento», sostiene Philippe, cooperante francese aspettando una riunione nel centro logistico delle Nazioni unite allestito all’aeroporto. «La funzione di coordinamento la dovrebbe svolgere la Ocha, l’agenzia Onu che si occupa di gestire tutte le forze sul campo in casi di emergenza umanitaria, ma finora non sembra che siano stati in grado di coordinarsi in modo efficace. Poi le comunicazioni sono precarie. Fino a due giorni fa nemmeno gli integranti della Minustah erano in grado di comunicare adeguatamente tra loro».

Gli aiuti arrivano, ma ancora non si è iniziato a distribuirli sistematicamente alla popolazione.
Di fronte al centro logistico di Medici senza frontiere Belgio, nel «ricco» quartiere di Petionville, si ammassano feriti bisognosi di cure. «Qui ci occupiamo dei casi meno gravi - racconta Nadine, una giovane infermiera haitiana - abbiamo comunque poche risorse e poco posto». E infatti i corpi si ammucchiano negli spazi comuni, uno sull’altro in discesa sulle rampe dei garage, buttati su teloni, cartoni, lenzuoli.

Le ossa vengono aggiustate con steccature di cartone e garza, si fa come si può.

Uno scenario dantesco in cui, col passare dei giorni, la mancanza di cibo, acqua e carburante si fa sempre più drammatica. Le poche pompe di benzina disponibili sono presidiate dai caschi blu nel caos di traffico e gente, per impedire disordini e sommosse.

Nel quartiere di Cité du Soleil, uno dei più poveri della città, si fa la fila per fare rifornimento di acqua da alcuni pozzi. Ma l’acqua non è potabile. È acqua di scolo di una città che non ha un sistema fognario, le cui strade sono una fogna a cielo aperto che si pulisce quando piove, portando tutto a valle.

Cala il buio su Port-au-Prince, la città del buio, dove la corrente - se va bene - c’è per 4 o 6 ore al giorno, in tempi di normalità.

Un predicatore col megafono gira per le strade del centro, seguito da un gruppetto di persone. «La fine del mondo è vicina, preparatevi a ricevere la fine del mondo. Non si sa quando arriverà ma sarà molto presto».
Col buio, l’atmosfera diventa più irreale. Ombre ammucchiate, sdraiate, vaganti. Qualcuno balla, canta e prega davanti a ciò che rimane della sua casa disintegrata, affinché Dio lo aiuti a superare un nuovo giorno all’inferno.

http://www.megachipdue.info/component/content/article/42-in-evidenza/2209-haiti-formicaio-delle-ombre-disperate.html

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