• AgoraVox su Twitter
  • RSS
  • Agoravox Mobile

 Home page > Tribuna Libera > Gli altarini, tra il sacro e il profano

Gli altarini, tra il sacro e il profano


In questa fase in cui va suscitando sensazione e clamore il recente pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo circa la presunta inopportunità della presenza del Crocifisso nei luoghi pubblici, a cominciare dalle aule scolastiche, a me vengono alla mente altre immagini di riti e soprattutto simboli propri del cattolicesimo, che, è bene ricordarlo, fino a qualche decennio addietro, nella nostra istituzionalmente laica nazione, costituiva in pratica l’unico credo religioso e, ancora oggi, continua ad essere professato dalla stragrande maggioranza della popolazione.
 
Mi riferisco agli altarini, vale a dire ai minuscoli altari o edicole o tabernacoli che, in occasione della festività del Corpus Domini e in concomitanza della solenne processione serale con l’Ostia consacrata, erano allestiti in numerosi angoli dell’abitato, all’interno d’ideali chiesette che avevano coperte e lenzuola ricamate per copertura e pareti.
 
Il corteo sostava in ciascuno di detti altarini e il sacerdote vi appoggiava, per un breve momento, l’Ostensorio.
 
Allora, con la frase “scoprire gli altarini” s’intendeva definire l’azione del dischiudere, sollevando i veli, giustappunto i tabernacoli, semplicemente al fine di presentare direttamente ai fedeli le sacre specie.
 
Adesso, nell’ambito dei radicali cambiamenti intervenuti nelle persone, nelle cose e nello stesso complessivo vivere, siffatte pie consuetudini sono divenute rare e labili, mentre, al contrario, in seno alla società, proliferano sempre più le presenze di “altarini” che, racchiudendo contenuti materiali - in genere enormi e vistosi e di natura certamente non di fede o religione - intrisi del classico odore di interessi e di affari, sarebbe il caso di appellare “altaroni” o “altaracci”.
 
In parallelo, il detto “scoprire gli altarini” sta tristemente per “venire a conoscere o far conoscere segreti o sotterfugi”.
 
Purtroppo, ne spuntano ogni giorno e a qualsivoglia latitudine, nelle grandi città, come pure nelle località minori. L’ultimo esempio deflagrante emerso qui a Lecce, fra diversi altri scoperti prima ma tuttora in ebollizione, è costituito dalla brutta faccenda dei palazzacci di Via Brenta, occupati da una serie di uffici giudiziari, intorno alla quale faccenda si paventa che abbiamo volteggiato indebiti giri di denaro e/o arricchimenti dell’ordine di decine di milioni d’euro.
Viene solo da dire: “Che Dio ce la mandi buona!”.

Lasciare un commento

Per commentare registrati al sito in alto a destra di questa pagina

Se non sei registrato puoi farlo qui


Sostieni la Fondazione AgoraVox







Palmares