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Disarmo nucleare? L’esempio di USA e Russia può bloccare il riarmo di altri paesi

Dei molti interventi del Presidente degli Stati Uniti Obama in materia di politica interna e internazionale uno, assai importante, è passato quasi inosservato ai commentatori politici. Il 5 aprile scorso egli pronunciava un discorso di apertura e rilancio sulla revisione della politica americana in materia di armi nucleari. In effetti gli ultimi risultati positivi sulla questione risalgono agli anni a cavallo fra gli ’80 ed i ’90, durante i quali con i trattati INF del 1987 (missili nucleari a raggio intermedio) e START del 1991 (Riduzione della armi strategiche) gli USA e l’URSS/CSI/Russia ridussero, come mai prima di allora, i depositi di armi nucleari. Successivamente il processo ha prima rallentato, per poi arrestarsi, e così il CTBT (Trattato per la messa al bando dei Test nucleari) non è entrato in vigore e mentre gli USA denunciavano unilateralmente il trattato ABM (Controllo dei missili balistici) con la complicità della Russia, facevano fallire i negoziati per la conclusione di un trattato vincolante sulle armi strategiche offensive. Tutto ciò si aggiunge alla constatazione che USA e Russia possiedono ancora, nel loro insieme, un arsenale nucleare più grande del resto del "club" dei paesi in possesso di armi atomiche. Questa posizione ancora largamente dominante indebolisce la pressione esercitabile dalla diplomazia internazionale sia sui Paesi che, già dotati di armi atomiche, continuano il loro sviluppo, sia verso quei Paesi che ritengono indispensabile per la loro sicurezza o per le loro aspirazioni di egemonia regionale, dotarsene.

In questo senso gli sforzi della Corea del Nord, che proprio in questi giorni ha concluso una serie di esperimenti per una nuova tipologia di missili a corto raggio, e dell’Iran, che prosegue con lo sviluppo dei propellenti e delle tecnologie che gli consentiranno di dotarsi di armi nucleari entro i prossimi 5 anni, dicono quanto sia pericoloso l’arresto del percorso di riduzione degli armamenti che era stato imboccato. D’altro canto sarebbe assai difficile chiedere all’Iran il rispetto di un trattato come il CTBT, che peraltro essi non riconoscono, quando questo trattato, a causa dell’inerzia delle grandi potenze, risulta oggi completamente inapplicato. Le ragioni dell’arresto del processo di smantellamento degli arsenali nucleari ha, come sempre, delle ragioni politiche e comprende responsabilità gravi sia degli USA sia della Russia. Infatti l’America prima ha cercato un predominio strategico dello spazio con lo scudo stellare di Reagan, poi riconfermato e finanziato da Bush, e successivamente ha vissuto la caduta del muro di Berlino nell’89 come la fine del modello socialista, segno di una vittoria ideologica e politica che, dimostrando il primato dell’Occidente, permetteva di inaugurare la stagione dell’unilateralismo, metodo creduto in grado di mantenere l’equilibrio internazionale dopo la fine della guerra fredda. Il tramonto della cooperazione internazionale, l’uso della forza come soluzione "legale" dei conflitti, la dottrina della guerra preventiva, la necessità della "superiorità militare americana", hanno dato a questa interpretazione della nuova architettura strategica mondiale la dignità di una posizione politica per la quale molto si impegnarono i falchi neoconservatori della Casa Bianca guidati dalla coppia Bush/Cheney.

Dal canto suo la Russia, più per ragioni politiche interne che per ragioni internazionali, ha utilizzato la carta del nazionalismo per supportare l’oligarchia di Putin e dei suoi dignitari che dovevano da un lato tutelare gli affari dei nuovi capitalisti interni, dall’altro limitare militarmente le spinte secessioniste delle repubbliche ribelli smorzando le critiche di quanti nel Paese disapprovavano i metodi sbrigativi e criminosi utilizzati nei confronti della popolazione civile. Tutto questo si è trasformato in argomento di polemica con gli USA ad uso e consumo della rinata rivalità tra le due superpotenze, portando denaro da investire in campo militare a vantaggio della sempre potente ed influente casta militare.


Questa mancanza d’iniziativa comune per la limitazione degli armamenti nucleari ha danneggiato gravemente la politica internazionale di riduzione degli arsenali atomici dei Paesi già dotati di ordigni nucleari o in grado di dotarsene in breve tempo, dato che sul piano morale ed ideologico riesce difficile capire come chiedere a qualcuno di rispettare regole che vengono sistematicamente disattese. Tale iniziativa, infatti, stenta a decollare proprio nei confronti dell’Iran perché parti della comunità internazionale ritengono gli USA privi della credibilità diplomatica necessaria.

Il risultato di questo ritardo è il rischio che quanto ottenuto a cavallo degli anni ’80 e ’90 sia messo in discussione dalla corsa all’armamento atomico che oggi possono realizzare decine e decine di stati del mondo. L’instabilità politica di alcune regioni, prima fra tutte il Medio Oriente, possono indurre dittatori e politici senza esperienza a credere che l’arma nucleare sia in condizione di risolvere i conflitti regionali. L’effetto domino delle alleanze dei protagonisti della crisi porterebbe in breve tempo il mondo ad un conflitto di dimensioni planetarie con le conseguenze che sono facilmente immaginabili.

La notizia dunque, di un rinnovato impegno delle due superpotenze che di fronte all’insostenibilità di questa situazione hanno deciso di firmare un trattato entro la fine del 2009 per ridurre le armi strategiche, impegnandosi inoltre a rispettare il Trattato di non proliferazione, rende più ottimisti non tanto e non solo perché viene raggiunto un risultato concreto, ma soprattutto perché dimostra che anche in tema di armi nucleari grazie a Obama il dialogo internazionale si è rimesso in moto.

E’ chiaro che non basta. Bisogna comprendere la necessità di smilitarizzare i rapporti internazionali, ridurre i bilanci della difesa, interrompere i finanziamenti di nuovi armamenti, impedire che venga militarizzato lo spazio, solo con questi atti concreti la diplomazia internazionale che conta avrà la credibilità necessaria per chiedere ad un fronte di Paesi sempre più vasto un’azione incisiva e con il necessario potere dissuasivo verso coloro che volessero perseguire una pericolosa politica aggressiva.
 

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