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Dal "One to Many" al "Many to Many": l’informazione tradizionale perde la propria autorità

“Vittoria dell’atomizzazione dell’utenza”, questa breve formula viene utilizzata da Jay Rosen, noto studioso e docente americano presso la New York University, in un articolo pubblicato il 12 gennaio 2009 sul portale “Press think”[1], per commentare le conseguenze avutesi nell’ambito della comunicazione, con il passaggio dal “One to Many” (uno a molti) al “Many to Many” (molti a molti)[2].
 
Il fenomeno, rappresenta un’apertura dell’informazione verso il mondo dell’utente, quindi un passaggio da una condizione autoreferenziale ad una condizione condivisa. Partendo da questa breve definizione, cercherò di analizzare come la comunicazione stia cambiando i propri connotati e con un breve iter esplicativo, cercherò di capire il come, il quando di questo fenomeno e quali sono le sue innumerevoli sfaccettature.
 
Per capire il valore aggiunto conquistato con il “many to many”, bisogna fare un piccolo salto indietro e analizzare: la sfera del consenso all’epoca del “one to many”. A questo proposito, abbiamo un diagramma, citato dallo stesso Jay Rosen in un altro dei suoi scritti, apparso sul portale “Press Think”[3], per esplicitare le dinamiche del consenso precostituito dai media, nell’ambito del One to Many.
 

Il diagramma mostra come la politicizzazione giornalistica possa snaturare l’essenza di una professione. Nello stesso momento, può esserci molto utile a capire come il giornalismo partecipativo e orizzontale possa disinnescare questi meccanismi.
 
Si parla di perdita di terreno della stampa, cerchiamo di capire il perché, partendo dal diagramma di Hallin.
 
Il diagramma è estratto dal libro “The uncensored war” del 1986 di Daniel Hallin; con esso lo studioso vuole rappresentare il giornalismo tradizionale, che decide “cosa è legittimamente dentro e cosa è fuori dal dibattito nazionale”:
 
1) La sfera del legittimo dibattito è il terreno della quotidianità; quella che i giornalisti riconoscono, come reale e normale. Essi ritengono che il proprio lavoro abbia luogo esclusivamente all’interno di questo spazio. Jay Rosen lo ritiene il luogo dove i giornalisti discutono, su ciò che il sistema bipartitico definisce “gli argomenti”. Il meccanismo utilizzato della stampa ufficiale tende ad essere rivolto ad un utente per lo più passivo a cui viene fornita la notizia, l’argomentazione e il credo. Tutto ciò avviene sotto gli occhi degli utenti, tramite armi invisibili che tessono la logica del giornalismo, armi contro cui è impossibile difendersi. La stampa disinnesca il potere reattivo dell’utente e fa di questo il proprio vantaggio, come in una campagna pubblicitaria, evita che gli utenti possano avere il tempo di sviluppare una propria idea, rimanendo così l’unica campana “obiettiva e imparziale”.
 
2) La sfera del consenso è “la maternità e la torta della nonna” della politica, ovvero gli argomenti su cui ognuno si pensa sia d’accordo. Affermazioni così piatte da risultare noiose, vere fino all’ovvietà, o così ampiamente accettate da risultare menzogne universali all’interno di quest’area. Il commento di Hallin in proposito è che “i giornalisti non avvertono l’obbligo di esporre punti di vista divergenti né di rimanere osservatori disinteressati” (e ciò significa che, per chiunque abbia punti di vista che non rientrino nell’aerea del consenso, la stampa risulta selvaggiamente intrisa di pregiudizi). La stampa e gli attori editoriali che ne manovrano la catena di montaggio, prestabiliscono il credo per eccellenza, quello che la gente pensa, il consenso generale, facendo in modo che la maggior parte degli utenti finisca per sentirsi parte del consenso. Un consenso acritico e deciso dal “One to Many”. Una penna che si fa portavoce di una popolazione ignara.
 
3) Nella sfera della devianza rientrano “i punti di vista e gli attori politici rifiutati dai giornalisti e dalla società comune, in quanto inutili da tenere in considerazione”. Come nell’area del consenso, anche qui la parola d’ordine non è neutralità; i giornalisti mantengono l’ordine tenendo fuori la devianza dall’informazione o, in alternativa, bollandola come inaccettabile, radicale o semplicemente impossibile. La stampa “riveste il ruolo di esporre, condannare o escludere dall’agenda pubblica” i punti di vista devianti, afferma Hallin, “tracciando e difendendo i confini di una condotta politica accettabile”. Chiunque abbia punti di vista che rientrano nell’area della devianza, così come viene definita dai giornalisti, avvertirà la stampa come un ostacolo al tentativo di riconoscimento. Non esistono dibattiti o confronti, troppo scomodi da reggere.
 
Tutto ciò sarebbe l’antitesi del fare giornalismo.
 
Complicazioni da tenere a mente: Le tre sfere non sono separate; si generano a vicenda, come il pubblico e il privato. I confini tra le aree sono porosi e instabili. Le cose possono spostarsi da un’area all’altra e ciò non è altro che il cambiamento politico e culturale. Quando avviene il passaggio, questo spesso non è annunciato. Tutto ciò può generare confusione.
 
Vi sono delle differenze all’interno della sfera del legittimo dibattito. I giornalisti si comportano diversamente, se l’argomento è più vicino al buco della ciambella piuttosto che al suo bordo. Più si avvicinano all’indiscusso cuore del consenso, più è plausibile che prospettino un singolo punto di vista, come l’unico punto di vista.
 
Alcune implicazioni del modello Daniel Hallin: il fatto che i giornalisti affermino e difendano la sfera del consenso, consegnino idee e attori alla sfera della devianza e decidano il passaggio da una sfera all’altra, non rientra affatto nella descrizione delle proprie mansioni, né lo si insegna nelle scuole di giornalismo. È una parte intrinseca del loro lavoro, ma non è una parte naturale. Ciò significa che spesso lo svolgono male. Le decisioni che riguardano il “posizionamento delle sfere” possono essere arbitrarie, automatiche, dettate dalla paura o eccessivamente chiuse mentalmente.
 
Secondo quanto leggiamo, i giornalisti confondono il ruolo del riportare una notizia con il ruolo del posizionarla nella società. Per questo motivo si evince il perché, i blog e la Rete siano così importanti nel giornalismo politico. Nell’epoca dei mass media,a quanto pare, la stampa è riuscita con relativa facilità a definire le sfere del legittimo dibattito, poiché le persone che ricevevano le informazioni, erano automaticamente connesse al Grande Media, ma non lo erano tra di loro.
 
Oggi, però, uno dei principali fattori che sta cambiando il nostro mondo è il costo sempre minore per le persone con interessi affini di rintracciarsi a vicenda, condividere informazioni, scambiarsi impressioni e tirarne le somme. L’utente contemporaneo, grazie ad internet, acquista sicurezza, acquista le armi giuste per rivendicare la propria soggettività critica.
 
Il “Peer to Peer”[4] rende all’utente la capacità di trovarsi in una comunità di simili con cui discutere e sagomare il proprio credo.
 
Stabilire che la “sfera del legittimo dibattito”, così come definita dai giornalisti, non corrisponde alla loro definizione è una tra le prime cose che queste persone possono fare. In passato non c’era spazio per questo genere di opinioni, ora, invece, si raccoglie, si solidifica e si esprime on-line. I blogger attingono ad essa per guadagnare consensi e soddisfare una richiesta. Alcuni giornalisti la chiamano la “stanza dell’eco”, per declassarne l’affidabilità come fonte. In verità, ciò che sta realmente accadendo è che l’autorità della stampa nel guadagnare consensi, definire la devianza e stabilire i termini del legittimo dibattito risulta indebolita nel momento in cui le persone possono connettersi orizzontalmente attorno ad una notizia.
 
Fino a poco tempo fa, l’informazione è sempre stata fatta esclusivamente da professionisti o da persone molto motivate da progetti politici e culturali. Questo tipo di informazione, sia professionale che “militante”, ha sempre avuto in proporzioni diverse costi di produzione molto elevati e forme di produzione e gestione della notizia abbastanza complesse.
 
Tutto ciò, per anni ha comportato una concentrazione degli strumenti della stampa nelle “mani di pochi”; ossia coloro che riuscivano e riescono a finanziare la produzione, per via del costo elevato e del complicato utilizzo.
 
Il risultato ottenuto è quello di una stampa appartenente “a pochi”, con un processo unidirezionale di produzione “One To Many”.
 
“One”: colui che decide cosa è giusto o meno far entrare nella sfera dell’opinione pubblica,quindi quali sono i parametri per esporre la realtà e da quale punto di vista filtrarla.
 
“Many”: la massa dei lettori o spettatori, riceventi passivi e spodestati di una coscienza critica, che si riducono a metabolizzare un’informazione, figlia di scelte prese dall’alto, che sottostanno a logiche per gli utenti invisibili e che nella maggior parte dei casi risultano lontane dalla finalità del rendere la verità.
 
Per anni l’informazione dei pochi, sembra aver vacillato come unica ed indiscutibile sovrana della verità, nella solitudine generata dal proprio soliloquio, portatore di interessi ma recriminatore di democrazia e verità. In Paesi come l’Italia e la Francia, democratici “costituzionalmente”, ci si specchiava ogni giorno in una stampa prestabilita, totalitaria e lontana dall’avere una vera presa sulla realtà.
 
Poi arriva la rete...
La rete bussa alla porta con il world wide web (quindi con la nascita dell’ipertesto) nell’anno 1991, ma per l’informazione ritroviamo ancora un percorso “ad una via”, anche per le limitazioni imposte dai linguaggi di pubblicazione.
 
Pian piano arrivano le prime city communities, con le loro piazze virtuali e forum, che introducono il piacere dell’interattività, di poter dire la propria opinione. In questo contesto di semiliberalizzazione, ancora il confine tra chi pubblica i contenuti e chi li utilizza è netto.
 
Poi arrivano i blog e il prodronio del web 2.0
A dieci e più anni dall’irruzione dei blog, nel panorama dell’informazione, sono diversi i cambiamenti che questi hanno portato nel settore del giornalismo. La professione e i professionisti hanno dovuto adattarsi, modificando ruoli e metodi.
 
Dai blog si diffonde il giornalismo partecipativo (citizen journalism), che in America ha
già assunto una veste quasi istituzionale e che introduce in maniera netta il “Many to Many” (molti a molti).
 
"Many": tutti coloro che, nell’individualismo produttivo reso dal web, da testimoni di un evento ne possono diventare reporter.
 
"Many": tutti coloro che collegati alla rete possono usufruire interattivamente di una comunicazione variegata e veloce e nello stesso tempo possono apportare comunicazione.
 
La produzione diviene circolare
Con il giornalismo partecipativo entra in scena il cittadino reporter, che pubblica i propri contenuti e condivide i contenuti altrui.
 
Esplode la multidirezionalità
Ai “pochi”, ecco subentrare una nuova forma di giornalismo, un nuovo codice o meglio un nuovo alfabeto[5], (rifacendomi alle parole di Mezza nell’articolo di Agoravox del 20 gennaio “Com’era verde la mia valle”) che impone comportamenti e grammatiche radicalmente nuove.
 
Innanzitutto, viene modificato l’iter di produzione della notizia; con il web si rompe l’iter unidirezionale di pochi media e ad un’informazione verticale, subentra il concetto di comunità e di condivisione. Mi spiego meglio: l’esplosione del fenomeno dei blog ha dato forza ad una forma individuale di comunicazione. Con il delinearsi della figura del cittadino-reporter abbiamo l’opportunità di realizzare un patto tra i tecnici della comunicazione e i loro utenti, finalizzando l’apertura della forma-giornale a integrazioni con la struttura collettiva dei lettori. Sono oggi subentrate le condizioni, affinché una forma di produzione informativa collettiva, proveniente dal basso, dia voce ad intere comunità.
 
I lettori, grazie alle potenzialità che internet offre, sono diventati redattori e le persone che si definivano “audience” sono oggi diventate produttrici di contenuti ed esperti nel condividere e mettere in discussione le proprie opinioni. La vera rivoluzione del ruolo del cittadino, nella creazione delle notizie, si è avuta con internet, quando il contatto con il pubblico diventa più diretto e più istantaneo. La via dal mittente al ricevente, passa da giorni a secondi, ed è già da qui che cambia il concetto dell’impatto del feedback del pubblico.
 
L’apertura al commento toglie anche questo intermediario “tecnico” fra l’informazione ed il pubblico, offrendo a ogni membro l’accesso diretto ai commenti di altri lettori. Il lettore ha così la possibilità di accedere sia all’informazione originaria della testata, che alle reazioni di altri lettori come lui, ed è qui che si crea ciò che nel mondo dell’Internet è ben noto come “comunità”. Il pubblico, finora non connesso alle opinioni di altri utenti come lui, ora si trova davanti ad una vera e propria comunità di simili.
 
Si aprono discussioni, scambi d’informazione e di pensiero che arricchiscono ulteriormente il contenuto dell’articolo originale. Il feedback spontaneo e diretto, il commento aperto e la creazione della comunità dei lettori, contribuiscono, quindi, ad una trasformazione profonda del ruolo del pubblico, da passivo ad attivo e contribuente; mentre il giornalismo stesso si trasforma da emittente unidirezionale di informazione a forum aperto e condiviso. Non solo, il punto fondamentale di tale rivoluzione, risiede nel fatto che passando da un’informazione “one to many” ad un’informazione “many to many”, qualsiasi cosa è irrimediabilmente oggetto di una riflessione collettiva.
 
Ciò porta alla condivisione, ad una maggiore presa di coscienza sui fatti; che vengono filtrati e ricomposti da angolazioni differenti, rendendo così un’informazione con una maggiore presa sulla realtà.
 
Ciò simboleggia una grande conquista sociale, perché solo con un’informazione democratica, veloce e aperta, un Paese può vantare un’opinione pubblica cosciente, consapevole e attiva nel comprendere le dinamiche del proprio Paese e contribuirne allo sviluppo. Il web offre notizie istantanee, flessibili e direttamente alla portata di un click; usufruibili da tutti in qualsiasi momento.


[1]Audience atomization overcome: why the internet weakens the authority of the press. Jay Rosen 12 gennaio 2009:
[2]One to one; one to many; many to many: sono le 3 possibili relazioni instaurabili tra entità diverse. La prima si riferisce ad una relazione uno a uno tra due individui, una specie di dialogo bidirezionale. La seconda si riferisce ad un dialogo che va da uno (emittente) a molti (ricevente), tipica della comunicazione mainstream unidirezionale. La terza tipologia, invece, si riferisce ad una comunicazione che va da molti (emittente) a molti (ricevente), avutasi grazie ai nuovi media, quindi ispirata ad un modello di comunicazione bidirezionale.
[3]Il diagramma è stato estratto da Jay Rosen, Audience atomization overcome:why the internet weakens the authority of the press, 12 gennaio 2009, inDaniel Hallin, Hillard’s book. The uncensored war:
La traduzione in italiano Perché internet indebolisce l’autorità della stampa? è disponibile nel portale Libertà di stampa diritto all’informazione: http://lsdi.it/2009/01/18/perche-in... (traduzione dell’articolo di Jay Rosen).
[4]Generalmente per peer-to-peer (o p2p), cioè rete paritaria, si intende una rete di computer o qualsiasi rete informatica che non possiede nodi gerarchizzati come client o server fissi (clienti e serventi), ma un numero di “nodi equivalenti” (in inglese peer), che fungono sia da cliente che da servente verso altri nodi della rete. Per una definizione di “comunicazione punto a punto” si veda
[5] Michele Mezza, Com’era verde la mia valle, 20 gennaio 2009:

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