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Crisi e poltica: non retorica ma voglia di nuovo

Mi si accusa di insistere con la retorica anticapitalistica. Come se questo fosse un aspetto secondario della nostra società. come se la proprietà capitalista di tutti i mezzi di informazione fosse un dettaglio, come se l’esproprio dalla politica delle decisioni economiche sia normale, come se i guasti della immigrazione non siano stati provocati da un modello di sviluppo deciso dagli industriali, come se sia giusto che le banche (uno dei poteri forti di proprietà capitalista), responsabili di truffe e raggiri, siano finanziate da soldi pubblici per evitare il giusto fallimento.

Mi rendo conto che oggi in Italia nessuno mette in discussione la dittatura del capitale per l’inesistenza di una sinistra di opposizione e per l’assenza di una visione strategica dell’evoluzione sociale che bolli il capitalismo come regime vecchio, responsabile di guerre colonialiste, di squilibri ambientali, che non ha mai risolto problemi come la fame e la sovrappopolazione, che nell’attuale momento di massima crisi ricorre a soldi pubblici destinati a opere sociali, per iniziare un nuovo ciclo distruttivo.

Quando facciamo finta di indignarci per le migliaia di operai che crepano sul lavoro o si ammalano per condizioni nocive, nessuno sostiene con chiarezza che sono tragedie provocate da chi per avidità e disprezzo per la vita altrui omette di spendere per la sicurezza, e questa è la fondamentale etica degli industriali, proprio quelli che affidano alla mafia i loro rifiuti tossici che uccidono anche altri cittadini, visto che vengono sversati nelle campagne.

Questo orrendo modo di produrre le merci, quasi sempre inutili e non essenziali, prevede altresì la schiavitù del lavoro salariato in cui grande parte della popolazione vive l’incubo degli incidenti, delle malattie, del licenziamento, in una generale precarietà determinata dai mercati globali dove è possibile che il tuo posto di lavoro venga delocalizzato all’estero, o venga cancellato dall’ingresso di altre potenze economiche che producono le stesse merci a costi inferiori, senza che tu conti nulla.

Non porsi il superamento di questo modello sociale, barbaro e distruttivo, classista e fallito, significa non incidere su niente, parlare del nulla, e condannarsi alla subalternità a vita.

E qui non si tratta di contrapporre i vecchi modelli di falso comunismo che hanno sostituito ai padroni capitalisti i funzionari di partito che hanno mantenuto lo stesso modello di schiavitù salariata, trattando se possibile ancora peggio le masse operaie.

Il discorso rivoluzionario, l’unico possibile, che segni l’evoluzione umana e non ci divida nelle categorie di chi comanda e chi obbedisce, è cambiare il modo di produrre, abolendo ogni gigantismo nella produzione, ossia i grandi modi di produrre che generano i monopoli e la globalizzazione, passare ai piccoli modi che sono sempre esistiti: individuale, familiare, in collaborazione cooperativa. Sistemi collaudati che non prevedono padroni, ma che sono in grado di produrre qualsiasi merce che sia essenziale alla nostra vita.

Ma ciò non basterebbe, bisogna collocare questi giusti rapporti di lavoro nella cornice ineludibile della SOSTENIBILITA’, che deve prevedere uno sviluppo in cui ogni nazione raggiunga un equilibrio tra la sua popolazione e le risorse del territorio, e produca in modo diffuso energia rinnovabile e cibi per raggiungere una piena autosufficienza.

Le basi per la pace, la fine della distruzione dell’ambiente, la fine delle emigrazioni, sono questo.

E ora non c’è da prendersi in giro con le teorie e le analisi.

Milioni di schiavi salariati in Italia potrebbero emanciparsi dalla loro schiavitù fondando modernissime “fattorie solari”, ripopolando le campagne, dove possono produrre e vendere energia fotovoltaica, ed integrare con qualche attività agricola, facendo una vita indipendente, sicura, a contatto con la natura, legandosi strettamente al territorio.

Chi produce elettricità dal sole si può scaldare, può cucinare, può illuminare la sua casa e collegare il suo pc, può rinfrescarsi, può alimentare una piccola auto elettrica, e con un po’ di agricoltura artigianale può essere veramente indipendente contando anche su un reddito proporzionale al numero di metri quadrati di pannelli installati.

In Germania già lo fanno e queste attività hanno un impatto zero sull’ambiente.

Proporre ed organizzare questa evoluzione sociale, sarebbe un grande passo in avanti, che ci emancipa tutti dalle inutili parole sulla politica e sull’ambiente, e ci proietta in una dimensione di concretezza e lungimiranza.

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