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Cosa è più costituzionale e cosa lo è meno?

Il Consiglio Superiore della Magistratura ha emesso il suo parere sul cosiddetto “processo breve”, rilevando non tanto un’assoluta incompatibilità con la Carta Costituzionale del disegno di legge n. 1880/S recante Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi, in attuazione dell’art. 111 della Costituzione e dell’art. 6 della “Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, quanto piuttosto la necessità di apportare al testo originario ampi e significativi cambiamenti per eliminarne le discrasie e le ambiguità.
 
In effetti, sull’eccessiva durata dei processi penali le armi del C.S.M. nell’opporsi alla norma appaiono spuntate e questo accade, dispiace dirlo, per qualcosa di non originario del nostro sistema giudiziario, per qualcosa di inserito dall’esterno con la sottoscrizione di un trattato internazionale. Si tratta della “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. Da italiano, il vostro reporter è sinceramente addolorato che questa tutela debba, per così dire, giungerci da fuori. Insomma, se non avessimo aderito a questo trattato redatto dal Consiglio d’Europa, le vere e proprie tutele della dignità della persona in esso riportate, con ogni probabilità non farebbero parte del nostro sistema giudiziario. Credo che di questo ci dovremmo vergognare. Così come dovremmo pretendere un sistema giudiziario che ponesse al centro il cittadino-uomo, e non, come oggi accade, la norma ed i privilegi di chi ha il compito di farla rispettare.
 
Passando, poi, al merito del "processo breve" e del parere su di esso del C.S.M., forse servirebbe maggiore chiarezza fra ciò che è più costituzionale e ciò che lo è meno. Per farlo partiamo da un caso concreto, dalla vicenda del professore Adolfo Parmaliana, suicida dopo essere stato rinviato a giudizio dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, di cui tratta il saggio di Alfio Caruso Io che da morto vi parlo – Passioni, delusioni, suicidio del professore Adolfo Parmaliana (Editore Longanesi, pagine 220, Euro 15,00).
 
Il professore Parmaliana denunciò a lungo le malversazioni e gli abusi commessi nel comune di Vigliatore Terme, avendo come esito non quello di far avviare una azione giudiziaria da parte della competente Procura, bensì quello di far sciogliere l’amministrazione municipale per infiltrazioni mafiose per decreto del Presidente della Repubblica Carlo Azelio Ciampi. Avendo ritenuto di dover esultare per l’iniziativa governativa con un volantino politico, è stato denunziato da una persona che, nel volantino in questione, non era nemmeno citata e, per questo motivo, rinviato a giudizio.
 
Ovviamente nessuno si lamenti che, a giudizio del vostro reporter, questa iniziativa dovrebbe essere attentamente valutata dall’Organo di autodisciplina della Magistratura, ma non è questo che appare importate per valutare la costituzionalità del cosiddetto “processo breve”. E’ importante la constatazione che il caso Parmaliana testimonia come un soggetto ingiustamente accusato si trovi in una situazione accettabile solamente in via eccezionale e per il tempo minimo necessario per consentire l’emissione del giudizio.
 
Dunque, le odierne pretese del C.S.M. che un procedimento penale possa durare indefinitivamente, salvo le norme di prescrizione, purché la sentenza emessa sia pienamente riflettuta, appaiono inaccettabili: lo Stato non può pretendere di far giustizia con comodo ed incurante di quello che succede all’eventuale imputato innocente, persona i cui diritti devono sempre essere rispettati.
 
Occorrerebbe, anzi, istituire un obbligo temporale perentorio per la prima udienza dopo il rinvio a giudizio di non più di trenta giorni ed in questa udienza l’imputato dovrebbe aver facoltà di dichiarare la sua innocenza (o colpevolezza) e di contestare l’operato degli inquirenti. Il tutto all’interno delle tutele del processo di civil law, oralità e pubblicità principalmente. Se questa semplice, elementare ma essenziale norma fosse stata in vigore, con ogni probabilità il professore Parmaliana avrebbe affrontato con decisione questa prima udienza, si sarebbe adeguatamente difeso in essa e sarebbe ancora fra di noi. Per non dire, poi, di Enzo Tortora, cui sarebbe stato risparmiato il martirio, cui fu sottoposto.
 
La domanda per il Consiglio Superiore della Magistratura è proprio questa: quello che è successo al professore Parmaliana, ad Enzo Tortora, e che potrebbe succedere ad ogni cittadino italiano in condizioni di intendere e di volere, è costituzionale? Lo è di più o lo è di meno rispetto alla norma sul “processo breve”? Sarebbe interessante se l’Organismo di autodisciplina della Magistratura completasse di esporre il suo pensiero sull’argomento.

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