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Cina, India, economie globalizzate e nomadismo culturale

“Slow Economy. Rinascere con saggezza” (Mondadori, 2009), è l’ultima pubblicazione del saggista e giornalista cosmopolita Federico Rampini.

Rampini è stato vicedirettore del “Sole-24 Ore” e ha insegnato nelle Università di Berkeley e Shanghai. Attualmente vive a New York e fa il corrispondente per “Repubblica”. Nel 2005 ha vinto il Premio Luigi Barzini per il giornalismo e nel 2006 il Premio Saint Vincent.
 
Nel confronto tra Oriente e Occidente descritto dall’autore, l’Europa e gli Stati Uniti non ne escono molto bene, e l’attuale evoluzione economica sembra collocarsi al limite tra un’economia di sopravvivenza e un modello di benessere più diffuso e sostenibile. Comunque “la Slow Economy non può imporre a tutti la stessa velocità. Deve contemplare ritmi diversi, per aree del mondo che hanno bisogni profondamente diversi” (p. 177). E tutte le nazioni dovrebbero incentivare il nomadismo culturale degli studenti universitari: tutte le popolazioni hanno qualcosa da insegnare.
 
Di certo in America è ritornata la speculazione e l’idiozia dei manager bancari e finanziari: “L’insieme dei titoli derivati – ad alto rischio – detenuti dalle banche americane nel 2009 ha raggiunto 14.600 miliardi di dollari: quasi il triplo rispetto al 2006. Nel casinò della finanza sono ricominciate le puntate spericolate, i giochi d’azzardo. La grande assente è la riforma generale delle regole” (p. 173). E anche la grande distribuzione andrebbe regolamentata: oramai “Le scelte dell’industria manifatturiera – riguardanti la qualità e i metodi di produzione, i salari e le delocalizzazioni – sono dettate imperativamente da quello che impone il distributore”. Il prezzo finale viene imposto alle due estremità: al produttore e al consumatore (p. 13).
 
Inoltre l’attuale crisi non dipende solo dall’azzardo finanziario, ma è anche figlia di una precedente crisi da sovrapproduzione cinese e da aumento del costo delle materie prime che è stata ingigantita dalle speculazioni finanziarie sui titoli futures (che trattano la compravendita virtuale di materie prime). E le speculazioni sul petrolio possono preparare il prossimo shock energetico (dai circa 10 dollari del dicembre 1998 si è giunti ai 147 del luglio 2008 e poi ai 40 di inizio 2009).
 
Per quanto riguarda l’India, mi ha colpito il fenomeno dei giovani indiani a caccia della dote finanziaria delle ragazze, che vengono sposate e abbandonate dopo aver trasferito il denaro in un paradiso fiscale. Interessante anche la debolezza sensuale, sessuale e sentimentale degli agenti segreti indiani che cascano regolarmente nella “Trappola di miele”, di abili agenti cinesi e pakistane.
 
Invece della Cina occorre dire che “è potente non solo a causa della rapida crescita della sua economia dagli anni Ottanta in poi, ma anche perché è emersa come il principale fornitore di risparmio globale” (Harold James, The Creation and Destructuion of Value, 2009). Durante il suo viaggio negli Stati Uniti, davanti a tutto lo staff economico, il viceministro delle finanze Zhu Guangyao si espresse così: “Ci auguriamo che il deficit pubblico americano venga ridotto, anno dopo anno. La responsabilità del mio governo è nei confronti del popolo cinese. È nostro compito tutelare il valore della ricchezza nazionale” (p. 189).
 
Che cosa succederà allora, se le grandi banche americane inizieranno a fallire, facendo sprofondare il valore del dollaro e dei titoli di stato in mano ai cinesi? Sarà la fine della “Repubblica del Consumatore” descritta da Elizabeth Collins? Quanto è attendibile la previsione di una vera ripresa dell’occupazione americana fra non meno di cinque anni?
 
Comunque, come affermato da Rampini, “la classe dirigente cinese ha difetti terribili e colpe imperdonabili… ma da trent’anni ha deciso di “andare a scuola” dai Paesi più avanzati. Studia sistematicamente i modelli stranieri che hanno funzionato meglio per evitarli. Con l’obiettivo di superarli. È un atteggiamento di umiltà e di modestia che troppi americani (ed europei) hanno dimenticato da tempo. L’autoreferenzialità, il provincialismo, ci rendono ciechi di fronte a novità importanti che emergono in luoghi lontani” (p. 11).
 
Il bello della Cina è che nelle Università si stanno formando e addestrando intere generazioni di studenti molto combattivi e preparati. In una loro lettera intestata si può leggere questo slogan: “Migliora te stesso, promuovi la perseveranza, cerca la verità e innova” (Università di Wuhan).
 
Ed è vero, “I cinesi sono abili, ma in testa hanno cosa sola, il denaro” (ragazzo tibetano). Speriamo di non dover scoprire che hanno ancora troppa voglia di allargare i confini del loro Paese e di dominare il mondo. Purtroppo ai governanti dei Paesi troppo belli o forti come l’Italia e la Cina si continuano a perdonare troppe cose. Proprio come alle persone troppo belle o troppo ricche.

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