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Chicchi di buonsenso

 
Non è che, in questo primo scorcio di millennio, da altri «lidi» – vicini o distanti - si vadano proiettando sequenze da Premio Oscar, pur tuttavia una cosa è certa: l’attuale «produzione» nostrana lascia a desiderare o, quantomeno, suscita perplessità e interrogativi.
 
I principali titoli in locandina parlano di scandali gestionali/finanziari di raccapriccianti dimensioni, frequenti scioperi di massa o settoriali e correlati blocchi e occupazioni, con valanghe di disagi per tutti, perenni diatribe fra le varie anime dei raggruppamenti politici, al governo o all’opposizione, in tema di giustizia, economia, welfare, riforme, devoluzione e altro. Di fresca “uscita”, infine, una serie d’affari, diciamo così, di “pelo” (figurarsi che novità), intorno a personaggi pubblici noti e notissimi.
 
Sullo sfondo di siffatta sceneggiatura, i pareri, le voci e le opinioni si succedono e si accavallano, sovente, a guisa d’oracoli rovesciati o stonati.
 
Qualche spigolatura in proposito.

L’Italia è l’unico paese, almeno fra gli stati occidentali, dove tocca convivere con un fenomeno del tutto particolare: l’inflazione ufficiale (determinata dall’ISTAT) ad un certo livello e l’inflazione reale (o come dicono gli esperti, avvertita) di grado ben più elevato, se non multiplo. Come mai?
 
Al riguardo, non si tratta affatto di ripulire o aggiornare il «paniere», di dotarsi di rilevazioni più sofisticate ed efficaci. Al contrario, si ha l’impressione che tale anomala situazione sia, se non proprio voluta, tollerata dal sistema, con l’aggravante che, da parte loro, le Autorità che dovrebbero affrontarla, non dimostrano di intervenire con adeguata incisività e decisione: sotto sotto, la strana coesistenza del doppio «parametro» consente manovre non sempre cristalline ed oneste.
 
Amen! Non è la prima volta che noi italiani ingoiamo e digeriamo vicende misteriose.
 
L’introduzione dell’euro, con la diffusa, maldestra e truffaldina sua equiparazione suggestiva a mille anziché a duemila vecchie lire, reca, secondo taluni, svariate colpe, per altri - invece - vanta dei meriti: è la classica situazione del diavolo e dell’acqua santa.
 
Numerosi leader o esponenti di partito vanno da un po’ di tempo dimostrando di aver memorizzato, a guisa di sacri testi, determinate cifre statistiche e non per perdono occasione per sciorinarle all’opinione pubblica.
 
Fra la popolazione italiana, sostengono, v’è la percentuale X con reddito mensile che non supera i mille/millecinquecento euro e che, di conseguenza, non riesce a sbarcare il lunario.

 
Fermi tutti: si parla di 1000/1500 euro, non di un 1.000.000/1.500.000 delle cessate, care lirette. Chi può stabilire, obiettivamente, che con millecinquecento euro il mese non si arrivi a vivere? E poi,che senso ha declamare, sic et simpliciter, una determinata percentuale, con relativo uniforme stato precario, quando la medesima percentuale si ragguaglia, magari, a situazioni situate agli antipodi l’una dall’altra?
 
Si pensi ad esempio a mille euro mensili per un ragazzo il quale vive in famiglia e, in pratica, non ha spese essenziali a suo carico: è assai azzardato dichiarare che un tale soggetto non sia in grado di sbarcare il lunario, il che, semmai, risulterebbe verosimile per un capo famiglia, unica fonte di reddito per tre/quattro persone.
 
Non sarebbe preferibile astenersi da indicazioni vaghe, dubbie ed equivoche, anziché spargere annunzi che sembrano più che altro da campagna elettorale o da auto promozione?
 
In conclusione, non sempre è «scandaloso» o insufficiente un reddito di mille/millecinquecento euro mensili: v’è caso e caso.
 
Piuttosto, restando sul tema delle disquisizioni sull’argomento, non sarebbe male se i nostri parlamentari e governanti prendessero l’iniziativa di proporsi agli elettori, finalmente, con un esempio edificante: decurtarsi le loro indennità. Anche qualora, tirando le somme, il risultato dovesse rappresentare una goccia d’acqua nell’oceano dei bisogni della nazione, resterebbe pur sempre, una volta tanto, la bella dimostrazione.
 
Fra le materie in discussione o dibattito, la scuola non manca mai. Invero, sul fronte in questione, non sembra intervenire cambiamento, senza che lo si identifichi anche come errore.

Quando poi, alla fine, la scuola vera e che conta non si configura unicamente in quella della Signora Gelmini o, in genere, del Ministro di turno, ma risulta invece costituita anche dalle «materie» che – giorno dopo giorno - si insegnano e si studiano in seno alle famiglie, per le strade, nella vita collettiva, nonché dai voti che rispettivamente si riportano.
 
Come succo del discorso, è assolutamente giusto che tutti, anche le persone meno fortunate, debbano usufruire d’eguali diritti e poter vivere la vita allo stesso modo.
 
Tempo fa, un settimanale riportava il caso di un giovane siciliano portatore di grave handicap, arrivato egualmente - grazie a capacità mentali non comuni e alla forza di volontà - a laurearsi in discipline scientifiche e anche ben inserito nel mondo lavorativo.
La madre del giovane, consapevole del suo importante ruolo verso quel figlio, al punto da porsi come suo vero e proprio angelo custode, al termine dell’intervista precisava di aiutare la sua creatura finanche a soddisfare le esigenze sessuali, a tal fine accompagnandola, tre volte la settimana, al domicilio di prostitute: tariffa, da cinquanta ad ottanta euro per incontro.
 
Soprassedendo alla formulazione di giudizi, anzi con tutto l’umano e naturale rispetto per questo particolare genere di necessità, viene spontaneo di fare qualche calcolo e, ricollegandosi ai livelli di reddito - sufficienti o meno - tratteggiati all’inizio, di limitarsi semplicemente ad osservare come il cuore di una mamma è sempre grande, molto grande.
 
Vignetta da:
nicopillinini.blogspot.com

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