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Calafrica

Se fosse vivo Carlo Magno non avrebbe nemmeno il coraggio di definirli vassalli, valvassori o valvassini.
 
Se fosse vive Romolo, invece, andrebbe in crisi, perchè definirli plebei sarebbe come definirli patrizi.
 
L’unica soluzione, l’unica definizione, che forse potrebbe avvicinarsi è servi della gleba: quei contadini che ai tempi del Medioevo erano obbligati a coltivare il terreno di appartenenza, erano obbligati a delle prestazioni, le corvèes, ed erano obbligati a pagare le decime.

Ma oggi siamo nel 2010, la società si è evoluta, diremmo che si è emancipata, la distinzione è molto più pragmatica: potremmo definirli molto più semplicemente "persone" o "cose".

Questi algerini, camerunensi, nigeriani, magrebini o ghanesi, , pur restando per questioni anatomiche"persone", al momento che si piazzano sotto i nostri occhi per venderci occhiali, per lavarci i vetri o per cercarci lavoro, diventano automaticamente "cose".

Queste ed altre "cose" potreste osservarle, ad esempio, tutte le mattine a Napoli in zona Pianura, poco dopo l’uscita della Tangenziale: c’è una grande Rotonda, verso le 7 di mattina talmente che sono tanti non riuscireste a contarli.
 
Passano dei grandi Camion (con dei grandi italiani, ovvio), che a seconda dell’esigenza della giornata se li caricano come pecore, anzi come bestie (anche se restano sempre "cose", non dimenticatelo), e la formula è sempre la stessa, un pagamento universale con una sola moneta e con una sola lingua: "30 euro e na marenna".

Ristrutturazioni, pavimentazioni, traslochi e chi più ne ha più ne metta: cala il sole, si mettono la marenna (la merenda) nella pancia, e soprattutto i 30 nella tasca. Il giorno dopo, stessa tiritera. E così via.

E non parlatemi di Pianura, di Castelvolturno, o di Rosarno: non lo sapete che gli Africani sono tutti gli stessi? E’ una sola famiglia, e non lo dico nemmeno in senso lato. Si reputano lo stesso albero genealogico. Partono da guerre civili e da carestie per venirsi a rifugiare qui in Europa in case lager, con lo stesso spirito, ma soprattutto con la stessa anima: l’anima nera, di colore nero, ma di un nero disperazione.

Cosa succede poi, quando succede quello che sta succedendo in questi giorni: succede che si rompono alcune sinergie, si spezzano alcuni equilibri tra i servi della gleba ed il terreno di appartenza. C’è sempre qualcuno che sposta l’ago della bilancia, o qualcuno che chiede o qualcuno che sfrutta troppo, sia la loro coscienza che le loro braccia.

E succedono mazzate, feriti, gambizzazioni. I neri d’Africa non hanno sindacalisti, non ne hanno bisogno: i loro muscoli, la loro onestà, la loro forza di volontà è la loro unica difesa, e scioperare è il loro unico tavolo di concertazione.

Ora se volessi strumentalizzare e seguire l’eco delle settimane passate, potrei affermare che esistono dei mandanti morali agli atti violenti conseguiti alle manifestazioni di Rosarno, e potrei tranquillamente dire che si tratta della Lega Nord. Ma non lo farò e per un motivo molto semplice: la parola "tolleranza", in questo contesto, è davvero fuori luogo.

Non esiste oggi la troppa o la poca tolleranza , perchè non è più il caso nè di tollerare, nè di contestare, nè di condannare questi immigrati: sono persone che vengono da lontano, in cerca di niente (dire niente è eccessivo ma almeno è qualcosa), e sono diventate una sola cosa con il nostro humus sociale, lo ripeto, ce ne accorgiamo che esistono dal momento in cui si parano davanti ai nostri occhi.

Sono e diventano una sola parola con il posto che li accoglie, ma che finge di vederli, e quella parola è simile al titolo del post.

E poi parlare di "tolleranza" in terra di ’ndrangheta non è ipocrita, è proprio paradossale: smettete di urlare troppo questa brutta parola in questi giorni, non sia mai e si sveglia qualche Boss.

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