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Business climatico: la Terra è meno gaia e l’umanità è più affamata

La Terra è un sistema vivente composto da parti fisiche, chimiche, biologiche e umane che si auto-regola. Naturalmente il pianeta riceve influenze esterne dal sole, dalla luna, dai meteoriti.

Molte interazioni e retroazioni sono complesse e variano nel tempo e nello spazio su scale diverse. Purtroppo in questi ultimi anni “siamo aumentati numericamente al punto tale che la nostra presenza sta visibilmente debilitando il pianeta, come se fosse una malattia. E, proprio come accade con le malattie umane, si sono solo quattro esiti possibili: distruzione degli organismi patogeni invasori; infezione cronica; distruzione dell’ospite o simbiosi, vale a dire relazione permanente di mutuo beneficio tra ospite e invasore” (James Lovelock).

L’originale studioso James Lovelock, è l’ideatore dell’ipotesi Gaia (nome suggerito dall’amico scrittore e premio Nobel William Golding), cioè del concetto della Terra intesa come un sistema vivente attivo e auto-regolativo. Lovelock ha pubblicato nel 2006 “La rivolta di Gaia” (Rizzoli), un libro che sa andare controcorrente, esponendo diverse tesi originali sui rapporti uomo-pianeta. Una di queste tesi afferma che riducendo lo smog, che filtra i raggi solari, si rischia di far riscaldare ulteriormente l’atmosfera terrestre. Anche lo studioso italiano Franco Prodi ritiene che il clima sia un fenomeno complesso molto difficile da comprendere e che quindi non si possono semplificare le cose parlando solo di anidride carbonica. Ad esempio il metano di derivazione zootecnica ha una grande influenza: è 23 volte più nocivo dell’anidride carbonica. L’ossido di azoto è 296 volte più nocivo. Ed è inutile risparmiare sulle lampadine e poi continuare a spostare merci da un continente all’altro senza nessun criterio. Inoltre la produzione di agro-carburanti sta alterando gli equilibri ecologici regionali e presto peggiorerà anche quelli sociali aumentando i prezzi delle derrate alimentari in modo sconsiderato (Luca Colombo e Antonio Onorati, Diritti al cibo! Agricoltura sapiens e governance alimentare, www.jacabook.it, 2009).

Comunque proviamo a ragionare sull’equilibrio ambientale attraverso la definizione espressa da Gilbert Glaser, dell’International Council of Science: “Lo sviluppo sostenibile è un bersaglio mobile. Rappresenta lo sforzo continuo di equilibrare e integrare i tre pilastri del benessere sociale, della prosperità economica e della protezione ambientale a beneficio della generazione presente e di quelle future”. I processi di equilibrio della Biosfera, possono essere molteplici, ma uno dei più interessanti è il seguente: “il dimetil solfuro (Dms) emesso dalle alghe dell’oceano è in relazione con la formazione delle nubi e quindi con il clima” (1986).

Purtroppo “ci si dimentica facilmente che, poiché noi uomini siamo molto numerosi, qualsiasi azione da noi compiuta – dalle pratiche agricole alla costruzione di edifici – è di grave danno per la vita selvatica e per Gaia” (2006, p. 128). Perciò fra qualche anno potremmo ritrovarci nelle stesse condizioni di Napoleone a Mosca: ci ritroveremo con troppe bocche da sfamare e risorse che diminuiscono di giorno in giorno, mentre aspettiamo di prendere una decisione. È quindi giunto il tempo di pianificare una ritirata sostenibile e di successo (Lovelock, p. 206). Ma il vero problema psicologico è che quando scegliamo un compagno di vita, una casa o facciamo una scelta ideologica, “una volta presa la decisione si fa di necessità virtù, e si tende a vedere le altre opzioni scartate come piene di svantaggi”. La dissonanza cognitiva è riassunta dalla frase: “Ora non state a confondermi con i fatti. La mia decisione è presa” (p. 176).

In realtà la conoscenza che abbiamo sulla Terra e l’universo è molto approssimativa: come affermato dal fisico quantistico Richard Feynman, “chiunque pensi di capire, probabilmente non sta capendo nulla”. "Però si dà troppo spesso per scontato che i vasti cambiamenti apportanti sulla superficie della terraferma dalle pratiche agricole e di silvicoltura abbiano un’influenza scarsa o addirittura nulla sulla sensibilità e la capacità di recupero del pianeta” (Lovelock, p. 89). Maggiori investimenti in ricerca “agroecosistemica” sono così indispensabili, sia a livello universitario, sia a livello dell’esplorazione e della valorizzazione dei saperi delle popolazioni locali di tutto il pianeta.

Invece Piers Corbyn, uno studioso del Weatheraction, una società che si occupa di previsioni meteo a lungo termine, afferma che l'impatto solare di particelle rilasciate dal sole è molto più consistente di quanto sia attualmente accettato e sono quasi interamente responsabili di quanto accade alle temperature globali. Per il meteorologo Corbyn, il cambiamento climatico è “un'arma di tassazione di massa, tutti i partiti politici desiderano utilizzare il cambiamento climatico come una scusa per aumentare le tasse. E inoltre è una tattica per le potenze occidentali per controllare l'offerta mondiale di energia” (www.weatheraction.com). C’è poi da sottolineare l’interesse dalla lobby del nucleare che trae vantaggio dalla gazzarra sull’effetto serra per promuovere se stessa.

Anche se la Terra ha conosciuto molte grandi estinzioni di massa, “ora è iniziata la sesta estinzione, ed è dovuta all’attività umana” (E. O. Wilson, La creazione, 2008). Alcune stime parlano dell’estinzione di un quarto di tutte le specie di piante e animali entro il 2050, grazie al semplice fattore della sovrappopolazione umana che è arrivata ad appropriarsi di oltre il 40 per cento dell’energia fotosintetica del sole attraverso l’agricoltura. Senza poi calcolare tutta quella riflessa e improduttiva che si disperde nelle città. Comunque le altre cause della perdita della biodiversità, messe in ordine decrescente, sono le seguenti: la perdita di habitat a causa delle coltivazioni, delle costruzioni, degli incendi, degli scavi, ecc. (è la causa più importante); le specie aliene e cioè le specie di altri continenti che vengono diffuse dall’attività umana; l’inquinamento chimico e organico; lo sfruttamento eccessivo dovuto alla caccia, alla pesca e alla raccolta" (Wilson, 2008). Non dimentichiamoci poi delle invasioni degli animali di allevamento che possono diffondere malattie e che con la loro ridotta variabilità genetica metterebbero a rischio la sopravvivenza dell’uomo in caso di pandemie animali in grado di ridurre drasticamente la disponibilità di cibo.

A sua volta il giornalista francese Hervé Kemft ha sottolineato l’importanza di far capire agli ecologisti la centralità della questione sociale e dei rapporti di forza tra le classi sociali e viceversa di far comprendere ai politici e ai cittadini l’importanza dell’emergenza ecologica che naturalmente determina anche l’applicazione della giustizia sociale nei diversi paesi del mondo (Perché i mega-ricchi stanno distruggendo il pianeta, www.garzantilibri.it, 2008). La riduzione delle fonti di acqua potabile (di superficie e di profondità) e il progressivo depauperamento delle risorse energetiche saranno le due problematiche fondamentali da affrontare per poter mantenere le condizioni della pace mondiale.

Ma alle caste economiche, finanziarie, politiche e mediatiche non interessa nulla del futuro delle varie popolazioni umane. Il loro interesse è centrato sulla lotta per l’egemonia contro la democrazia e le libertà pubbliche: “di fronte alle turbolenze che nascono dalla crisi ecologica e dalla crisi sociale mondiale, e al fine di preservare i propri privilegi, l’oligarchia sceglie di indebolire lo spirito e le forme della democrazia, ovvero la libera discussione delle scelte che riguardano la collettività, il rispetto della legge e dei suoi rappresentanti, la protezione delle libertà individuali di fronte agli interessi di altri gruppi costituiti” (Kemft, p. 100).

Quindi è giunto il momento di “prendere delle misure che l’interesse individuale non s’impone spontaneamente, e che difficilmente possono costituire l’oggetto di una decisione nel processo democratico”: bisogna ridurre i consumi materiali e accettare l’automoderazione dell’umanità nell’interesse di tutte le generazioni future (Hans Jonas, Il principio di responsabilità, 1993). Come disse S. Agostino, se non c’è giustizia i regni sono solo degli estesi brigantaggi. “D’altra parte, le élite manageriali sono incolte. Provviste di una formazione di tipo economico o politico, o laureate in ingegneria, sono spesso ignoranti in fatto di scienza e quasi sempre sprovviste della minima nozione di ecologia. La reazione abituale di un individuo a cui manca la conoscenza di un problema e di sottovalutare o di disprezzare le questioni sollevate da una cultura a lui estranea, per privilegiare le questioni in cui è più competente. Le élite agiscono allo stesso modo. Ed ecco spiegata la sottovalutazione del problema ecologico da parte loro” (Kemft, p. 40). "Quasi tutti si dimenticano che circa il 20 per cento dell’emissione di gas all’origine dell’effetto serra è dovuto alla deforestazione" (p. 33).

Anche la keniota Wangari Maathai, premio Nobel per la Pace nel 2004, ha descritto la progressiva distruzione dell’ambiente nel continente africano nella sua autobiografia “Solo il vento mi piegherà” (2007). La sua soluzione è stata quella di creare una sua “istituzione”: il Green Belt Movement. Questa associazione si occupa di promuovere lo sviluppo e i diritti umani, piantando alberi e idee. E questa donna è riuscita ad ottenere grandi cambiamenti con azioni molto semplici come il favorire l’accesso all’acqua e all’istruzione, e attraverso la tutela dei poveri, delle donne e dei bambini. Per le sue attività filantropiche Wangari Maathai ha ricevuto molti altri riconoscimenti, tra cui spicca anche “il Nobel alternativo”: The Right Livelihood Award. Anche Mikhail Gorbaciov ha fondato un’associazione ambientalista, la Green Cross International, che ha anche una sede in Italia. E, tanto che ci sono vi segnalo altre due importanti associazioni internazionali: l’Human Rights Watch e l’United Nations Environment Programme.

Nel 1800 eravamo circa 1 miliardo e ora siamo quasi 7 miliardi. Perché quasi nessuno si rende conto che per consumare meno bisogna essere di meno e che per avere meno poveri occorre che i poveri facciano meno figli? Sempre più spesso i poveri continuano a fare troppi figli anche se non possono mantenerli dignitosamente. Purtroppo sono i capi delle diverse religioni monoteiste i maggiori responsabili di questo andazzo: avere un bambino in meno per loro significa solamente avere un credente di meno, anche se poi morirà per la fame, le malattie o la guerra.

Infine, dato che l’Africa è stata la culla dell’umanità, mi sembra giusto concludere con due proverbi africani: il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa, il secondo momento migliore è adesso; per educare un bambino occorre un intero villaggio.

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