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"Ancora una volta soffro per il Torino". Intervista a Gianpaolo Ormezzano

Il suo ultimo libro, “Coppi & Bartali (San Paolo Edizioni)” parla delle due figure che nello sport hanno simboleggiato meglio il nostro Paese nel dopoguerra. Oggi chi può essere il simbolo dello sport italiano contemporaneo?


Sicuramente una donna, A piacere fra Idem, Pellegrini, Vezzali. Conosco la Idem e personalmente non ho dubbi: però è di nascita tedesca.


Lei ha spesso riflettuto sul linguaggio giornalistico e “da bar sport” usato per parlare di sport e di calcio in particolare. Che tipo di linguaggio usiamo oggi?

Lo stesso che usiamo per scrivere di tutto il resto: parole troppo libere, frasi spesso criptiche, poca competenza, tanta sentenza, molto interesse, niente amore.

Le tv analizzano lo sport fin nei minimi dettagli. Cosa serve per farsi leggere scrivendo di sport?

Non lo so. Certo che è dura. Se si è Hemingway, va bene anche la cronaca stretta, perché è speciale. Ma il fatto è che ormai nessuno riesce a farsi leggere: d’altronde bastano i titoli, al massimo i sommari. Esistono giornalisti sportivi italiani dei quali si possa indovinare il nome leggendo le prime righe di un suo articolo? Io dico Gianni Mura, Emanuela Audisio e mi fermo lì.

Che fase del rapporto “amoroso” sta passando in questo momento con la sua squadra?

 
La solita fase tremenda, dolente, da tifosi del Toro. Situazione comunque che auguro a tutti perché è molto più produttiva dell’imbecillità di sentirsi qualcuno perché la tua squadra è forte e ricca, anzi è ricca e forte.

I club italiani raccattano un po’ di giovani in giro per il mondo e vecchi giocatori ormai bolliti. È l’inizio della fine o possiamo ripartire dai calciatori italiani?

Dobbiamo ripartire dai calciatori italiani. Ma chi comincia? Francamente, vedo solo un calcio che si avvita sempre più sui suoi difetti, tanto sa di essere immortale, oltre che sapere di possedere la forza di sapersi immorale.

Se il 12 luglio 2010 (magari… vorrebbe dire altra finale mondiale) Marcello Lippi lascia la panchina della Nazionale, chi sarà per lei il nuovo Commissario tecnico?


Non me ne frega niente, anche perché non sono un esperto. E me ne vanto.

Un salto nel futuro. Come immagina il calcio tra 40 anni?

Come oggi, però “migliorato” nell’essere sempre più immorale e intoccabile.

Cosa pensa di questo ciclismo in-credibile?

Che ha il doping perché ha l’antidoping. Gli sport che non hanno il doping sono quelli che non hanno un vero antidoping. Come il calcio. Fra poco il ciclismo sarà l’unica disciplina pulita in mezzo allo sterco del resto dello sport, tutto ipocrita (possibile eccezione l’atletica leggera, che sta facendo un antidoping quasi serio). Fra pochissimo il doping del sangue e quello degli ormoni saranno ridicolizzati dal doping delle cellule staminali, da quello dei trapianti e da quello della genetica. Il doping di oggi apparirà come una cosina gentile, quasi innocua.

Tra instant book, storie leggendarie piene di retorica e libri di grande valore letterario, cosa pensa della letteratura sportiva italiana?

È migliorata in quantità, sta migliorando in qualità. Considerando che noi italiani non abbiamo vera coscienza sportiva, è già miracolosa.

Lei è una delle migliori penne del nostro giornalismo. Quali sono stati suoi riferimenti giornalistici e letterari?

Le migliori penne sono, dicono, le Mont Blanc. Io sono soltanto uno che ama lo sport, gli è riconoscente di tante cose e conosce la lingua italiana per dire di ciò in maniera comprensibile. Ho letto e leggo tantissimo, giornali e libri. Ma non sono assolutamente uno scrittore vero. Sono uno che scrive.

Tre nomi: il miglior calciatore, il miglior ciclista e il migliore atleta a 360° di sempre?

Per l’Italia è troppo facile: Valentino Mazzola, Fausto Coppi e Livio Berruti. Nel mondo non saprei, magari ci sono favolosi campioni di cricket.

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