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Abruzzo: le criticità che uccidono una parte del Paese

Otto mesi. Circa. Il tempo trascorso da una scossa di terremoto di magnitudo 6.3 ed da una tragedia umana che ha toccato e tocca la nazione e non solo. Pochi secondi quelli della scossa omicida. Otto mesi per parlare di ricostruzione e ritorno ad una vita degna di essere chiamata tale. Decine di migliaia le persone che hanno trovato ricovero nelle tendopoli e nelle strutture alberghiere. Migliaia le imprese chiuse a causa dell’opera distruttrice del sisma. Migliaia i disoccupati da terremoto. Molti ricevono un sussidio statale: ma non è un ritorno alla dignità. Anzi. Ed ancora: inchieste di cui non si sa più nulla. Morti senza l’onore di un colpevole. Vite spezzate dagli abusi edilizi.
 
Ad oggi, su circa 60.000 sfollati, poco più di 5.000 sono stati trasferiti nei nuovi alloggi. Secondo la Protezione Civile per bocca di Bertolaso, questa cifra dovrebbe salire a circa 17.000 entro gennaio. Dove sono gli altri? Disseminati fra seconde case, alberghi ed alloggi presi in uso dal governo per fronteggiare l’emergenza abitativa. Ancora: alcune centinaia sono rimasti nelle tendopoli. Il motivo? Non abbandonare il proprio territorio. Tenere un occhio a controllare gli accadimenti. Non disperdersi come molecole impazzite sballottando di qua e di là a rischio di perdere per sempre le proprie radici. Chi rimane in tendopoli sta pagando un prezzo altissimo. Le difficoltà sono enormi ora. Ed alcuni hanno scritto una lettera al Presidente Napolitano sia per chiedere che si affrettino i tempi della ricostruzione sia per denunciare abusi e pressioni per far sì che chi è rimasto in tenda receda da questa decisione. Sembra infatti che si minacci in continuazione di togliere l’energia elettrica o i servizi essenziali, compresi i pasti.
 
Questo lo scenario attuale di un sisma che ha mietuto troppe vittime, che ha spaccato l’opinione pubblica internazionale, che ha visto colpevoli non condannati, che piange i propri figli mentre chi è rimasto, non comprende più la linea di divisione fra la propria condizione umana attuale ed un “prima” che forse tutti stanno dimenticando.
 
E se dagli Stati Uniti arrivano plausi al governo per la velocità con cui si sta agendo in questa situazione altamente critica, i protagonisti di questa vicenda chiedono di poter essere ascoltati, per raccontare la loro verità. Quella dei giorni, delle notti, della psiche, dei ricordi, delle attese.
 
Una grossa fetta di una Regione ricca e produttiva, messa in ginocchio per infrastrutture cui nessuno a suo tempo ha avuto voglia di volgere una reale attenzione, se non quella del solito ritorno economico. Le vite umane valgono sempre meno al mercato dei disonesti.
 
Ed è bene anche riflettere su un punto: in Abruzzo la parola ricostruzione sta cedendo ampiamente il passo alla costruzione. Non si sta lavorando infatti alla messa in sicurezza delle strutture offese, bensì alla creazione di nuove isole urbane che uccidono il paesaggio ed ancor più – in qualche modo – i nuovi ospiti. Cosa sarà di città come L’Aquila, una volta compiuta la migrazione di tutti gli sfollati nei nuovi alloggi, non è dato sapere.
 
Un altro punto che nessuno chiarisce: al di là del decreto n° 39 creato ad hoc per la ricostruzione abruzzese, ricco di punti anomali come quei cinque miliardi e passa da destinare ma spalmati in “appena” 23 anni, e le nuove lotterie ad estrazione istantanea da cui trarre somme da utilizzare per la realizzazione della rinascita abruzzese, ad otto mesi dalla tragedia ancora nessuno – tranne i dati trasmessi dalla Protezione Civile attraverso il sito della stessa – ha mai dichiarato alla nazione quali siano i dati relativi alle donazioni di cittadini, organizzazioni, imprese, artisti e banche. Se si pensa che, ad esempio, in una sola giornata di Telethon le cifre raggiungono somme davvero considerevoli, provate a pensare quali possano essere le somme tratte dalla generosità nazionale ed internazionale. Ebbene: cosa si aspetta ancora a palesare queste cifre? E come verranno utilizzate?
 
Il sisma abruzzese, oltre a scarnificare un tessuto tramato fra l’abuso edilizio e la scarsa volontà di non tradire un popolo, sta oscurando, col fumo intenso ed appiccicoso del compromesso e della mediazione della realtà, una parte di energia vitale della nazione.
 
E’ come se una cancrena avesse attaccato una parte del nostro corpo. Mangiandola, cellula dopo cellula. E questo corpo, ancora una volta, è un Paese avvezzo da un lato a subire, dall’altro a sfruttare. Nessuna mediazione. Per questa volta.
 

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