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Messico: “Non ci abitueremo alla violenza”

Dal Chiapas il discorso della madre di Nadia rivolto al governo messicano, agli investigatori e alla società. Tante le perplessità e le domande circa la morte della figlia, di Rubén Espinosa e di altre tre donne a Città del Messico.

di Lucia Cupertino

Grande l’ondata di solidarietà per sollecitare che si portino a compimento accuratamente le indagini attorno al pluriomicidio di Rubén Espinosa, Nadia Dominique Pérez e altre tre donne, ennesimo di una scia sempre più lunga di assassinii a giornalisti e attivisti in Messico. Migliaia di manifestanti sono giunti a bussare alla porta del governatore di Veracruz, Javier Duarte, personalità verso la cui amministrazione Rubén e Nadia avevano ipotizzato possibili implicazione in caso di azioni di rappresaglia e violenza nei loro confronti. Per questo si erano trasferiti a Città del Messico.

“Sei stato tu” gridano gli striscioni. Tra i manifestanti non solo giovani studenti, amici delle vittime e attivisti ma anche accademici dell’ Universidad Veracruzana in cui Nadia aveva studiato. Sono concentrati al civico 302 della strada 24 Febbraio, colonia (zona) 2 di Aprile, Xalapa. Hanno collocato una corona di fiori in memoria delle vittime sulla parte posteriore e principale della residenza ufficiale del governatore Duarte e con tanti striscioni inneggiano alla giustizia.

La pressione internazionale, invece, giunge anche dall’Italia. 132 personalità del mondo intellettuale italiano e internazionale hanno redatto l’appello #MexicoNosUrge, affermando che non è più possibile rimanere in silenzio di fronte a fatti eclatanti e violenti come quelli occorsi dieci giorni fa.

Tra i firmatari: Dario Fo (premio Nobel), Erri De Luca (scrittore), Roberto Saviano (scrittore), Wu Ming (collettivo scrittori), Aldo Nove (scrittore) e Fabrizio Lorusso (giornalista in Messico). “Chiediamo che il Parlamento Europeo esprima la sua preoccupazione rispetto alla grave crisi dei diritti umani che vive il Messico, in particolare per le costanti aggressioni ai giornalisti e difensori dei diritti umani. – si legge nell’appello aperto alle sottoscrizioni dei cittadini – Chiediamo all’Italia e all’Unione Europea che si sospendano tutte le relazioni (politiche e commerciali) con il Messico fino a quando non si farà luce sui gravi casi di omicidio, violenza e sparizione forzata di persone. I paesi dell’Unione Europea devono applicare l’embargo agli investimenti in Messico e chiudere le loro Ambasciate, così come si è fatto nel caso di altri paesi che non osservano l’obbligo del rispetto dei diritti umani e del diritto alla vita dei propri cittadini”. Il fondamento dell’accordo di libero commercio tra Messico e Paesi dell’Unione Europea, rammentano inoltre, dovrebbe basarsi sul rispetto dei principi democratici e dei diritti umani fondamentali, così come enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e, al venire a mancare tali condizioni basilari, l’Italia e l’intera Europa si rendono complici dei fatti che stanno accadendo in Messico.

Rapide le evoluzioni nelle ultime ore, anche troppo. Il direttore del Governo capitolino, Miguel Ángel Mancera ha inviato personale del Procura Generale di Giustizia del Distretto Federale (PGJDF) nello Stato di Veracruz per raccogliere le dichiarazioni di Duarte. Come testimone. Duarte si è più volte lavato le mani circa le accuse a lui rivolte e in questi giorni ha rimandato perentoriamente la gestione del caso al solo Distrito Federal (DF, ovverosia Città del Messico) e questa continua ad essere la sua linea, anche dopo aver rilasciato la sua testimonianza.

Article 19, organo che ha evidenziato le storture del caso fin dal primo momento e che si occupa dei diritti dei giornalisti nei luoghi in cui la professione più implica forti rischi, è stato parte coadiuvante del questionario sottoposto a Duarte. Tuttavia dal twitter del presidente di Article 19 per il Messico e America Centrale, Darío Ramírez Salazar, apprendiamo che: “Durante il procedimento giuridico in Veracruz nessuno del personale di Article 19 – Messico è stato presente. Questo per chiarire quanto detto nel comunicato della Procura Generale di Giustizia del Distretto Federale” in cui invece si sostiene che Darío Ramírez Salazar in persona ha presieduto la lettura delle domande del questionario.

Attraverso PlumasLibres sappiamo che Peña e Salas, gli avvocati della famiglia di Nadia, affermano che “le misure intraprese fino ad ora sono state più mediatiche che volte a scoprire la verità”. Dicono che bisogna seguire chiaramente la pista del movente politico e lamentano che non siano stati citati a giudizio i due segretari della Sicurezza Pubblica, Sergio López Esquer e l’attuale, Arturo Bermúdez Zurita, a partire dalle denunce di Rubén e Nadia.

Daniela Pastrana, direttrice della Red de Periodistas de a Pie ricorda che agenti della polizia avevano fermato Rubén il 14 settembre 2013 nel corso di uno sgombero a Xalapa per eliminare ogni sua evidenza fotografica e che anche Nadia, in una intervista, aveva denunciato gli attacchi della polizia ad una manifestazione pacifica a Xalapa.“Bisognerebbe capire se l’amministrazione di Veracruz teneva un registro fotografico dei giornalisti, come indicano varie testimonianze”, conclude Daniela Pastrana.

Intanto l’orrore non ha tregua. Si è diffusa la notizia della scomparsa da domenica di due accademici dell’Universidad Veracruzana di cui non è stata ancora resa nota ufficialmente l’identità. PlumasLibres sostiene che uno dei due sia René Hernández Luis, 28 anni, membro di organizzazioni per la difesa dei fiumi e dei diritti indigeni nel Sud del Paese e con base nel municipio di Mecayapan.

Resta centrale quanto affermato nel discorso del 10 agosto di Mirtha Luz Pérez Robledo, poetessa e madre di Nadia. Denso di interrogativi, precisazioni sui fatti, perplessità ma anche forte determinazione, tenacia. A fronte di una battaglia a scacchi guidata dal clamore politico e mediatico, il richiamo è alla verità, alla fine delle violenze e all’unione della società.

La nostra Nadia, “in difesa della memoria”

Mirtha Luz Pérez Robledo

DICHIARAZIONE PUBBLICA

AL GOVERNO FEDERALE
AL GOVERNO DEL DF
AL GOVERNO DELLO STATO DI VERACRUZ
ALLE ISTITUZIONI INCARICATE DELLA PROTEZIONE DEI DIRITTI UMANI
ALLA SOCIETÀ MESSICANA
ALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

Cosa si può dire quando ti hanno rapito il cuore? Le parole si rompono, si disperdono. Non sai se ciò che è successo corrisponda davvero a ciò che senti. Va via la parola amore. Va via la parola generosità. Vanno via le parole con cui abitualmente parli, operi, ti comporti, ti costruisci. Vanno via le parole che ti abitano e smetti di abitare le parole. Allora rimani muta, pietrificata, immobile, annullata, umiliata, si cancella il tuo orizzonte, ti cancelli, poco a poco cominci a cancellare te stesso.

1. La tragedia

Il pomeriggio del giorno sabato primo agosto, attraverso i mezzi di comunicazione, e non delle autorità, abbiamo saputo dei tragici fatti in cui ha perso la vita la nostra cara Nadia insieme ad altre 4 persone. Nadia Dominique Vera Pérez viveva dal febbraio del 2015 nell’appartamento 401 dell’edificio ubicato nella strada Luz Saviñon 1909, della colonia (zona) Navarte in cui avvennero gli incresciosi fatti. Nadia era arrivata a Città del Messico dopo aver vissuto 12 anni nella città di Xalapa, perché “non si sentiva più sicura”.

Lei, stava per andarsene alla Città di Cuernavaca per un’offerta di lavoro. Se ne sarebbe andata il giorno domenica 2 agosto e infatti lo avevo detto ai suoi amici e familiari il mercoledì 29 luglio. Anche le ragazze che vivevano lì stavano per lasciare l’appartamento.

2. Chi era Nadia Dominique Vera Pérez?

Nadia è nata a Comitán, Chiapas, l’8 febbraio 1983. Nel 2001 iniziò a studiare nella Facoltà di Scienze sociali della UNACH della città di San Cristóbal de las Casas, che abbandonò per continuare gli studi a Xalapa nella Facoltà di Antropologia dell’Universidad Veracruzana.

Nadia era direttrice, produttrice e promotrice culturale in Messico, specialmente nel campo delle arti sceniche. La sua attività culturale fu sempre legata alla difesa dei diritti umani, della libertà di espressione e dei diritti degli animali. Appoggiò anche il movimento #YoSoy132, il magistero, nella difesa contro le aggressioni a giornalisti, il Comitato Universitario di Lotta dell’Universidad Veracruzana, quello in difesa per il petrolio, quello dei 43 normalisti scomparsi ad Ayotzinapa.

Nadia praticava un’attività politica molto energica a favore dei diritti umani a partire dalla cultura e l’arte. Queste due attività furono fondamentali per lei e le unì in ogni passo della sua vita. Svolse l’attività di produttrice generale e direttrice di diversi festival, attività nazionali e internazionali. Credeva fermamente nel potenziale delle arti per la trasformazione sociale del Messico e agiva di conseguenza. Nadia era anche, è, nostra figlia, nostra sorella, zia, cugina; un pezzo del nostro cuore.

3. Il proseguimento delle indagini

Al dolore per la perdita di Nadia, la violenza che dovette subire, si somma la violenza istituzionale quando constatiamo che manca limpidezza nella gestione del caso da parte del Procura Generale della Giustizia del Distretto Federale:
Fin dall’inizio l’informazione si è diffusa in modo extraufficiale, frammentata e contraddittoria attraverso i mezzi di comunicazione e il Procura non si è esposto per pronunciarsi su questo punto.

Si dice…

Che Nadia era fidanzata del reporter Rubén Espinosa, cosa falsa in quanto Nadia e Rubén erano amici e si conobbero quando entrambi vivevano a Xalapa, Veracruz, e collaborarono nel Festival 4X4.

Che avevano assassinato il reporter Rubén Espinosa e 4 donne, senza darci l’informazione completa di chi erano le vittime, nonostante fossero state trovate nel luogo in cui vivevano.

Che un testimone dichiarò che le vittime avevano consumato una festa con i loro carnefici. Quasi subito questa informazione è stata smentita e si è passati a informare che i fatti accaddero tra le 14 e 15, enfatizzando che Nadia e Rubén erano stati in un bar all’alba.

Che le altre vittime erano Yesenia Quiroz, truccatrice, Olivia Alejandra Negrete Avilés, collaboratrice domestica e, poi, una cittadina colombiana della quale si confusero nome e foto fintanto che, solo qualche giorno dopo, si conobbe la sua identità, si trattava di Mile Virgina Martin. Cioè, si enfatizzarono occupazione, nazionalità, sesso e abitudini delle vittime, contribuendo a stigmatizzarle.

Che le telecamere dell’edificio non funzionavano ma che ci si affidava a telecamere vicine. Tuttavia, in seguito è stato reso noto un video che mostrava l’uscita dei presunti assassini dall’appartamento, ma non il loro arrivo.

Che gli assassini fuggirono in un’auto modello Mustang rossa che fu abbandonata a Coyoacán, con varie contraddizioni sulla proprietà del suddetto veicolo e la probabile connessione con attività illecite in anni precedenti.

Che tutte le vittime furono assassinate da un proiettile di arma da fuoco e che si utilizzò un cuscino per silenziare il rumore.

Che filtrarono, attraverso i mezzi di comunicazione, fotografie sullo stato in cui versavano le vittime, ferendo ancora di più la loro memoria e quella delle famiglie.
Per quanto precedentemente detto, e alla luce del nostro diritto alla verità e giustizia in quanto parenti di Nadia, abbiamo molte domande per il Procura della Giustizia del DF, istituzione dalla quale aspettiamo ancora risposte:

Perché si afferma che i fatti avvennero ad un’ora (3 del pomeriggio) e nella parte forense si afferma che il decesso avvenne alle 21?

Quali dichiarazioni rilevanti hanno fatto i testimoni chiave sul caso?

Perché l’attività di Nadia come attivista non è contemplata come un fatto che la collocava in situazione di vulnerabilità?

Perché non si è preso in considerazione il contesto di violenza e insicurezza, oltre che l’aggressione diretta da parte dello Stato di Veracruz a gruppi studenteschi e attivisti a cui Nadia apparteneva?

Qual è la spiegazione di tanto accanimento contro le vittime?

Cosa implica il fatto che l’arma utilizzata nel crimine sia stata usata per la prima volta e sia un’arma con silenziatore?

Perché si fanno filtrare informazioni confidenziali ai mezzi di comunicazione se con ciò si mettono in pericolo i familiari delle vittime?

Perché ad amici e parenti delle vittime non è stato permesso fare dichiarazioni che possano apportare maggiori informazioni?

Perché si è data priorità al movente del furto e si sono minimizzate altre piste investigative?

Perché ai testimoni chiave è stato permesso raccogliere i loro beni, alterando così la scena del crimine?

Perché nessuna autorità si è messa in comunicazione con noi per darci informazioni e sostegno?

Nulla ci restituirà la nostra Nadia. Alle altre famiglie nessuno restituirà i loro cari, ma crediamo che conoscere la verità possa restituirci un poco di fiducia nelle istituzioni; diversamente si creerà un clima di scetticismo più forte e, ancora più grave, un’impunità galoppante che lascia la società indifesa.

Per quanto detto finora, ci affidiamo alla Legge Generale delle Vittime, specialmente per ciò che concerne la verità di quanto accaduto nei fatti in cui furono violati i diritti umani di Nadia e delle altre dirette vittime, come quelli dei parenti in qualità di vittime indirette, motivi per cui le autorità dovranno informare dei risultati delle indagini.

Chiediamo:

Che nelle indagini circa i fatti che porta avanti il Procura ci si attenga agli standard più alti in quanto a rispetto dei diritti umani, garantendo la sicurezza dei parenti delle vittime, così come degli attivisti e difensori dei diritti umani e gruppi studenteschi.

Che si permetta ai rappresentanti legali delle famiglie l’accesso all’informazione circa gli sviluppi e del caso e non ci sia fuga di notizie che provocano danni ancora più grandi alle vittime e ai suoi familiari.

Che le indagini sui fatti si compiano in modo esaustivo, senza tralasciare nessuna pista investigativa, senza scartare quella delle minacce denunciate da Rubén e Nadia.

Che si seguano i protocolli investigativi, evitando di mettere in rischio la sicurezza delle vittime indirette, così come dei testimoni del caso.

Che si permetta raccogliere gli effetti personali delle vittime, seguendo i protocolli di sicurezza, così come il Procura l’ha già permesso a persone che sono testimoni chiave.

Questi fatti ci distruggono come famiglia e distruggono le famiglie delle vittime e, in un contesto in cui violenza e impunità sono state una costante, distruggono anche tutta la società messicana.

Infine, vogliamo mostrarci solidali con le famiglie di Olivia Alejandra, Yesenia Quiroz, Mile Virginia e Rubén Espinosa, lo stesso dolore ci unisce; inoltre ringraziamo di cuore la solidarietà degli amici che da varie parti del Paese e del Mondo ci abbracciano; le persone che fanno parte di organizzazioni civili e coloro i quali ci hanno manifestato sostegno.

La loro solidarietà è ciò che ci mantiene in piedi di fronte a tanto dolore. Abbiamo bisogno di restare uniti per esigere un’accurata ricerca investigativa sui fatti, motivo per cui esortiamo a restare attenti e vigilare sul corso di tali indagini. Non ci abitueremo alla violenza.

FAMIGLIA DI NADIA VERA PÉREZ
SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS
10 Agosto 2015

(Da Chiapas Denuncia, traduzione di Lucia Cupertino)

Questo articolo è stato pubblicato qui

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