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Medicina narrativa: che differenza c’è con lo storytelling?

Ne parliamo con Cristina Cenci, ideatrice di Digital Narrative Medicine, una nuova piattaforma digitale pensata per migliorare la cura raccontandosi.

da Cristina Da Rold

 

SALUTE – C’è una grande confusione quando si parla di medicina narrativa. La parola “narrativa” copre un’ampia gamma di pratiche, che spesso hanno in comune il solo fatto di essere centrate su storie di malattia, e implicano ben poca medicina. Premi letterari, indagini narrative sui bisogni e i vissuti dei pazienti, analisi delle conversazioni online, pratica clinica, blog terapia: tutto viene chiamato medicina narrativa. Per cominciare a fare chiarezza, possiamo ripartire dalla definizione di medicina narrativa fornita dalle Linee di indirizzo del 2015 dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS).

“Con il termine di Medicina Narrativa (mutuato dall’inglese Narrative Medicine) si intende una metodologia d’intervento clinico-assistenziale basata su una specifica competenza comunicativa. La narrazione è lo strumento fondamentale per acquisire, comprendere e integrare i diversi punti di vista di quanti intervengono nella malattia e nel processo di cura. Il fine è la costruzione condivisa di un percorso di cura personalizzato (storia di cura). [..] La Medicina Narrativa (NBM) si integra con l’Evidence-Based Medicine (EBM) e, tenendo conto della pluralità delle prospettive, rende le decisioni clinico-assistenziali più complete, personalizzate, efficaci e appropriate”. (ISS, 2015)

La definizione dell’ISS colloca la medicina narrativa nel contesto del percorso di cura e delle decisioni clinico-assistenziali. Altri tre elementi chiave caratterizzano la medicina narrativa secondo l’ISS: la co-costruzione, la personalizzazione, l’integrazione con l’evidence-based medicine, cioè la medicina basata sull’evidenza scientifica. “Le altre pratiche narrative possono essere molto utili a creare consapevolezza sulle patologie, a formare i medici all’ascolto, a favorire il supporto tra pari, ma forse è meglio chiamarle storytelling, per non confonderle con la medicina narrativa, intesa come intervento clinico-assistenziale che non consiste in una generica relazione di racconto e ascolto, ma ha una finalità diagnostico-terapeutica specifica” spiega Cristina Cenci, antropologa e ideatrice di DNM – Digital Narrative Medicine, la prima piattaforma digitale per l’applicazione della medicina narrativa nella pratica clinica, presentata a MEDIT, la fiera dedicata all’innovazione in sanità che si è tenuta a Vicenza il 26 e il 27 ottobre 2016

Nonostante non manchi la teoria, il risultato è che la medicina narrativa non è ancora diventata comune prassi clinica. “La nostra idea è che uno strumento digitale possa facilitare questo processo di integrazione, affiancando i medici, offrendo loro uno spazio virtuale protetto, che non consuma tempo di visita, e delle griglie narrative da proporre ai pazienti per incoraggiarli a raccontarsi, con un obiettivo specifico, così come ha obiettivi specifici un’ecografia” prosegue la Cenci. Il rapporto medico-paziente è determinante per la riuscita di una cura. La stessa parola prescrizione, che si usa da sempre per identificare il rapporto unidirezionale fra medico e malato, dove il primo dà e il secondo riceve passivamente, funziona sempre meno. “Non basta che il medico raccomandi un farmaco, una terapia, affinché il paziente ne colga il valore per la sua salute: serve una storia di cura condivisa”.

La piattaforma permette ai medici di creare un profilo personale tramite il quale invitare i propri pazienti a raccontarsi scrivendo o allegando video e messaggi sonori, in un contesto privato e che garantisce la privacy sotto ogni aspetto. Una volta accettata l’iscrizione, il paziente si troverà davanti una griglia di stimoli che lo guidano nella narrazione, per facilitare l’emergere degli aspetti ritenuti più rilevanti per la finalità del progetto di medicina narrativa, che può essere diagnostico, associato al miglioramento dell’aderenza terapeutica o alla mitigazione dell’impatto della malattia sulla vita quotidiana. La storia può essere condivisa in tempo reale con altri curanti, rendendo forse meno utopica la continuità di relazione ospedale-territorio. DNM non è un sito e non è un social network, è una web app, utilizzabile anche su smartphone e tablet che offre una serie di strumenti al curante per costruire la relazione narrativa con il paziente. Può essere utilizzata sia da singoli curanti sia da centri ospedalieri e studi medici. È possibile acquistare l’utilizzo semestrale o annuale del servizio, che include anche l’assistenza tecnica e un’attività di counselling per l’interpretazione delle storie.

“In questa fase di rodaggio, la startup è aperta inoltre all’utilizzo in comodato d’uso gratuito, perché vorremmo testarla in molte aree terapeutiche diverse, in modo da raccogliere dati, osservazioni e suggerimenti per valutarne l’efficacia e migliorarla” spiega Cenci. “Abbiamo appreso per esempio che questo approccio non funziona bene per le situazioni di emergenza, mentre è efficace nei casi di cronicità, dove il problema del rapporto medico-paziente nell’aderenza alle cure è cruciale”. Al momento sono diverse le realtà in Italia che stanno sperimentando la piattaforma: nell’epilessia, nella fertilità, nella riabilitazione, nel diabete, nell’obesità, in oncologia.

“Un’ultima potenzialità di questa piattaforma è la possibilità di fare medicina narrativa di gruppo, di passare dal modello uno-a-uno o uno-a-molti a un modello di relazione molti-a-molti” racconta Cenci. “È molto importante integrare diversi punti di vista su esperienze simili di malattia. L’idea è poi quella di andare oltre il rapporto fra pazienti, ma coinvolgere nel dialogo anche le numerose altre figure che ruotano intorno al malato: l’operatore socio-sanitario, l’infermiere, gli aiuti domestici, ma soprattutto la famiglia del paziente. La gestione della malattia è qualcosa che investe un gruppo, non solo il singolo.”

@CristinaDaRold

Questo articolo è stato pubblicato qui

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