Una società di ricerche svizzera, Covalence, pubblica periodicamente una classifica che elenca in base a diversi parametri l’etica delle grandi imprese multinazionali. Agli ultimi posti di questa classifica si trovano quindi le peggiori aziende del mondo, quelle che hanno un grave impatto negativo sulla vita delle persone per le condizioni di lavoro o i danni che provocano. Non è proprio un catalogo esaustivo dei mali del mondo, ma è una buona approssimazione.

Nella classifica ci sono
581 grandi compagnie dei più diversi settori economici: negli ultimi 20 posti troviamo compagnie minerarie come la
Newmont,
più volte accusata di aver inquinato e
distrutto l’ambiente naturale e i territori abitati da popolazioni indigene in Ghana, Indonesia, Perù e nelle terre indiane degli Stati Uniti. O la
Harmony Gold mining, accusata di simili abusi e recentemente finita sui media per la
morte di 60 minatori in Sud Africa. La
Grupo Mexico, per i numerosi incidenti mortali e le pessime condizioni di lavoro dei suoi minatori, e la
Freeport-McMoran, che con
l’aiuto del governo indonesiano ha
depredato per anni le terre indigene dell’isola di Papua ed è stata spesso accusata di abusi e
omicidi.
Oltre alle compagnie minerarie, tra le imprese "cattive" nella classifica di Covalence ci sono diverse compagnie petrolifere, che devastano l’ambiente e i territori incontaminati del nostro pianeta proprio come le compagnie minerarie, e spesso provocando danni anche molto più gravi.
Tra le peggiori troviamo la
Shell, con una lista di
crimini ambientali praticamente senza fine e il sostegno a dittature sanguinarie come quella che decise
la morte del poeta Ken Saro-Wiwa in Nigeria. Poi la
Chevron, che è stata accusata di inquinamento e sistematiche
violazioni dei diritti umani sia in Nigeria che in
Ecuador. O
la Total, recentemente accusata di utilizzare
schiavi per la costruzione di un oleodotto
in Birmania in complicità con il regime locale. E ancora la
Occidental Petroleum, accusata di aver provocato enormi danni ambientali in diversi
territori indigeni in Peru,
Ecuador e
Colombia. Come dimenticare poi la
Halliburton, già datrice di lavoro dell’ex vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney e
coinvolta in prima linea nella gestione delle risorse petrolifere irachene dopo la guerra in Iraq.
Le compagnie petrolifere e minerarie infatti sono molto spesso responsabili della
distruzione degli habitat naturali dei popoli indigeni:
come fa notare l’associazione
Survival International,
la storia di Avatar non è affatto fantasia, ma realtà, proprio in questo momento, in molti luoghi del nostro pianeta. E non finisce quasi mai con la vittoria dei buoni.
Ma la peggiore in assoluto in questa classifica è la
Monsanto, leader mondiale nella produzione di
pesticidi e coltivazioni geneticamente modificate, accusata di una
quantità di abusi senza fine mirati al controllo dell’agricoltura mondiale con effetti
devastanti sull’ambiente e sulla
vita dei coltivatori nei Paesi poveri. Nello stesso settore c’è la svizzera
Syngenta,
multata alle Hawaii per inquinamento da pesticidi.
E poi, al
571° posto su 581 tra le multinazionali del mondo, in fondo alla scala dell’etica, c’è l’italiana
Mediaset. Il motivo è piuttosto ovvio: appartiene a un uomo che è anche il Presidente del Consiglio del suo Paese, e utilizza il suo
potere politico per favorire la sua azienda, nonché per danneggiare la concorrenza. Inoltre è
plurindagato per corruzione e falso in bilancio, e fa di tutto per
intimidire e limitare la libertà d’informazione. Infatti, nella classifica,
Mediaset è considerata la peggiore al mondo nel settore dei media. L’Italia di Berlusconi, bisogna dirlo, non fa che collezionare primati. Negativi.