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La Cassazione conferma: Dell’Utri condannato a 7 anni per mafia in via definitiva

Perché Dell'Utri è stato condannato in via definitiva per concorso esterno in Cosa Nostra, ma era già stato assolto per le accuse sulla politica. Chi sono i giudici che hanno emesso il verdetto. La requisitoria del pg. Il rischio di fuga. Le reazioni degli avvocati. Tutto quello che c'è da sapere sulla condanna definitiva all'ideatore di Forza Italia.



Marcello Dell'Utri è stato un alleato di Cosa Nostra. La prima sezione penale della Corte di Cassazione ha confermato in via definitiva la condanna a sette anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa al fondatore ed ex senatore di Forza Italia.


LA DIFESA - «Siamo molto insoddisfatti dell'esito dell'udienza. Stiamo considerando di fare ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo», ha annunciato ad AgoraVox l'avvocato Giuseppe Di Peri, storico difensore di Dell'Utri.

Durante l'udienza, la difesa dell'ex senatore - rappresentata dagli avvocati Giuseppe Di Peri e Massimo Krogh - non ha cercato di sostenere la completa innocenza di Dell'Utri. Anzi, ha accettato i profili di colpevolezza già rilevati dalla precedente sentenza della Cassazione: «Che sia avvenuto l'incontro del 1974 (con Stefano Bontate e altri mafiosi, ndr) non lo mettiamo in discussione», ha detto in aula uno dei difensori.

La strategia degli avvocati è stata quella di insistere nel retrodatare la data della prescrizione e di dimostrare l'illogicità delle motivazioni della sentenza di appello e la scorrettezza di diverse decisioni dei giudici, in modo da ottenere un secondo rinvio e quindi, in ogni caso, la prescrizione (che sarebbe scattata a luglio).


BEIURT, POTREBBE SCAPPARE - La Corte non ha accolto nessuno degli argomenti della difesa, ma il rischio è che la condanna potrebbe essere inutile. Akram Azoury, l'avvocato libanese di Dell'Utri, si sta battendo con ogni strumento per evitare che il senatore possa essere rimpatriato da Beirut, dove è stato arrestato latitante il 12 aprile scorso al termine di una fuga pianificata con i personaggi più controversi dell'estrema destra romana, per scontare la pena.

Akram Azoury, oltre ad essere l'avvocato del deposto leader libanese Ben Ali, in passato ha difeso anche l’ex capo della sicurezza nazionale Jamil Sayyed dall’accusa di aver partecipato all'omicidio dell’ex primo ministro Rafiq Hariri. Il cui secondo figlio, Saad Hariri, dovrebbe essere amico di Dell'Utri, almeno stando a quanto disse suo fratello Alberto al telefono («Marcello a fine ottobre aveva pranzato con un politico importante del Libano che è stato presidente e che adesso si candida alle prossime elezioni»).

Secondo Azoury, il trattato di cooperazione internazionale tra Italia e Libano del 1975 prevede che «l’estradizione non può essere concessa per reati prescritti in uno dei due Stati», e poiché in Libano il tempo massimo prima che scatti la prescrizione è di dieci anni, la richiesta del Governo italiano sforerebbe questo limite di ben 12 anni.

Tuttavia, anche se le argomentazioni dell'avvocato Azoury non riuscissero a convincere i giudici libanesi, le autorità italiane rischiare lo stesso di vedere scappare Dell'Utri una volta per tutte. Infatti, se la richiesta dell'Italia non verrà rinnovata in seguito alla condanna, sono rimasti solo due giorni per portare a termine la pratica diplomatica per l'estradizione.
 

IL PROCESSO - È la seconda volta che la Cassazione si esprime sul processo per mafia dell'ex senatore. Due anni fa aveva rinviato a un secondo giudizio di appello la sentenza che condannava Dell'Utri a sette anni, ma aveva confermato in via definitiva l'assoluzione per le accuse che interessavano Dell'Utri nel periodo successivo al 1992, cioè nella stagione politica in cui fondò Forza Italia, escludendo una volta per tutte ogni possibile ipotesi criminale sulla discesa in campo di Berlusconi.

LEGGI: Rinvio della condanna e assoluzione. Ecco perché la Cassazione ha assolto Dell'Utri

Una formulazione, quella della colpevolezza a metà, figlia di un forte scontro nel collegio della prima corte di appello che giudicò Dell'Utri, in cui, mentre due giudici su tre volevano confermare una condanna completa a nove anni nei suoi confronti, il terzo voleva assolverlo da tutte le accuse. Dopo una settimana di rovente camera di consiglio, l'uncio compromesso possibile fu condannare Dell'Utri, ma allontanare ogni sospetto dal Berlusconi politico, lasciando che il Berlusconi imprenditore facesse, in quella sentenza, la parte della vittima delle estorsioni e delle imposizioni di Dell'Utri e dei suoi amici mafiosi.


Le motivazioni di quella sentenza - che per chiunque l'abbia letta venne scritta apposta per farsi annullare - obbligarono la Cassazione a rinviare il processo a un secondo giudizio di appello per confermare le accuse che coinvolgono Dell'Utri tra il 1978 e il 1982, negli anni in cui si allontanò da Berlusconi per mettersi in affari con Filippo Alberto Rapisarda, un imprenditore con soci mafiosi.



Oggi la Cassazione ha confermato: fino al 1992 (compreso) Dell'Utri è colpevole di essere stato un complice esterno di Cosa Nostra.


LA REQUISITORIA - «Per diciotto anni, dal 1974 al 1992, Marcello Dell'Utri è stato garante dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra», ha detto il procuratore generale Aurelio Galasso, che in aula ha chiesto la conferma della condanna per Dell'Utri che secondo il rappresentante dell'accusa avrebbe «mantenuto sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento».

«Il dato che conta è che Dell'Utri andò in banca e si presentò con Ciancimino», ha detto Galasso riferendosi alla testimonianza di un ex manager del Banco Popolare di Palermo che ha raccontato di un incontro del 1986 in cui don Vito Ciancimino e Dell'Utri chiesero insieme un prestito di venti miliardi di lire per le aziende di Berlusconi. «Questo per dire che aveva contatti con esponenti mafiosi».


I GIUDICI - Iscritto e attivista di vecchia data di Magistratura Democratica, Aurelio Galasso è il pg della Cassazione che meno di due anni fa ha ordinato il trasferimento a Milano dell'indagine per estorsione aggravata ai danni di Berlusconi che avrebbe pagato Dell'Utri per il suo silenzio (ancora pendente) da Palermo a Milano (con il fascicolo che, per la gioia di Berlusconi, è passato dalle mani di Ingroia a quelle della Boccassini).

Galasso è anche il magistrato che si batté affinché il processo ai funzionari dei servizi segreti italiani Niccolò Pollari e Roberto Mancini per il sequestro di Abu Omar si celebrasse di nuovo sulla base degli atti non secretati, anziché estinguersi “per l'esistenza del segreto di Stato”.

A dargli torto, quella volta, fu lo stesso collegio di giudici e lo stesso presidente di sezione che oggi ha giudicato Dell'Utri. Maria Cristina Siotto, oltre a presiedere il collegio a maggioranza femminile che ha condannato l'ex senatore, è stata protagonista - insieme ai colleghi della stessa sezione - di alcune importanti sentenze del nostro paese, come quella che ha stabilito - facendo giurisprudenza - che un immigrato irregolare omosessuale non può essere espulso e rimpatriato se nel suo paese d'origine esistono leggi anti-gay.

Sono anche gli stessi giudici che l'anno scorso hanno impedito a Emilio Riva di riaprire l'Ilva dopo che il gip di Taranto l'aveva sequestrata per disastro ambientale.

Della Corte che ha giudicato Marcello Dell'Utri parte anche Margherita Cassano, che in qualità di relatrice ha riassunto la storia del processo all'inizio dell'udienza, importante membro di Magistratura Indipendente (la corrente "moderata" delle toghe) che nel suo curriculum vanta una lunghissima carriera da pm antimafia. Ed è autrice di un libro, apprezzato da diversi suoi colleghi, sui limiti e i controlli a cui dovrebbe essere sottoposto il potere giudiziario e sul suo ruolo nell'interpretazione delle leggi.

L'unico tra i giudici dell'ex sentaore ad essere stato protagonista di un impegno diretto in politica, però, è Aldo Cavallo, che nel lontano 1992, quando era giudice del Tribunale di Roma, fu candidato dalla lista "Sì Referendum" (che si batteva per l'approvazione dei referendum abrogativi tra cui quello contro il finanziamento pubblico ai partiti) per cui fece attivamente campagna elettorale esprimendosi contro la classe politica coinvolta nelle indagini di Mani Pulite e in chiave anti-leghista.

 

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