Il Kazakistan tappa la bocca agli attivisti e ai media indipendenti
Tre minuti. Tanto è durato, il 19 novembre, il processo d’appello che ha confermato la condanna a sette anni e mezzo di carcere per Vladimir Kozlov, leader di “Alga”, uno dei partiti di opposizione del Kazakistan, non riconosciuto dalle autorità. Kozlov è stato nuovamente giudicato colpevole di incitamento alla violenza. Negli ultimi giorni, sarebbe stato trasferito nella remota colonia penale di Aktobe.
Due giorni dopo, il 21 novembre, l’Ufficio del procuratore generale di Almaty, la capitale kazaka, ha aperto un’indagine su oltre 30 mezzi d’informazione indipendenti accusati di “estremismo”, incitamento al disordine sociale e minaccia alla sicurezza nazionale, ordinando contestualmente la loro chiusura. Il comunicato della procura, per chi legge il cirillico, è qui. Il provvedimento riguarda anche “Alga” e il movimento Khalyk Maydany.
L’indagine concerne otto quotidiani e 23 siti internet appartenenti a un editore, due internet tv, un altro quotidiano e la sua versione online.
Per collegare i vari elementi di questa nuova fase della repressione occorre tornare a Zhanaozen, agli scontri del 16 dicembre 2011 tra gli operai degli impianti petroliferi e le forze di sicurezza, al culmine di una stagione di scioperi: 15 manifestanti furono uccisi e oltre 100 rimasero feriti in modo grave (nella foto uno sciopero dell’ottobre del 2011).
Gli sviluppi giudiziari del massacro di Zhanaozen hanno visto da un lato cinque alti funzionari delle forze di sicurezza condannati a cinque anni per abuso d’ufficio, avendo autorizzato o usato la forza letale per disperdere i dimostranti. Dall’altro, sette attivisti del sindacato sono stati condannati a sette anni di carcere per aver organizzato e guidato le proteste. I sette continuano a dichiararsi innocenti e denunciano di aver confessato sotto tortura.
Torniamo al processo Kozlov. Nel corso della lettura del verdetto di primo grado, l’8 ottobre, il giudice aveva accusato di “estremismo politico” e di “incitamento all’odio” una serie di organi d’informazione che si erano occupati dei fatti di Zhanaozen, tra cui il quotidiano Golos Respubliki.
Difficile immaginare sia una mera coincidenza il fatto che, il 31 ottobre, Askar Moldashev, fratello di Daniyar, direttore e proprietario di Golos Respubliki (già nel mirino delle autorità l’anno scorso, scomparso per qualche giorno e poi riapparso all’estero), è stato arrestato per un’accusa fabbricata ad arte di possesso di droga. Lo hanno picchiato così duramente da renderne necessario il ricovero in ospedale. Il tribunale distrettuale di Bostandyk ha ordinato due mesi di carcere preventivo, disponendo nel frattempo un’inchiesta su quanto accaduto durante l’arresto.
Zhanaozen, dunque, resta il nervo scoperto del governo kazako. Il 6 gennaio di quest’anno, è entrata in vigore una nuova legge che introduce il reato di “danno all’immagine all’estero del Kazakistan”: pare fatta apposta per colpire gli attivisti che informano governi, organismi internazionali e organizzazioni non governative su cosa accade nel paese. Il codice penale già contiene norme che puniscono chi “influenza le coscienze dei singoli e dell’opinione pubblica” attraverso la distribuzione di informazioni “distorte” e “infondate” che vanno a “detrimento della sicurezza nazionale”.
Espressioni che ricordano il codice penale e la repressione politica dei tempi dell’Unione sovietica.
Su questo e altro, il 22 novembre il Parlamento europeo ha discusso e approvato una preoccupata risoluzione.
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