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Eurobond, la proposta Prodi-Quadrio Curzio

Sul Sole di oggi la proposta dell’ex premier e dell’economista docente della Cattolica su una struttura emittente gli eurobond, e sul sistema di garanzie ad essi sottostante. C’è molto Meccano (e molto Lego), una omissione capitale (nel senso di fondamentale) ed un assai scarso realismo. Vediamo perché.

Tralasciando l’excursus storico sugli ipotetici precursori degli eurobond, la proposta Prodi-Quadrio Curzio (d’ora in avanti PQC) prevede la creazione di un ente emittente, il Fondo finanziario europeo (Ffe), con capitale sottoscritto in proporzione delle quote dei singoli paesi al capitale della Bce. Il capitale del Ffe dovrebbe essere rappresentato dalle riserve auree del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC). E già qui sorgono problemi, perché servirebbero enormi modifiche ai trattati europei, che tuttavia serviranno comunque, se e quando si deciderà di creare una unione politico-fiscale e non solo monetaria.

Ma c’è dell’altro: per rafforzare la base di garanzia del Ffe, PQC propongono di aggiungere all’oro anche

«obbligazioni e azioni stimate a valori reali e non a prezzi di mercato sviliti»

Premesso che è perlomeno bizzarro mettere titoli di debito a garanzia di altro debito, teniamo per buono il conferimento di azioni. Nel caso italiano, secondo i proponenti, occorrerebbe conferire anche azioni di società controllate dal Tesoro (Enel, Eni, Finmeccanica). E qui sorge un altro problema.

In primo luogo, non è per nulla chiaro che significa “a valori reali e non a prezzi di mercato sviliti”. I prezzi di mercato rappresentano il valore attuale dei flussi di reddito futuri attesi, scontati ad un tasso che tiene conto della rischiosità del business. E’ ovvio che, in condizioni di mercato turbolente, i prezzi tendono ad andare inovershooting, allontanandosi da un dato valore di “equilibrio”, che peraltro non è determinabile se non ex-post. Ma è singolare questa asimmetria di giudizio: quando siamo in bolla ed i prezzi salgono in modo forsennato, va tutto bene. Quando i mercati scendono, si tratta di uno “svilimento” del “valore intrinseco” delle società. A parte ciò, voi ce la vedete, la Francia (o qualsiasi altro stato nazionale) conferire ad un fondo sovranazionale i pacchetti di controllo di propri “campioni nazionali”, oppure il simbolo dello stato-nazione per antonomasia, l’oro? E’ più facile che ghiacci l’inferno.

Il fondo così finanziato, garantito e sovracollateralizzato, potrebbe quindi emettere obbligazioni decennali “al tasso del 3 per cento” (e chi lo ha detto, è una valutazione nasometrica di PQC?), e quindi ridurre enormemente il costo del debito comunitario ed il rischio di rollover, con un rapporto di leva pari a 3, e riacquistare parte dei debiti sovrani nazionali, oltre a finanziare grandi progetti infrastrutturali. E queste sono applicazioni di scuola, nulla da commentare.

L’omissione capitale, nel piano PQC, è che in esso nessun accenno viene fatto ai meccanismi operativi per gestire i bilanci nazionali, ed evitare sfondamenti ai tetti di deficit. Chi deve scrivere le leggi finanziarie nazionali? Chi deve sanzionare? Che ruolo dare ai parlamenti nazionali e (soprattutto) al parlamento europeo, ad evitare che il processo di bilancio pubblico venga gestito da una tecnocrazia remota? E ancora: come si promuove la crescita, a livello comunitario? Perché non basta inventarsi un eurobond ed una architettura finanziaria ingegnosa (non più di tanto, in realtà, ma sorvoliamo) per creare una struttura stabile. Niente crescita vuol dire più deficit e più debito. E che accadrebbe, poi? Qualche fondo sovrano mediorientale finirebbe con l’escutere la garanzia sottostante agli EuroUnion Bond? Siamo seri, signori.

Ciò non significa che gli eurobond non siano la strada da perseguire, sia chiaro. Significa solo che si tratta di una strada dove non sono né saranno ammesse scorciatoie di alcun genere. E del resto, è utile rimarcare l’onestà intellettuale di Wolfgang Schaeuble, quando precisa che “non ci sarà un singolo tasso d’interesse sin quando non ci sarà una politica finanziaria unica”, dove “politica finanziaria” va letto come sinonimo di “politica fiscale”, visto che lo stesso Schaeuble ha precisato di essere pronto a “cedere sovranità” alla Ue per raggiungere una “unione politica”. E quella è la strada. Ma servirà tempo, lacrime e sangue.

Nota a margine - Su noiseFromAmerika, Lodovico Pizzati ha pubblicato un interessante post “alter-federalista” nel quale, richiamando l’esperienza storica statunitense, critica l’emissione di debito federale, visto come elemento di sottrazione di libertà alle comunità locali, e di progressione dell’indebitamento. E’ una posizione del tutto lecita, per carità, anche se manca il controfattuale: ma non ci risulta che gli Stati Uniti, con l’affermazione del “modello hamiltoniano” di emissione di debito federale, si siano trasformati negli Stati Socialisti d’America. Ma è tutta una questione di punti di vista. Cercando di trovare l’araba fenice del tradeoff tra sinergie federaliste e tutela delle comunità locali, auspicabilmente evitando vagheggiamenti di forme di “federalismo atomistico”, tanto romantico quanto disfunzionale.

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