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 Home page > Tribuna Libera > Caso Lusi: della democrazia ed altre quisquilie

Caso Lusi: della democrazia ed altre quisquilie

Ci sono cose che non capisco. Ad esempio il fatto che ad un partito ormai defunto arrivino esorbitanti rimborsi elettorali per quasi 31 milioni, a fronte dei 10 spesi per le ultime elezioni cui ha partecipato.

Certo, sono rimborsi legittimi; avendo partecipato alle elezioni ha diritto secondo la legge in vigore (quella che di fatto ha annullato l'esito del referendum del '93 che cancellava il finanziamento pubblico dei partiti) ad avere dei “rimborsi”. Poi notizie di stampa ci raccontano che uno ha speso 10 e ricevuto 47, un altro 6 e incassato 65 e così via. Alla faccia dei rimborsi, che - magari ricordiamocelo - sono soldi nostri.

Passano gli anni e questi rimborsi sono lì; ancora lì - nelle casse della Margherita - per oltre 13 milioni di euro che poi il tesoriere - in carica per chiudere la cassa, suppongo, non esistendo più il partito - ritiene di risolvere intascandosi questi soldi “perché ne aveva bisogno” (è la dichiarazione spontanea su cui è opportuno sorvolare per evitare la tentazione di scadere in un sarcasmo troppo facile).

Poi arriva una segnalazione da Banca d’Italia, la magistratura indaga, viene fuori l’ammanco e scoppia il bubbone. Qualcuno (Parisi) dice che aveva chiesto di verificare i bilanci, ma che le ‘carte’ non gli erano mai state date e che quindi si era accorto che qualcosa non era chiaro (santa ingenuità). Rutelli, che pure su quel conto aveva la firma, non sa che dire.

Il tesoriere del partito, reo confesso, si è autoaccreditato un po’ di bonifici e i caporioni del partito e i revisori dei conti sono caduti dalle nuvole con quello stupore ingenuo che hanno i bambini quando vedono qualcosa di strano per la prima volta.

Ma qui non è la prima volta. Qui è una prassi consolidata da decenni. O si ruba o si imbroglia o si chiedono mazzette o si intascano bustarelle. Da decenni il sistema dei partiti ha creato e gestito questa imbarazzante macchina di distruzione di massa dei soldi pubblici senza che qualcuno abbia avuto il coraggio di esporsi per metterci un freno, con l'eccezione dei soliti Radicali, promotori del referendum del '93 di cui sopra, a cui si rinfaccia ad ogni pié sospinto di essersi "venduti" per farsi finanziare la radio (dopo che hanno vinto una normale gara d'appalto), scordandosi però del numero impressionante di propri deputati e senatori indagati dalla magistratura, ma sempre regolarmente a sedere sul loro beneamato scranno.

Inutile dire che poi l’emergenza del debito pubblico italiano chiede sacrifici su sacrifici che noi tutti siamo chiamati ad affrontare anno dopo anno, governo dopo governo, con un vorticoso giramento di scatole che sarebbe almeno un po' mitigato se vedessimo una vita pubblica leggermente più pulita.

Il punto però non è quello dei sacrifici (anche se poi alla fine qualcuno farà come le formiche che, si sa, anche loro, nel loro piccolo...). Il vero pericolo è che il discredito abissale che ha sprofondato i partiti ai posti più bassi nella stima degli italiani, coinvolge tutto il sistema politico. Dicono i sondaggi che non si ha più alcuna fiducia se non in polizia, carabinieri, magistratura e capo dello stato. Cioè nelle autorità di sicurezza e di garanzia.

La democrazia però non si regge (almeno non si regge solo) su questi pilastri; si regge su dialogo, dibattito, proposte e scelte. Si regge sulla capacità di interpretazione delle esigenze sociali e sulla capacità di elaborazione di proposte di soluzione dei problemi.

Si regge sull’immaginare un futuro ed approntare le strategie per costruirlo. Si regge sull’intelligenza di pensieri innovatori e quindi sull'elaborazione di nuove culture capaci di andare oltre il conosciuto; non solo sull'abilità ragionieristica di far quadrare i conti.

Sulla grandezza delle idee alte, non sul piccolo cabotaggio dell’amministrazione spicciola. Che va bene, per carità; ma non è in questo che si esaurisce un progetto sociale. E soprattutto, la democrazia non si regge solo su ordine e sicurezza. Perché in questo caso il nome è un altro.

E non vorremmo che a seguito del fallimento evidente del sistema finanziario, degli equilibri economici e dello sviluppo, dopo il fallimento dell'etica in politica, si aggiungesse anche il collasso della democrazia come sistema sociale.

I partiti di governo e di opposizione - insieme alla devastante questione morale - hanno dimostrato tutta la loro incapacità di affrontare debito pubblico, crisi economica, disoccupazione, impoverimento crescente, immigrazione, equilibrio sociale. E di affrontare problemi enormi, ma essenziali per il corretto funzionamento di un sistema democratico: giustizia, informazione, conflitti d'interesse, posizioni dominanti. Poi hanno accettato, per incapacità e impossibilità, di far fare il lavoro sporco a quello che altri hanno presentato come il Risolutore. E oggi il Risolutore, qualunque idea politica abbia in mente, gode della stima e dell’approvazione di una massa di italiani che i partiti si sognano (Istituto Piepoli fiducia al 53%, Euromedia Research 56,7%, EMG 52,8%, Demopolis 60% eccetera).

Il discredito del sistema partitico diventa sfiducia nel sistema democratico. Ci rendiamo conto dei pericoli cui va incontro la nostra società? Quando i Risolutori sono visti come l’unica via possibile e immaginabile, siamo costretti a sperare – non abbiamo altra chance – che quel Risolutore che sale alla ribalta non abbia idee strane. Perché potrebbe, senza colpo ferire, fare della nostra società una cosa diversa da quella democrazia che conosciamo. Con l’entusiasmo e il plauso delle folle. E la condiscendente approvazione delle agenzie di rating economico, Standard & Poor’s & Co., e delle agenzie di rating spirituale come i Ratzinger Boys (ma che pensare del presepe "pagato" cinquecentomila euro o del caso Viganò http://vaticaninsider.lastampa.it/h... ?).

Cioè di quelli stessi, mai eletti da nessuno, che il Risolutore l'hanno individuato e voluto. Senza passare da quella logora perdita di tempo chiamata "elezioni democratiche".

 

 

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