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Videocracy: l’Italia di Berlusconi trent’anni dopo

Di (---.---.---.99) 7 settembre 2009 13:47

e talmente ridicolo prendere in esame la nascità della tv commerciale in Italia, come fatto di pura libertà, senza prendere in considerazione gli sviluppi legati ad un duopolio unico a livello globale, senza prendere in considerazione l’emanazione di leggi volte esclusivamente al rafforzo di questo duopolio ai danni di una possibile concerrenza, senza prendere in considerazione la scesa in campo e l’intreccio politico causa di un enorme conflitto di interessi, senza prendere in considerazione aspetti sociali determinati nel corso di 30 anni da una situazione inverosimile "tutta italiana"

da Wiki (http://it.wikipedia.org/wiki/Duopolio):

Il duopolio televisivo in Italia

In Italia il termine duopolio è dai media usato specialmente per descrivere la situazione che si ha in campo televisivo per quello che riguarda la televisione analogica, dove i due principali competitors , la Rai e Mediaset distanziavano in modo molto evidente gli altri comprimari.

Il "decreto Berlusconi" creò il duopolio: esso fu varato da Craxi che ottenne dal Governo da lui presieduto il varo di un decreto-legge ristabilire le frequenze dei canali Fininvest di Silvio Berlusconi chiusi da un pretore di Roma. La misura fu preceduta da un’accorta regia mediatica di Berlusconi, facendo inondare di telefonate furenti il centralino di Palazzo Chigi e gli apparecchi dei tre pretori "colpevoli", da parte di telespettatori desiderosi "di godersi in santa pace le proprie serate televisive: Dynasty, Dallas, i Puffi... Quando infine Berlusconi piomba a Roma, i giornali raccontano già ampiamente questa levata di scudi dei telespettatori"[1].

In buona parte dell’opinione pubblica si diffuse l’idea che Craxi proteggesse politicamente Berlusconi e quest’ultimo gli concedesse ampio spazio nelle sue televisioni; Craxi e Berlusconi tra l’altro erano legati da una lunga e stretta amicizia. Altri invece ribadiscono che il decreto rientrava in un progetto a largo raggio di Craxi per scardinare il monopolio della Rai e aprire alla concorrenza il mercato televisivo[2].

La conversione del decreto in legge fu abbastanza travagliata, essendosi arenata sullo scoglio della decadenza per mancato riconoscimento dei presupposti costituzionali di necessità ed urgenza. In base alla prassi dell’epoca, il decreto fu reiterato e, trascorsi i sessanta giorni prescritti dall’art. 77 della Costituzione della Repubblica italiana, il provvedimento fu convertito dal Parlamento solo grazie ad una precisa iniziativa politica di Craxi, che minacciò la crisi di governo e le elezioni anticipate. A poche ore dal termine ultimo per la conversione, i parlamentari del Partito Comunista Italiano garantirono il numero legale con la loro presenza, senza porre in essere alcuno ostruzionismo, consentendo così la conversione del decreto. L’apporto del Partito Comunista Italiano fu determinante: come contropartita, i comunisti avrebbero ricevuto il placet di Craxi per ottenere il controllo di Raitre[3]; secondo altri, invece, l’errore politico del PCI fu di temere una sconfitta elettorale oppure di preferire che la legislatura avesse seguito nell’erronea convinzione che lo svolgimento del referendum sulla scala mobile avrebbe visto la prevalenza dei sì all’abolizione del decreto di San Valentino.

Il duopolio fu poi consacrato nel 1990 dalla "legge Mammì".

L’anomalia di tale situazione è stata più volte rilevata dalla Corte Costituzionale[4] e dal Parlamento [5]. Gli interventi legislativi che si sono succeduti sull’argomento non hanno di fatto portato alcun concreto temperamento al problema, che ha spinto il legislatore a puntare sull’anticipazione dei tempi dell’introduzione della televisione digitale.


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