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Il “genocidio palestinese”: non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

Di (---.---.---.187) 22 agosto 2014 20:23
“I vecchi moriranno ed i giovani dimenticheranno. Entro due generazioni avranno dimenticato il loro senso di identità nazionale, perchè noi glielo avremo estirpato” (David Ben Gurion, fondatore dello stato d’Israele, riferendosi ai palestinesi)

E’ vero che non esiste una definizione accettata e condivisa di "Genocidio culturale" nel Diritto Internazionale. 

Se ne discusse molto, ma il fatto che molti Stati erano, e sono, alle prese con minoranze culturali tendenzialmente da assimilare, in sede ONU una tale definizione è stata messa da parte per le limitazioni che avrebbe comportato nella loro politica interna.

Il concetto è invece rimasto come divieto di

assimilazione forzata o di distruzione della cultura delle minoranze.
Un divieto logicamente derivante dall’obbligo in capo agli Stati di "protezione della specifica identità dei popoli".

La frase di Ben Gurion, alla luce di quasi mezzo secolo di occupazione dei Territori e di privazione dei diritti civili degli arabi palestinesi che in essi vivono, in primo luogo è coerente con le politiche poste in essere dallo Stato di Israele, giustificando il sospetto che si tratti di un vero e proprio programma, e chiarisce anche quale senso dovrebbe avere, se esistesse, una definizione di "genocidio culturale".

Se protratta fino alle ultime conseguenze la condizione degli arabi palestinesi dei Territori lascerebbe a questi ultimi tre sole opzioni:

l’esodo volontario dai Territori, che essendo forzatamente indotto assumerebbe la forma della pulizia etnica; la rinuncia all’identità culturale, come si augura Ben Gurion; l’accettazione definitiva dello stato di apartheid.
Dove il secondo e terzo punto sono in realtà tra loro logicamente conseguenti.

Se il genocidio culturale sia un crimine più o meno grave del genocidio fisico lo lascio giudicare ai lettori.

Per eredità storica proprio gli ebrei, meglio di altri, dovrebbero conoscere la risposta.


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