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Roma, consigliere insulta rom e intellettuali. La replica di Moni Ovadia

Di (---.---.---.208) 7 marzo 2012 16:34

Lettera aperta Moni Ovadia

Avevamo premesso, nell’esprimere la nostra valutazione e la nostra proposta per risolvere il problema dei rom a Roma, il nostro rispetto per l’opinione del mondo della cultura, rispetto che, dalla risposta ottenuta, pare non sia ricambiato.

Ricapitoliamo quindi la nostra posizione, chiara e mai mutata nel tempo, per maggiore trasparenza e possibilità di comprensione per tutti: il Piano nomadi di Roma Capitale è uno strumento che l’amministrazione si è data per risolvere quello che forse in altre città italiane potrà non essere considerato un problema, ma a Roma lo è. I rom, è un dato di fatto incontrovertibile, sono nella Capitale oltre 6000, e gran parte di loro vive ai margini della società di espedienti e nell’illegalità, accampandosi contro la legge dove capita. Quindi non sono gli sgomberi ad essere illegali, ma lo è l’accamparsi qui e là in spazi pubblici o privati, riducendoli ad veri e propri immondezzai, oppure stipandosi altrettanto illegalmente negli spazi autorizzati, creando difficoltà ai nomadi stessi che lì risiedono in pieno diritto e mandano i figli a scuola. E’ evidente che non possiamo dare il messaggio che chiunque voglia venire a Roma e vivere alla giornata senza curarsi delle regole e senza lavorare possa essere il benvenuto. Questo vale per tutti, italiani e stranieri, sono le regole che valgono per i romani stessi, per tutti i cittadini di ogni paese civile. Ogni volta che si effettua uno sgombero si offre assistenza abitativa a donne e minori, ma viene regolarmente rifiutata.

A noi piace pensare che gli intellettuali, per la loro stessa natura, siano coloro che alle beghe quotidiane camminano un passo avanti, che siano gli anticipatori, insomma, di quel progresso sociale e culturale cui si orienta la cultura d’occidente, e capiscano dunque per primi, prima dei cittadini comuni confusi dalle preoccupazioni economiche, dal caos e dal degrado degli accampamenti abusivi sotto casa, il percorso di quella storia che descrive e realizza la nostra civiltà. Nessuno nega la liceità di firmare appelli, ma allora perché non chiedere anche se per caso qualcuno vuole aderire al nostro, iscrivendosi all’albo della solidarietà e mettendo a disposizione parte dei propri beni, quasi sempre abbondanti, per combattere una battaglia che non sia solo vuota schermaglia ideologica, quella sì, populista e pericolosa. Leggo critiche feroci alle proposte che mi sforzo di fare, ma continuo a non capire quali siano, e se ci siano, quelle degli intellettuali e del mondo della cultura. 

Sparare accuse di razzismo, incolparci di fantasie orribili e indegne pure del più meschino frequentatore di un famigerato e molto poco chic “retrobar dello sport”, di cui immaginiamo forse molti intellettuali abbiano avuto notizia solo dai romanzi, come quella di voler bruciare vivo qualcuno, è assurdo, e soprattutto è una manipolazione poco corretta e vergognosa del nostro pensiero e della nostra volontà. Anche accomunare il tentativo di regolarizzare la questione rom e di promuoverne l’integrazione nella nostra società, mettendo al riparo i cittadini da angherie e soprusi allontanando chi rifiuta un compromesso e accogliendo chi vuole rimanere nel reciproco rispetto di usi e costumi, alle deportazioni degli ebrei e all’orrore del nazismo, è davvero troppo, un colpo basso lanciato alla cieca, vile, inutile e antistorico, grazie al quale ci si aspetta di dare un “alto là” quasi rituale. Ma non è così che si fa cultura.

Moni Ovadia e i suoi colleghi facciano il loro lavoro di intellettuali e ci aiutino a capire cosa accade, diano un esempio e diano voce limpida e fuori dagli schemi a quel mondo della cultura che dimentica troppo spesso il suo vero ruolo per confondersi nella politica, per lasciarsi andare a blandire quei milioni di italiani, molti, magari, anche con l’accampamento abusivo sotto le finestre, che con il loro applauso li elevano a ruoli di prestigio dando loro credito e fiducia, e decretandone il talvolta immeritato successo.

Io non mi dimetterò, perché sono un politico e rappresento i cittadini che a migliaia la pensano come me e sono stanchi di molte cose, ma soprattutto di una parola, razzismo, usata solo a senso unico, in modo cieco, demagogico, quasi si tratti di una parola magica oltre la quale, come per un versetto sacro, tutto si ferma e non è possibile andare oltre nella discussione e nel ragionamento. Se le cose stanno così, se chi fa l’intellettuale rifiuta di aprire gli occhi, di guardare alla realtà, alla società e ai suoi cambiamenti repentini, se ritiene inutile fare distinzioni, cercare di capire anche le ragioni degli altri, allora forse sono questi rappresentanti del mondo della cultura che devono dimettersi da quel ruolo che ritengono di ricoprire con perfetto ed illuminato equilibrio. Cambino strada, facciano un altro mestiere, perché di intellettuali ottusi e plagiati dall’ideologia, fanciullini della politica e del potere,  il mondo intero ne ha ormai piene le tasche.

Fabrizio Santori
a nome di tanti cittadini romani onesti e lavoratori
consigliere di Roma Capitale


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