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Quel mostro chiamato progresso

La storia della distilleria più grande e controversa d’Europa a pochi chilometri da Palermo.

Riparte in Sicilia la battaglia ambientale nei confronti della distilleria Bertolino, il più grande e controverso impianto di distillazione d’Europa, classificato come “insalubre di prima classe” per i vapori nocivi e le polveri che può emettere. L’industria dovrebbe essere isolata tra le campagne, a grande distanza dal centro abitato, ed invece, questo colosso nella produzione di alcool si trova ben all’interno dei confini di Partinico, una cittadina di poco più di 30 mila abitanti nella Sicilia occidentale a 40 km da Palermo.

La titolare, Antonina Bertolino, si è sempre difesa affermando che “sia stata la città ad inglobare il suo impianto, realizzato in regola con le autorizzazioni”. In effetti, il quindicennio che va dal 1975, quando ancora l’azienda contava piccole apparecchiature artigianali, agli anni ‘90 si caratterizza per una serie infinita di concessioni, licenze edilizie, proroghe comunali rilasciate in modo molto allegro dalle varie amministrazioni comunali: atti che hanno permesso l’espansione dell’industria.

Addirittura la parte più avanzata tecnologicamente (e potenzialmente più nociva) il gruppo Bertolino decise nel 1983 di costruirla senza neppure ottenere prima l’autorizzazione necessaria. Negli anni ’90 scoppia l’indignazione dei cittadini e delle associazioni ambientaliste: inizia una storia fatta di processi giudiziari, che hanno portato ad una condanna nei tre gradi di giudizio per inquinamento nel 1999 e al sequestro degli impianti per ben due volte, dal 93 al 96 e dal 2005 al 2009.

Da queste parti usano dire che “le vie della signora siano infinite”: capita che scompaiano verbali dagli uffici, che in Parlamento si approvi una legge (la 205 del dicembre 2008) che casualmente le risolve all’istante gravi problemi, o ancora che un funzionario dell’assessorato siciliano competente, l’ing. Genchi, venga deposto dal suo incarico per essersi rifiutato di cedere alle pressioni del proprio capo, che pretendeva la modifica di un decreto scomodo.

Proprio quando sembrava che fosse arrivata la volta buona con il delinearsi di gravi capi d’imputazione ed il rigetto di ben 7 istanze di dissequestro presentate dai legali della distilleria, è arrivata nel maggio di quest’anno la sentenza di prescrizione dei reati e il via libera alla riapertura degli impianti, fermi ormai da 4 anni. Al danno si aggiunge la beffa, quando si legge tra le righe della sentenza che in ordine a nessun reato si può pervenire tuttavia ad un giudizio assolutorio perché non risulta evidente che i fatti non siano stati commessi. Anzi la descrizione della storia processuale sembra proprio dimostrare il contrario. Nonostante tutto, il gruppo imprenditoriale afferma di sentirsi perseguitato e qualche mese fa ha annunciato un ricorso alla Corte di Giustizia Europea perché questa decennale vicenda si configura come esempio di accanimento giudiziario e discriminazione.

Nel frattempo, il lavoro della distilleria è ripartito a pieno regime. In città e nell’intero comprensorio è ritornato anche l’odore molesto e nauseabondo, che anni fa contribuì a far partire le mobilitazioni che culminarono in una manifestazione di 10 mila persone per le vie di Partinico. Con la puzza, si è riacceso anche il malcontento della cittadinanza, pronta a ripartire in questa dura battaglia per la tutela della salute pubblica. Si è già formato un comitato civico e sono iniziate le campagne di denunce, raccolta firme e proteste per far ripartire la macchina della giustizia, con la speranza che questa volta non si inceppi clamorosamente come nel passato e faccia chiarezza sul destino della distilleria Bertolino e della popolazione di Partinico.

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