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Moon. L’uomo (impiegato) sulla luna

Oggi in Italia esce Moon, opera prima del giovane regista Duncan Jones, che lo ha ideato e in parte scritto, dopo innumerevoli cortometraggi e campagne pubblicitarie all’attivo e un padre celebre: David Bowie.
 
Capita raramente ormai che i film abbiano delle sceneggiature originali, non tratte da qualcosa, solo i grandi scrittori e i grandi registi si permettono di farlo e riescono ad essere apprezzati dalla patina un po’ snob di Hollywood.
 
Grazie al cielo esistono i festival indipendenti, luoghi in cui Moon ha fatto incetta di premi, compresi i famosi Tribeca e Sundance, durante i quali ha ricevuto ovazioni da stadio.
 
Partiamo dalla trama: Sam Bell (Sam Rockwell) è un astronauta impiegato sulla stazione Selene della Lunar Industries sulla superficie lunare, il suo compito è quello di rifornire costantemente la terra di Elio-3, per impedire una crisi energetica mondiale. A due settimane dalla scadenza del suo contratto (durato tre anni) Sam, supportato dal robot Gerty, non nasconde l’eccitazione per il ritorno a casa, quando potrà riabbracciare la moglie Tess e la figlia Eve di tre anni, che non ha mai visto crescere. Durante gli ultimi giorni però i sogni lo tormenteranno, strane visioni lo accompagneranno e sorgerà uno strano problema quando durante un’uscita per sostituire le bombole sarà vittima di un incidente. Risvegliatosi alla base scoprirà di non essere più solo, ma guardato a vista da una copia perfetta di se stesso. Realtà o immaginazione?
 
Oltre ad avere una trama che fantascientificamente sta in piedi da sola, Moon gode di un interprete d’eccellenza come Sam Rockwell. Il film è stato scritto pensando a lui e non c’è nulla che nella storia non gli calzi a pennello, abituato com’è alle stranezze dello spazio (lo ricorderete con due teste e l’idiozia in Guida galattica per autostoppisti), alle visioni, ai complotti e alle manie (Confessioni di una mente pericolosa, Soffocare) tanto da interiorizzare totalmente la parte e rendere la pellicola un ottimo OneMan-movie. Del robot Gerty che affianca il protagonista si può solo dire che ha la faccia da emoticon e la voce di Kevin Spacey, un’intelligenza artificiale, ma (e fateci caso) uno strano e quasi umano senso di protezione verso il suo coinquilino spaziale.
 
Il regista ha dichiarato di essersi ispirato ai film di genere che lui stesso ha amato 2002, la seconda Odissea, Alien, tentando di ricreare le atmosfere asettiche e grigie dei vecchi sci-fi grazie all’uso di modellini per le scenografie, di una fotografia ovattata e di un budget da film indipendente. Al di là di questo c’è molto altro in Moon: una quantità di sentimenti che investono il protagonista E lo spettatore, ribaltando il concetto di giusto e sbagliato, la concezione della scienza e la coscienza dello spirito umano. Insomma quando un uomo (due, tre) soffre non si può far altro che tifare per lui, non c’è niente da fare. Quando poi chi non dovrebbe avere sussulti umani invece ne ha a vagonate, molto di più di chi è nato per averne si fa presto a scegliere una parte da cui stare. Il finale è per molti un po’ scontato, a mio avviso ha il giusto senso che non poteva non avere, poi è già previsto un sequel... speriamo in bene.
 
Più che Sci-Fi lo definirei uno Shy-Fi, siete certi che le macchine non arrossiscano? Andate al cinema, attendo ragguagli.

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